Sapremo Rialzarci
Opinioni/5 Il sistema. Streaming e eventi fisici, ma con diversa intimità. E finestre sul mondo. Per il presidente della Cnmi Carlo Capasa, dalla crisi un’opportunità.
Già a febbraio, quando la pandemia non era immaginabile, un muro alzato dal coronavirus è stato scavalcato da un’intuizione: dare modo ai buyer cinesi bloccati in casa di seguire le passerelle milanesi, arrivare in Italia attraverso le immagini in streaming, da qualunque schermo di loro preferenza. La strategia ha superato le aspettative. Alla cerchia ristretta degli addetti ai lavori si è unita un’affollata compagnia: «Tra dirette e differite, sono state raggiunte 25 milioni di persone. Per la prima volta, siamo riusciti a organizzare una Fashion Week virtuale», ricorda Carlo Capasa. Per il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, la seconda volta sarà persino più epocale. Sia l’uomo sia la donna sfileranno a settembre: «Per l’occasione rafforzeremo lo streaming, lo allargheremo ad altri Paesi. Vorremmo avere il Giappone, gli Usa, la Russia, vari stati europei. Stiamo parlando con gli interlocutori giusti per trasmettere i nostri contenuti».
Perché lo streaming è così importante? Abbiamo raccolto un gruppo di consumatori che sono diventati un patrimonio di tutto il sistema moda, dando ai brand coinvolti una popolarità che altrimenti non avrebbero avuto. Non sono sensazioni, è matematica. Una manifestazione ha successo se raduna decine di migliaia di persone. Qui siamo su ordini di grandezza totalmente differenti. Abbiamo imparato una lezione importante. E non soltanto noi: Shanghai ha adottato lo streaming per la sua Fashion Week. I cinesi ci copiano. Che scenari intravede per settembre? Essenzialmente due. Che la situazione internazionale sia risolta, allora con qualche accortezza supplementare verrà ristabilita la normalità. O che la crisi sia superata in singoli Paesi, tra cui il nostro, ma senza poter fare entrare le persone dall’estero. In quel caso, lo streaming ci supporterà in maniera importante. Comunque vada, c’è un fattore emotivo alla base della nostra scelta: vogliamo lanciare un messaggio di coesione. Appena possibile, tutto come prima?
Non tutto, il valore della sostenibilità va tenuto in conto. Spingerà a muoversi meno, orienterà le scelte limitandole. Immagino, per il futuro, un maggiore intimismo, con tante finestre aperte sul resto del mondo. Finestre che possono essere digitali.
Potrebbero spalancarsi anche a giugno, o è troppo presto?
A giugno daremo vita ad altri modelli di narrazione. Se l’industria avrà ripreso a lavorare, apriremo piattaforme virtuali per veicolare ovunque i contenuti delle collezioni e delle pre-collezioni.
L’insieme suona come un ridimensionamento degli eventi tradizionali.
La fisicità continuerà a essere insostituibile. Chi compra, vuole toccare il tessuto, capirne la vestibilità. Se è l’unica alternativa, allora sono inevitabili gli acquisti a distanza, ma di regola i buyer devono poter andare per showroom, confrontarsi tra loro, conoscere le proposte dei giovani per sceglierle. Non possiamo privarli di queste esperienze.
La filiera, invece, di cosa non deve privarsi per ripartire?
Nessuno avrebbe potuto immaginare che in Paesi come la Germania o l’Inghilterra il 30% del fatturato del settore sarebbe dipeso dall’online. È un elemento strategico, perciò abbiamo chiesto al Governo di sostenere chi investe in tale direzione.
Il suo auspicio è che non si perda nemmeno un posto di lavoro. Non suona irrealistico?
Il nostro sistema è come una tela di ragno, poggia su una interdipendenza totale. Nei distretti italiani ogni pezzetto, anche piccolo, incide sul resto. L’azienda con cinquemila addetti che svolgono un mestiere di routine è essenziale tanto quanto quella di cinque: se viene meno la piccola impresa che cura il ricamo di una più grande, si perde la qualità complessiva di un capo. Se si spezza un singolo anello, crolla tutto. La moda italiana è flessibile e trasversale. Dobbiamo proteggere a ogni costo la nostra unicità. Lavorando uniti si possono fare grandi cose, ne abbiamo avuto la prova quando l’Italia è rinata dalle ceneri della guerra. Da soli si va veloci, insieme si va lontano. Il virus, in questo senso, è molto istruttivo.
Cosa insegna?
Quanto sia importante pensare all’altro. Oggi devo stare lontano da chi vorrei avere vicino per non rischiare di infettarlo. Se tutti noi cresciamo in altruismo, sarà la società intera a maturare. E saprà rialzarsi. ______________