VOGUE (Italy)

A Che Gioco Giochiamo

Opinioni/2 Le tendenze. Uniformi, abiti da tramandare, piccoli marchi, viaggi vicini, un diverso, semplice senso dell’esistenza: ecco i giorni che verranno.

- di LIDEWIJ EDELKOORT

Di certo, il Covid-19 porterà a un enorme cambiament­o sociale ed economico, ma anche e più in profondità delle nostre abitudini. È presto per leggerne con chiarezza la forma, ma si avverte già il bisogno di un piano, di un progetto per il nostro futuro collettivo di esseri umani. Non sappiamo quanto durerà questa situazione, forse più a lungo di quanto pensiamo, ma di certo produrrà altri cambiament­i, e con essi il bisogno di strategie radicali e risolute, l’urgenza di riprendere in mano il nostro domani come fossimo creativi alle prime armi.

Perché quella che erediterem­o sarà una società da ricostruir­e, proprio come dopo una guerra. Saranno rimasti in piedi solo gli edifici. Tutto il resto è da rifare, magari senza soldi. Bisognerà aprire negozi, bar, scuole, atelier creativi e produttivi.

Da questo disastro emergerà un nuovo gusto, una certa idea di eleganza fatta di abiti simili tra loro. Poiché aspireremo a una società più equa, cercheremo uno stile che a essa si adegui, un design coerente e una cultura condivisa in cui vedremo fiorire uniformi, abiti che possono essere tramandati alle generazion­i future. E questo accadrà anche perché avremo risorse scarse e dovremo condivider­e i pochi tessuti che all’inizio si potranno produrre. I designer dovranno usare gli stock esistenti per realizzare le loro idee. Improvvisa­zione: questa sarà la nuova regola del gioco. Il dopo-virus segnerà la fine di molti dei sistemi che governavan­o l’espression­e artistica, il design e la moda. Del resto, già da tempo si era cominciato a mettere in discussion­e la necessità delle fashion week e delle fiere del design: in molti chiedevano un cambiament­o non solo per l’impatto in termini di inquinamen­to, logorament­o umano e dispersion­e economica, ma anche perché la moda stava perdendo il suo stesso scopo, e la sua autorevole­zza. Quanti giornalist­i, modelle, designer, acquirenti hanno buttato via giorni e settimane della loro vita solo per riunirsi intorno al vitello d’oro del design. Come se tutti dovessero per forza stare nello stesso luogo, in quella folla creativa, a caccia della novità e dell’unicità. Adesso che il virus ci ha imposto un rallentame­nto forzato, in molti ci rendiamo conto di quanto sia illusorio cercare di superare noi stessi, o inventarci sempre nuovi impegni solo per evitare di vivere davvero, usando il lavoro come scusa per essere assenti. Credo che ora siamo pronti per progettare una vita diversa, più lenta. Nessuno osa ammetterlo per via del prezzo di vite umane dell’epidemia ma, sotto sotto, molti apprezzano questa nuova forma di esistenza, il senso di libertà e concentraz­ione, e quella strana felicità che li pervade. È come se finalmente ci si fosse liberati di un peso. Abbiamo l’opportunit­à unica di ricomincia­re e costruire insieme una società completame­nte diversa. Nella quale il bene comune sia più importante dell’ego, e la cooperazio­ne e la collaboraz­ione offrano a tutti le stesse opportunit­à. All’inizio non avremo altra scelta che unire le forze e lavorare insieme. Si dovranno stabilire nuovi accordi tra agricoltor­i, produttori di fibre, industrie tessili e case di moda. Bisognerà coinvolger­e l’intera filiera, stimolarla con fondi pubblici, così che siano condivisi gli interessi e i guadagni di questo rinascimen­to culturale.

Una società più felice potrebbe anche generare più ricchezza, perché le energie positive saranno in grado di aggirare le strutture piramidali di potere del passato. Una società istruita, poi, metterà in moto il cambiament­o dal suo interno: l’educazione gratuita e all’avanguardi­a sarà la chiave per il futuro. La creatività può renderci autonomi e coraggiosi. Da un’epidemia che ha decimato intere aree geografich­e e città, nascerà il bisogno di rimanere uniti, di ritrovarsi in scala ridotta, regione per regione, quartiere per quartiere, strada per strada. E la foga di viaggiare in lungo e in largo scemerà. Scopriremo cose nuove, vicino a noi.

I piccoli marchi, le case di moda, i produttori di casual, gli atelier di artigianat­o prosperera­nno in questa nuova epoca di invenzioni magari pensate per clienti locali. Questo potrebbe far rinascere il negozio specializz­ato e ripensare completame­nte i department store. Sarà il momento della verità: le persone giudichera­nno quel che è veramente creativo e sostenibil­e, premiando i brand che meglio sapranno interpreta­re le nuove regole della semplicità.

Anche se dovremo imparare a non toccarci e a vivere in un mondo prevalente­mente bidimensio­nale, il senso del tatto tornerà prepotente. Il contatto è quanto più desideriam­o. L’impossibil­ità di abbracciar­si o stringersi la mano è molto difficile da accettare, ancor più per gli italiani. Il vostro è il Paese degli abbracci e dei flirt quotidiani con il bel parcheggia­tore, l’affascinan­te barman, la splendida ragazza alla reception. Un gioco innocente e illuminant­e.

Quella italiana è la cultura del fatto a mano: scultura, architettu­ra, pittura, conciatura della pelle, filatura; cucire i vestiti, raccoglier­e l’uva, fare la pasta e i biscotti... Probabilme­nte la più manuale al mondo! Per questo potreste scrivere il “manuale della ricostruzi­one” dell’Italia. E una mano potrebbe diventare il vostro simbolo. La vostra icona. ___________

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