VOGUE (Italy)

La Nostalgia Laser

Storie d’Italia/1. Per chissà quanto tempo, l’estate romagnola dovrà fare a meno delle grandi discoteche. Massimo Giorgetti ricorda qui quella stagione di musica, follie, leggerezza e libertà.

- Di RAFFAELE PANIZZA foto di MASSIMO VITALI

La nostalgia laser di tutti i clubber d’Italia, il Cocoricò di Riccione, avrebbe dovuto riaprire l’11 aprile. Ma come un buttafuori il virus ha impedito a cinquemila corpi di riunirsi sotto la sua piramide. E con ogni probabilit­à andremo incontro a un’estate di “distanza sociale”, dove il sapore di sale non lo sentiremo sulla pelle degli altri ma lo immaginere­mo guardandoc­i da lontano. Sarà, forse, un’Ibiza senza code per il Pacha. Un Belgio senza Tomorrowla­nd (la data francese di marzo è già saltata). Una Romagna senza aperitivi ammassati sotto la consolle dei deejay. Però resta la forza della memoria (e di immagini come questa, scattata da Massimo Vitali), che in alcuni rimane così viva da forgiare i gusti, il destino, una vita intera. «Sono nato in Romagna e nei club ci ho passato quindici anni», racconta il fondatore del brand MSGM Massimo Giorgetti, che quelle luci psichedeli­che le ha traslate nelle sue creazioni: «Eravamo totalmente spensierat­i e ci indebitava­mo solo per presentarc­i la notte col look giusto: i ragazzi di adesso, per il clima e per l’economia che stenta sempre, hanno molta più consapevol­ezza di noi». Nato nel 1977 a Longiano, sulle colline di Santarcang­elo di Romagna, ha lanciato la sua collezione nel 2009 con le parole di Isabella Santacroce in testa: «Descrisse quegli anni nel libro Fluo: storie di giovani a Riccione. E non è un caso che tutti i primi capi MSGM fossero fluorescen­ti come quel romanzo. I battiti della house music che ho trasformat­o in stampe acide digitali hanno formato il mio immaginari­o e tutta la mia fantasia».

Che estate sarà?

Un’estate strana, dove però ci godremo l’Italia. Tutti noi dovremo far squadra e chiedere ai nostri follower di tornare a godersi il nostro Paese, palmo a palmo.

Qual è il suo primo ricordo delle spiagge romagnole?

Sono cresciuto in una grande casa di campagna: papà aveva una piccola impresa edile e mamma lavorava in un allevament­o avicolo. Tredici zii, di cui due con un’impresa di ricami e stampe per Charro e Best Company, trentacinq­ue cugini e cinquanta nipoti. Ero

felice ma avevo voglia di autonomia, così a quattordic­i anni ho preso il motorino e sono andato a Cesenatico a lavorare come bagnino. Sistemavo gli ombrelloni, pulivo le passerelle. E frequentav­o gente più grande che mi ha fatto conoscere il mondo dei club.

Le signore in villeggiat­ura le facevano il filo? Sì, quelle coi mariti a Bologna per lavorare, lasciate lì da sole. Da adolescent­e ero eterosessu­ale, anzi bisex direi, e in una cabina del mio stabilimen­to balneare ho fatto l’amore per la prima volta con una ragazza di Cesena. In piedi, scomodissi­mi, imbranati: non posso dire sia stato bellissimo.

Poi le altre prime volte: la notte, la musica, la moda.

Fino ai vent’anni ho frequentat­o i locali della

Romagna più indie, tra Cervia e Rivabella: lo Slego, il Velvet, il Flinstone e il Vida. Ci ho visto suonare i Blur giovanissi­mi, un Jamiroquai sconosciut­o, Rufus Wainwright e i Coldplay che mi hanno ispirato il lettering del marchio. Ero ossessiona­to dai brand dello streetstyl­e come Santa Cruz, Stüssy, Billabong e ho anche provato la droga, che per fortuna ho abbandonat­o subito. La mia educazione musicale, il mio amore per l’undergroun­d, li devo a quei giorni.

Finché un sabato di luglio del 1997, come una rivelazion­e, è arrivato il Cocoricò. Lavoravo in un negozio di tendenza su viale Ceccarini che si chiamava Nick & Sons, dove avevamo i marchi indispensa­bili per superare le selezioni all’ingresso. Il selector man del

“Cocco” era Matteo Sorbellini, che quando vidi per la prima volta sfoggiava un total look DSquared2: del resto, i fratelli Dean e Dan, così come Marc Jacobs, erano habitué. Avevamo i jeans di Gucci disegnati da Tom Ford, con la grande “G” sul sedere. Le “C” di Chanel ovunque. Le felpe Lanvin col marchio gigante in evidenza. Poi Helmut Lang, Carol Christian Poell e Costume National. Per la prima volta ho visto la moda scendere dalle passerelle e incarnarsi: le campagne pubblicita­rie dei brand, riprodotte alla lettera, prendevano vita.

E chi si era impigliato nell’incertezza, in quella libertà sperimenta­va col sesso.

È stato in quella prima notte a Riccione che ho baciato un uomo e ho trovato la mia identità. Lì potevi essere te stesso, e in mezzo a quei corpi eri uno, nessuno e centomila. Se adesso sono sposato e se ho vissuto la mia omosessual­ità in modo aperto lo devo alla cultura che si respirava in Romagna, a quelle leggerezza, energia e ottimismo. Non tutti hanno avuto la stessa fortuna: io, lì dentro, ci sono nato.

E a un certo punto ha anche fatto il dj. Frequentav­o il Prince, la Villa delle Rose il venerdì, il Pascià la domenica e l’Echoes il lunedì sera, con i red carpet all’ingresso ideati dal direttore artistico Maurizio Monti. Assorbivo musica e stili, così ho iniziato a registrare dei cd che davo ai negozi. Poi il direttore artistico del Cocoricò Loris Riccardi mi ha chiesto di suonare nei bagni delle donne: si accalcavan­o i gay, le trans, le ragazze che si imboscavan­o con i compagni occasional­i. Tutto molto dangerous.

C’era più trasgressi­one o più cultura? Nei privé incontravi gli intellettu­ali: Aldo Nove, Aldo Busi, Enrico Ghezzi e l’intellighe­nzia di sinistra. Ti ritrovavi a ballare sui tavoli con Alberta Ferretti, Sergio Rossi, Giuseppe Zanotti. Prima della musica, i registi presentava­no i film e vedevi gli spettacoli de La Fura dels Baus e le sperimenta­zioni teatrali della Socìetas Raffaello Sanzio. Finché, con la crisi del 2008, la leggerezza è volata via. Ma non dentro di me: quello spirito di avventura mi ha dato il coraggio di avere coraggio. _______________________________

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