Christopher Bollen Una Notte A Capri
Un giovane artista senza un quattrino nella piscina dell’hotel più elegante dell’isola. Una ricca signora, un gruppo di ballerini russi. Un furto milionario. Intrighi e macchinazioni, forse, si sveleranno dopo il tramonto. Ma non tutto è come sembra in questo racconto giallo, seducente come l’estate e brillante come una spilla preziosa.
Non aveva mai rubato nulla prima d’ora. Sì, certo, crescendo lontano da tutto, nelle basi militari d’Europa e d’Asia, gli era capitato di mettersi in tasca delle cosette insignificanti. Come tutti i bambini, giusto per vedere se l’avrebbe passata liscia – un set di dadi, un dvd, la fotografia del bel fratello maggiore di un amico. È pure vero che mentre frequentava la scuola d’arte a Londra, occasionalmente aveva rubato cibo all’alimentari, unico modo per fare tre pasti al giorno. Sempre all’epoca in cui era studente, forse in qualche occasione era anche scappato da un ristorante senza pagare il conto. E okay, c’è stata poi quella volta in cui, ubriaco, durante un matrimonio, si ficcò nella tasca dei pantaloni lo stiletto di cristallo usato come centrotavola e abbandonò la cerimonia con grande cautela. Ma questi erano furti perdonabili, la storia criminale di un ragazzino. Alex Falconer non era un ladro. All’età di 29 anni era un rispettabile, anche se decisamente povero, pittore astrattista.
E allora cosa ci faceva, a giugno, in una stanza dell’hotel più elegante di Capri? Il suo gallerista di New York gli aveva girato l’invito di una ricca coppia italiana con una villa nascosta da qualche parte lungo quella costa incantevole. La coppia aveva acquistato due quadri di Alex alla fiera d’arte di Shanghai e i due si erano talmente innamorati del suo lavoro da invitarlo a vedere i quadri che avevano appeso alle loro pareti. Alex, che era un po’ troppo pallido anche nelle estati più infuocate, aveva subito approfittato di quel viaggio gratuito. Non era mai stato a Capri. Sia il volo da Londra a Napoli che la successiva traversata in traghetto con il mare mosso lo avevano eccitato ma anche sfinito. Così aveva dormito tredici ore svegliandosi non al canto degli uccellini ma con i fischi degli ospiti che dalla piscina cercavano di attirare l’attenzione dei camerieri.
Si rese conto che non aveva nemmeno il numero dei suoi ospiti, quindi immaginò di dover aspettare nei paraggi che lo chiamassero. Alle tre, non avendo sentito nulla, si mise il costume, un paio di modesti pantaloncini al ginocchio a righe rosse. Aveva un corpo sottile e perfettamente definito, ma mancava di quella fiducia in se stesso necessaria per un costume più aderente e audace. Si legò un morbido asciugamano viola intorno alla vita e passando dalla hall si diresse verso la piscina che aveva una superba vista sul mare. Era un esagono turchese circondato da sette colonne in marmo, e sembrava un omaggio all’epoca in cui l’imperatore romano Tiberio, in vacanza a Capri, gettava dalla roccia i suoi ragazzini, dopo averli usati per il proprio piacere.
Nel tardo pomeriggio la folla si era assottigliata, liberando la visuale su un’anziana, robusta signora con indosso un accappatoio largo e pesante, stesa su una sdraio. Un gruppetto di giovani muscolosi tutti in costume Speedo verde lime erano accovacciati intorno a lei come cagnolini.
Alex scelse una sdraio dalla parte opposta della piscina.
I capelli della donna erano viola metallico, perfettamente acconciati. Alle dita aveva diamanti talmente vistosi e scintillanti che facevano venire mal di testa e portava occhiali da sole rivestiti di smeraldi. Gli uomini che la circondavano erano talmente abbronzati che a fatica si distinguevano i loro lineamenti, parlavano un inglese smozzicato con accento russo e anche se scoppiavano a ridere ogni due o tre frasi la donna non rideva mai, anzi, la bocca rimaneva corrucciata con vistose rughe che andavano dal labbro superiore al naso.
Alex camminò fino al bordo della piscina e scivolò nell’acqua tiepida. Galleggiare gli sembrò la cosa più naturale al mondo, poi si immerse fino a toccare il fondo con i palmi e con qualche sgambata tornò in superficie. La donna e il suo harem lo accolsero con sguardo truce. «Non schizzarci!», urlò il più grosso e alto di loro.
Alex nuotò verso la scaletta con bracciate calme.
Una volta tornato al suo lettino lo avvicinò un cameriere in livrea bianca. «Ho un messaggio da parte dei suoi amici», gli disse porgendogli un biglietto con l’intestazione dell’hotel. E rimase lì in piedi a fargli ombra perché potesse leggere. «Ci dispiace molto Eric» – peccato che si chiamasse Alex – «ma siamo a Sorrento in barca e siamo stati trattenuti. Forse è meglio rimandare. Speriamo di vederci la prossima estate». Alex alzò lo sguardo verso il cameriere che, con un sorriso dispiaciuto, disse: «Temo che non pagheranno un’altra notte». «Ma...», provò a ribattere lui rendendosi subito conto dell’inutilità di qualsiasi rimostranza. Cosa avrebbe potuto dire a un cameriere perché convincesse la direzione di un costoso hotel cinque stelle a farlo rimanere senza pagare? I suoi ospiti avevano furbescamente mandato solo una nota, se gli avessero scritto una mail o telefonato avrebbero dovuto fare i conto con la sua rabbia.
In quel momento dall’altra parte della piscina si alzarono le grida della donna: «Dov’è? Avete visto tutti che lo avevo quando sono arrivata in piscina!». Si tastò freneticamente il petto e l’accappatoio. I ragazzi sciamarono via come mosche verso le sedie vicine. La donna urlava in un inglese con forte accento americano: «La mia spilla! Era nel mio