La Nostalgia Laser
Storie d’Italia/1. Per chissà quanto tempo, l’estate romagnola dovrà fare a meno delle grandi discoteche. Massimo Giorgetti ricorda qui quella stagione di musica, follie, leggerezza e libertà.
La nostalgia laser di tutti i clubber d’Italia, il Cocoricò di Riccione, avrebbe dovuto riaprire l’11 aprile. Ma come un buttafuori il virus ha impedito a cinquemila corpi di riunirsi sotto la sua piramide. E con ogni probabilità andremo incontro a un’estate di “distanza sociale”, dove il sapore di sale non lo sentiremo sulla pelle degli altri ma lo immagineremo guardandoci da lontano. Sarà, forse, un’Ibiza senza code per il Pacha. Un Belgio senza Tomorrowland (la data francese di marzo è già saltata). Una Romagna senza aperitivi ammassati sotto la consolle dei deejay. Però resta la forza della memoria (e di immagini come questa, scattata da Massimo Vitali), che in alcuni rimane così viva da forgiare i gusti, il destino, una vita intera. «Sono nato in Romagna e nei club ci ho passato quindici anni», racconta il fondatore del brand MSGM Massimo Giorgetti, che quelle luci psichedeliche le ha traslate nelle sue creazioni: «Eravamo totalmente spensierati e ci indebitavamo solo per presentarci la notte col look giusto: i ragazzi di adesso, per il clima e per l’economia che stenta sempre, hanno molta più consapevolezza di noi». Nato nel 1977 a Longiano, sulle colline di Santarcangelo di Romagna, ha lanciato la sua collezione nel 2009 con le parole di Isabella Santacroce in testa: «Descrisse quegli anni nel libro Fluo: storie di giovani a Riccione. E non è un caso che tutti i primi capi MSGM fossero fluorescenti come quel romanzo. I battiti della house music che ho trasformato in stampe acide digitali hanno formato il mio immaginario e tutta la mia fantasia».
Che estate sarà?
Un’estate strana, dove però ci godremo l’Italia. Tutti noi dovremo far squadra e chiedere ai nostri follower di tornare a godersi il nostro Paese, palmo a palmo.
Qual è il suo primo ricordo delle spiagge romagnole?
Sono cresciuto in una grande casa di campagna: papà aveva una piccola impresa edile e mamma lavorava in un allevamento avicolo. Tredici zii, di cui due con un’impresa di ricami e stampe per Charro e Best Company, trentacinque cugini e cinquanta nipoti. Ero
felice ma avevo voglia di autonomia, così a quattordici anni ho preso il motorino e sono andato a Cesenatico a lavorare come bagnino. Sistemavo gli ombrelloni, pulivo le passerelle. E frequentavo gente più grande che mi ha fatto conoscere il mondo dei club.
Le signore in villeggiatura le facevano il filo? Sì, quelle coi mariti a Bologna per lavorare, lasciate lì da sole. Da adolescente ero eterosessuale, anzi bisex direi, e in una cabina del mio stabilimento balneare ho fatto l’amore per la prima volta con una ragazza di Cesena. In piedi, scomodissimi, imbranati: non posso dire sia stato bellissimo.
Poi le altre prime volte: la notte, la musica, la moda.
Fino ai vent’anni ho frequentato i locali della
Romagna più indie, tra Cervia e Rivabella: lo Slego, il Velvet, il Flinstone e il Vida. Ci ho visto suonare i Blur giovanissimi, un Jamiroquai sconosciuto, Rufus Wainwright e i Coldplay che mi hanno ispirato il lettering del marchio. Ero ossessionato dai brand dello streetstyle come Santa Cruz, Stüssy, Billabong e ho anche provato la droga, che per fortuna ho abbandonato subito. La mia educazione musicale, il mio amore per l’underground, li devo a quei giorni.
Finché un sabato di luglio del 1997, come una rivelazione, è arrivato il Cocoricò. Lavoravo in un negozio di tendenza su viale Ceccarini che si chiamava Nick & Sons, dove avevamo i marchi indispensabili per superare le selezioni all’ingresso. Il selector man del
“Cocco” era Matteo Sorbellini, che quando vidi per la prima volta sfoggiava un total look DSquared2: del resto, i fratelli Dean e Dan, così come Marc Jacobs, erano habitué. Avevamo i jeans di Gucci disegnati da Tom Ford, con la grande “G” sul sedere. Le “C” di Chanel ovunque. Le felpe Lanvin col marchio gigante in evidenza. Poi Helmut Lang, Carol Christian Poell e Costume National. Per la prima volta ho visto la moda scendere dalle passerelle e incarnarsi: le campagne pubblicitarie dei brand, riprodotte alla lettera, prendevano vita.
E chi si era impigliato nell’incertezza, in quella libertà sperimentava col sesso.
È stato in quella prima notte a Riccione che ho baciato un uomo e ho trovato la mia identità. Lì potevi essere te stesso, e in mezzo a quei corpi eri uno, nessuno e centomila. Se adesso sono sposato e se ho vissuto la mia omosessualità in modo aperto lo devo alla cultura che si respirava in Romagna, a quelle leggerezza, energia e ottimismo. Non tutti hanno avuto la stessa fortuna: io, lì dentro, ci sono nato.
E a un certo punto ha anche fatto il dj. Frequentavo il Prince, la Villa delle Rose il venerdì, il Pascià la domenica e l’Echoes il lunedì sera, con i red carpet all’ingresso ideati dal direttore artistico Maurizio Monti. Assorbivo musica e stili, così ho iniziato a registrare dei cd che davo ai negozi. Poi il direttore artistico del Cocoricò Loris Riccardi mi ha chiesto di suonare nei bagni delle donne: si accalcavano i gay, le trans, le ragazze che si imboscavano con i compagni occasionali. Tutto molto dangerous.
C’era più trasgressione o più cultura? Nei privé incontravi gli intellettuali: Aldo Nove, Aldo Busi, Enrico Ghezzi e l’intellighenzia di sinistra. Ti ritrovavi a ballare sui tavoli con Alberta Ferretti, Sergio Rossi, Giuseppe Zanotti. Prima della musica, i registi presentavano i film e vedevi gli spettacoli de La Fura dels Baus e le sperimentazioni teatrali della Socìetas Raffaello Sanzio. Finché, con la crisi del 2008, la leggerezza è volata via. Ma non dentro di me: quello spirito di avventura mi ha dato il coraggio di avere coraggio. _______________________________