Sam J. Miller Il Vestito E La Rivoluzione
In una Milano del futuro, gli abiti hanno connessioni neurali che possono trasformare le persone. E farle lottare per la libertà. È la visione distopica di un autore che, insieme agli altri tre pubblicati nelle prossime pagine, ci guida fuori da questo presente. Sulle ali di storie fiabesche, comiche, noir. Per riflettere e fantasticare. Sorridere. E non smettere di viaggiare.
Kalyani era lì controvoglia. Di malumore. Trascinata a forza dai suoi due migliori amici gay, ossessionati da negozietti malmessi di roba usata come questo. Era il quinto dove erano stati oggi oppure il sesto? Aveva perso il conto. Almeno questo non puzzava come un seminterrato ammuffito o una soffitta polverosa, e però... Però aveva un odore sbagliato. Come l’interno di un armadio: cedro e palline di naftalina, lenzuola pulite e cuoio vecchio, con qualcos’altro in sottofondo, champagne sversato e chiodi di garofano e spiagge lontane, il residuo olfattivo di centomila notti selvagge. Si sentiva a disagio, come se stesse guardando uno sconosciuto nudo.
«I negozi dell’usato di Milano sono i migliori al mondo», disse il suo amico. «Per una ossessionata dalla moda come te, questo è un paradiso».
Un inferno, piuttosto. La città era bellissima, sì, ma pioveva da quando erano arrivati e gli atelier erano tutti chiusi. In realtà la maggior parte delle aziende lo erano. Il governo aveva stretto la morsa su chiunque – una settimana gli immigrati, quella successiva i gay – e l’intera nazione sembrava ritirarsi in se stessa come una tartaruga nel suo guscio. Kalyani provò un po’ di conforto nel sapere che il suo Paese non era l’unico a essere diventato totalmente fascista. L’Italia era piena della stessa paura che brillava negli occhi di tutti.
Era presente solo in parte. Aveva la visiera Westwood calata sugli occhi, a irradiare un flusso costante di cose belle. Uomini sexy, tramonti meravigliosi, nuove collezioni e trailer di film e dipinti del Louvre... il suo intero social feed che scorreva in risposta a comandi subvocali catturati dal chip incorporato nell’angolo superiore della mandibola. Il mondo era così brutto: la bellezza era una medicina necessaria per sopravvivere in tempi così orribili.
«Almeno stai cercando?», chiese l’altro suo amico. «O stai guardando qualcosa su quel tuo stupido visore?».
«Non è un visore, è una visiera», disse Kalyani, sollevandola fino a poggiarla sulla fronte. E si mise a scorrere gli abiti sull’espositore, lanciando di tanto in tanto esclamazioni con un entusiasmo talmente finto che il suo amico roteò gli occhi e se ne andò.
Il flusso di immagini continuava, anche senza la visiera Westwood. Il mese scorso si era regalata degli impianti retinici. Una spesa frivola in tempi così spaventosi, con la carenza di generi essenziali all’ordine del giorno, ma si disse che meritava di prendersi cura di se stessa. «Serve aiuto?», chiese una commessa, picchiettando con le unghie lunghe e dipinte sul bancone. Vorticavano e rilucevano, dieci splendide piccole opere d’arte viventi. Che ci faceva una con un accessorio tech così costoso in un negozio tanto orribile? Anche il suo maglione era vivo: una tigre in bianco e nero si aggirava in una giungla a mezzanotte.
«No, grazie mille», disse Kalyani.
L’impianto mandibolare ronzava, rispondendo alla tecnologia sepolta nei vestiti che sfiorava con la punta delle dita. Immagini si aprivano davanti ai suoi occhi: draghi e astronavi e spiagge e città vuote, invitandola. Offrendo accesso.
Ignorò le richieste. Chi può dire che razza di strano software può nascondersi lì in mezzo? Una volta che hai lasciato entrare qualcosa del genere, impossibile sapere cosa può combinare.
Un grido dalla strada: era un giovane che correva. Vestito di verde. Un colore pericoloso in tutto il mondo, poiché le milizie di estrema destra avevano deciso che l’ambientalismo era la minaccia numero uno per l’ordine pubblico. A casa, aveva visto persone picchiate da teppisti o spruzzate di rosso dai droni solo per aver indossato quel colore.
Ma il crimine di questo ragazzo non era solo nei vestiti che indossava. No, un segnale potente stava violando l’accesso ai muri cui passava vicino, sostituendo i cartelloni pro-governo con graffiti infuocati e messaggi che sembravano davvero vivi, in cui uomini e donne martiri esortavano tutti a rialzarsi e combattere.
«Stupido», sussurrò, ma il suo cuore sobbalzò mentre lo vedeva allontanarsi, e pregò che gli sbirri che gli stavano alle calcagna non lo raggiungessero mai.
Era passato tanto tempo da quando aveva visto una roba del genere. La gente era troppo spaventata per provare ancora qualcosa. La tecnologia americana per il controllo sociale era la più implacabile e aveva invaso tutto il mondo.
Cosa stava usando? Doveva essere davvero speciale, per superare così tanti sistemi diversi.
Quel che potrei fare con un codice del genere...
Stupida, anche solo a pensarlo. Cercare di cambiare il mondo aveva fatto rinchiudere a vita la sua migliore amica senza nemmeno un processo, e Kalyani era quasi rimasta uccisa.