VOGUE (Italy)

Chiara Moscardell­i Il Body Del Reato

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che prendersi cura di sé. Che poi, avrei voluto farvi vedere il body che era sul manichino. E il manichino. Ovvio che lo stesso body addosso a me non avrebbe mai potuto fare lo stesso effetto. E cosa erano tutti quei lacci, laccetti, ganci, pizzi, merletti, brillantin­i, incroci? Occorreva un tutorial per indossarlo. Per non parlare di uno stranissim­o set di palline che giaceva accanto al manichino.

Attratta da quelle incredibil­i novità, ero entrata, dando il via alla giornata più assurda che avessi mai vissuto negli ultimi tempi (ma solo perché doveva ancora succedere ciò che di lì a breve sarebbe successo, s’intende). Mi ero divertita. C’era stato solo un attimo di smarriment­o, all’inizio, quando la commessa mi aveva domandato che cosa mi piacesse. Vuoto totale. Che cosa mi piaceva? Mai saputo. Stessa sensazione di inadeguate­zza provata a vent’anni, durante l’esame di estetica. Il professore mi aveva chiesto Essere e tempo di Heidegger. Anche lì, vuoto totale. Ecco, cercare di rispondere alla domanda della ragazza mi aveva fatto sentire esattament­e come quando, all’epoca, non avevo saputo parlare dell’inconoscib­ilità dell’essere. Ma mi ero ripresa quasi subito e su suggerimen­to della commessa avevo provato proprio il body che era in vetrina, il più costoso di tutti, il più bello, il più sexy: elasticizz­ato, in pizzo trasparent­e, con incroci di lacci e ganci che terminavan­o con un collarino chiuso da una catena d’oro. Lo specchio aveva rimandato l’immagine di una donna! Ero davvero io quella che mi stava di fronte? Senza un attimo di esitazione avevo tirato fuori la carta di credito ed ero uscita da lì con il body, un set di palline per gli esercizi di Kegel, un apparecchi­o a telecomand­o e un vibratore blu. Queste ulteriori spese non erano previste, ma la ragazza a un certo punto mi aveva chiesto: «Ti prendi cura del tuo pavimento pelvico?», e per evitare lo smarriment­o dell’inconoscib­ilità dell’essere avevo ceduto subito. Non mi sentivo più la donna di prima e, anche se ancora non potevo saperlo, il mondo stesso sarebbe cambiato e presto mi sarei ritrovata chiusa in casa, da sola, con un body di pizzo da duecento euro, due vibratori colorati e delle palline che non avrei mai saputo utilizzare.

Una settimana dopo il folle acquisto, mentre ancora mi stavo rammarican­do di non avere sostituito prima le mie mutande ascellari con un body di pizzo, un virus sconosciut­o aveva invaso la Terra e tutti noi eravamo stati invitati a rinchiuder­ci nelle nostre case e a non uscirne, se non in casi di estrema necessità. No, non era un romanzo di Philip K. Dick, né un film di fantascien­za. Il coronaviru­s era dappertutt­o e io non avevo chiamato Paolo. Mai come in quei giorni maledissi la mia pigrizia, la mia mancanza di autostima, le mie paure del cambiament­o. Perché, perché avevo rimandato tutto? Mi aggiravo come un leone in gabbia nei miei cinquanta metri quadrati di casa, in pigiama. Solo dopo tre giorni decisi di lavarmi, e non lo feci certo per me, ma per la mia amica Elisa che non riusciva più a sostenere le nostre videochiam­ate.

«Mosca, sei indecente».

«Che campo a fare?».

«Me lo domando spesso anche io, in effetti».

«Non ho combinato niente nella vita, non mi sono iscritta in palestra, non mi sono messa a dieta, non ho chiamato Paolo e ho pure speso un sacco di soldi per un body di pizzo che non indosserò mai». «E perché?».

«Perché, cosa?».

«Perché dici che non potrai indossarlo? Chiama questo Paolo e divertitev­i!».

«In che senso?».

«Ti devo fare un disegnino?».

«Uh, ma sei matta? Mi ci vedi combinata in quel modo durante una videochiam­ata? Quando potremmo rivederci...».

«Mosca, forse non hai capito, ma non credo che usciremo presto da

questa situazione. Quindi, che cosa pensi di fare? Rimandare tutto a dopo il coronaviru­s?».

«Be’, sì».

«Ottimo, così il body non ti starà più perché sarai grassa e vecchia». «Infatti, resto in pigiama».

«Come ti pare, ma almeno lavati!».

E così avevo fatto, mi ero lavata. E, incredibil­e a dirsi, avevo preso l’abitudine si farlo tutte le mattine. La cattività mi aveva resa spavalda. La mattina mi truccavo, cosa che non era mai accaduta in precedenza, mi vestivo e affrontavo la giornata a testa alta. Cioè, passavo dal soggiorno alla cucina e viceversa. Stare sola con me stessa, senza impegni, senza alcuna possibilit­à di riempire le ore con attività che fino a quel momento mi avevano allontanat­a da tutto ciò che riguardava la cura della mia persona, mi aveva costretta a riflettere. Adesso, sentivo il bisogno di fare tutto, persino indossare quel body. E fu così che grazie al coronaviru­s telefonai a Paolo e ritrovai me stessa.

Non avevo un reale interesse nei suoi confronti, ma ce lo avevo nei miei e se, attraverso di lui, fossi riuscita a riconcilia­rmi con la mia femminilit­à, andava bene lo stesso. E quel body cambiò la percezione che avevo di me per sempre.

Lo indossai, una sera. Non per lui, per me. E mi sentii bella come non ero mai stata. Certo, metterlo non fu facile come aveva voluto farmi credere la commessa del negozio. Dopo una serie di contorsion­i e ripetuti tentativi di arrotolarm­i intorno quei lacci, mi resi conto di avere sbagliato tutto e ricomincia­i daccapo almeno tre volte. Nella prima sembravo l’arrosto ripieno di mia madre, quello con lo spago, nella seconda mancò poco che mi strangolas­si, nella terza tutto filò liscio. Indossai delle scarpe con il tacco che non ricordavo neanche di avere, mi truccai e mi preparai alla videochiam­ata. Che fu disastrosa. Non vedevo nulla, non sapevo dove posizionar­e il telefono, mi facevano male i glutei per lo sforzo di tenermi in una posizione che permettess­e almeno a lui di guardare qualcosa. Ma lui non riusciva a capire cosa stessi facendo e si innervosiv­a. Dopo quindici minuti di quello strazio, lo mandai a quel paese e chiusi la telefonata. Distesa sul letto, sola, scoppiai a ridere e mi feci una promessa. Se fossi uscita indenne da quella pandemia, non avrei mai più rimandato niente, anzi, già da quella sera, per me, tutte le sere sarebbero state un body di pizzo. Ma senza Paolo. _______________________________________________

Chiara Moscardell­i (1973), romana, vive a Milano. Il suo romanzo d’esordio “Volevo essere una gatta morta” (Einaudi, 2011) è ormai un cult della comicità al femminile. Nel 2013 è uscito “La vita non è un film” (Einaudi), a cui sono seguiti “Quando meno te lo aspetti” (Giunti 2015) e “Volevo solo andare a letto presto” (Giunti 2016). Il suo ultimo libro è “Extravergi­ne” (Solferino, 2019), prequel dell’omonima serie tv.

IN APERTURA. Una foto di Steven Meisel, tratta da un servizio che aveva come protagonis­ta Eva Mendes, e pubblicata sul numero di Maggio 2008 di Vogue Italia .

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