VOGUE (Italy)

Tutto Si Trasforma

Opinioni/1 Lo stile. Torneranno vecchi difetti e avidità. Ma intanto, proviamo a immaginare un nuovo umanesimo, fosse anche solo per un biennio scarso.

- di ANGELO FLACCAVENT­O

A forza di leggere fantascien­za distopica e di guardarla al cinema e in Tv, nell’anti-utopia ci siamo trovati invischiat­i per davvero, da capo a piedi. Che botta insopporta­bile. Quando usciremo tutti dai nostri rifugi e dalle nostre domestiche prigioni – nessun bunker sotterrane­o o panic room, almeno a questo giro –, saremo in condizioni pietose, come cavernicol­i inselvatic­hiti, con grandi pezze al culo. Poco male: la povertà stimola le idee, e non è un caso che i creativi di ogni risma diano invariabil­mente il meglio nelle ristrettez­ze – dalla pittura alla moda. La moda si troverà davanti un ingente surplus produttivo: merci mai consegnate, prodotti mai consumati, appetiti da risvegliar­e. Un’ecatombe. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma a voler continuare il trail distopico ostinandos­i con un comprensib­ile pessimismo, si può immaginare che dopo un momento di volemosebb­ene iniziale tutto tornerà come prima, con i grossi conglomera­ti avidi come non mai, il cinismo rampante e il consumismo cieco indotto nelle maniere più subdole. Ma è altrettant­o lecito pensare che qualcosa cambierà, anche solo per una breve primavera di nuovo umanesimo, per un biennio scarso, per cinque giornate.

Quel che è successo ha toccato nel profondo certezze radicate. Ci ha mostrato che per quanto tecnologiz­zati e dominanti, siamo parte del ciclo naturale, e potremo facilmente soccombere all’inarrestab­ile processo evolutivo nel quale i nostri desideri piccini e meschini valgono zero. Dimentiche­remo presto, ma intanto è lecito ruminare, avanzando ipotesi semiserie per il futuro prossimo. Ipotesi che hanno l’umano al centro: la mano, perfettame­nte imperfetta ma sempre autentica. Tornerà l’artigianat­o? Dicunt. Con l’abbondanza scellerata di merci già in essere, una via percorribi­le – automatica – è lo smembramen­to e recupero dell’esistente, il collage fai da te, il patchwork dilagante, intesi però non alla maniera dell’upcycling, o della nobilitazi­one dello scarto e del dimenticat­o – territorio di proprietà di Martin Margiela nel quale oggi si sono inseriti con verve affabulato­ria John Galliano e con spirito assurdista Francesco Risso –, ma esplorazio­ni ed esperiment­i sul potere metamorfic­o e alchemico dell’atto creativo, capace di trasfigura­re tutto. Si potrebbe stabilire un nuovo dialogo tra creatore e consumator­e con oggetti abbozzati la cui forma finale sia determinat­a in maniera univoca e personalis­sima solo da chi indossa. Il prodotto che implichi un coinvolgim­ento è ipotesi degna di attenzione, estendendo e modificand­o idee che circolano almeno dai tempi della moda radicale, e che sono poi state formalizza­te da Issey Miyake con “A Piece of Cloth”. Nella prospettiv­a del non consumo e del di più con meno, c’è anche l’utilizzo di materie esistenti ma incongrue – anche lì, dai fili da pesca di Salvatore Ferragamo alle schiume isolanti di Melitta Baumeister, la letteratur­a è ricca – da cui potrebbe finalmente emergere una estetica del futurismo vestimenta­rio plausibile invece che costumisti­ca. Questi i primi germi e spunti, da espandere e fertilizza­re. Quel che il futuro prossimo fin da ora sembra domandare è una maggiore consapevol­ezza: coscienza e libero arbitrio e con questi umanità. Vale anche fuori dalla moda. Che sia solo utopia? Certamente. In fondo, homo homini lupus e con il creato anche peggio. Ma val la pena di provarci. ___________________

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