ALMODÓVAR, VIENI A MILANO?
Cosa può fare una CITTÀ INNOVATIVA e progressista per avvicinare sempre di più le mostre, i concerti e i festival alle NUOVE GENERAZIONI? TOMMASO SACCHI, assessore alla CULTURA meneghina, qualche IDEA in proposito ce l’ha. Di FEDERICO CHIARA
uesta intervista ha un prima e un dopo. In mezzo c’è un evento eccezionale: la tempesta che, nella notte del 25 luglio, ha colpito il capoluogo lombardo con una violenza paurosa. Ecco il “prima”: l’assessore alla Cultura di Milano Tommaso Sacchi si trova in Sicilia, dove sta trascorrendo una breve vacanza. «Domattina partirò alla volta di Buckingham Palace per creare connessioni tra il loro e il “nostro” Palazzo Reale, che sei mesi fa è stato ammesso nel circuito prestigioso delle residenze reali europee e quindi non sarà più solo una sede di esposizioni temporanee, ma anche un luogo dove ammirare gli arredi e le decorazioni d’epoca», mi rivela orgogliosamente al telefono, dopo aver raccontato alcuni dei progetti in serbo per la stagione 2023/24. Inutile dire che quel viaggio a Londra viene cancellato. Alle 4 di notte, Sacchi salta giù dal letto per volare col primo aereo a Bologna, e poi raggiungere in treno Milano dove si è reso necessario un intervento urgente in diversi luoghi culturali meneghini, come il Castello Sforzesco, danneggiati da venti a 118 km/h. È questo il “dopo”: visite, controlli, ripristini a tempo di record, perché Milano negli ultimi anni è diventata una città turistica e i suoi musei e monumenti, nel pieno delle vacanze estive, devono essere fruibili. Quando ci risentiamo, gli chiedo se la cultura può fare qualcosa per contrastare l’emergenza climatica. «Viviamo una fase storica dove il rapporto tra l’uomo e la natura va trattato anche da un punto di vista culturale ed etico», risponde Sacchi. «Questi fenomeni così frequenti devono essere considerati temi culturali. Milano ha fatto e continuerà a fare iniziative per contrastare il cambiamento climatico. Mi chiedo spesso se un festival
Qsull’ambiente o altre iniziative simboliche di breve durata possano servire: forse è più necessario che ognuno di noi faccia proprio, nelle sue azioni quotidiane, il rispetto verso il Pianeta. Va fatta una profonda riflessione sul modo di vivere i centri urbani, sui consumi, sulle abitazioni; è un tema che tocca tutti in questa fase emergenziale».
Milano è considerata la città italiana più europea e quella più pragmatica, dove privato e pubblico collaborano proficuamente. Lei è d’accordo? E se sì, in che misura questo coincide anche col “fare cultura”?
Dipende moltissimo da cosa si intende con “fare cultura”. Una comunità si basa su principi, valori e obiettivi comuni, altrimenti non è data. E Milano ha da sempre, storicamente e oggi ancora di più, una struttura ideale e di pensiero che si esprime in ogni campo – dalla letteratura alla musica, dall’arte all’innovazione – e sostiene gli investimenti, i progetti e le attività, insomma tutto ciò che contribuisce alla definizione di “città pragmatica”. Oggi questa consapevolezza è più diffusa, gli investimenti culturali sono un obiettivo di bilancio per molte aziende e fondazioni, le partnership tra enti pubblici e privati sono molto più frequenti e improntate alla fiducia reciproca. L’essere città europea – cioè non solo produrre la ricchezza economica, ma anche rappresentare e accogliere le diversità culturali di un intero continente – non è il risultato ma la ragione stessa della reputazione di Milano.
Quali città straniere studia come modello quando si tratta di progetti per la cultura che rendano partecipi i giovani?
I modelli sono tantissimi e molto diversi tra loro, perché radicati in differenti realtà storiche, culturali ed economiche. Ma tutte le città a cui penso hanno in comune la volontà di accogliere la diversità, di creare opportunità di incontro, confronto e dialogo, di realizzare spazi e strumenti per supportare le attività dei giovani. La nostra missione di amministratori pubblici è questa, il resto lo fa il loro talento, dovunque nel mondo. Ad esempio penso alla Roma di Renato Nicolini, che ha anticipato una riflessione sulla diffusione della cultura e sulla creazione di palinsesti estivi aperti a tutti (allora erano le Estati Romane, oggi Milano è Viva o l’Estate Fiorentina), penso alle conversioni di grandi aree ex industriali come la Friche la Belle de Mai di Marsiglia o il Matadero di Madrid o, ancora, alla creazione di una nuova idea di biblioteca come quella di Helsinki, dove non si prendono solo in prestito i libri, ma si prestano strumenti musicali o si impara a cucinare un piatto.
Quali sono le iniziative di cui va più fiero nella sua gestione dell’assessorato alla Cultura?
Non sono passati ancora due anni dall’inizio del mio mandato ma abbiamo davvero molti importanti progetti in cantiere. Tuttavia, sono già orgoglioso di avere sostenuto dal 2022, grazie a un finanziamento di 2,5 milioni di euro, il mondo dello spettacolo dal vivo che usciva molto provato da due anni di inattività a causa del Covid. Sono anche felice di aver realizzato il primo Festival dei Bambini di Milano, trasformando il Castello Sforzesco in un grande laboratorio e mettendo in contatto i piccoli milanesi con le bellezze artistiche della loro città. C’è poi un grande lavoro sulla valorizzazione dei musei civici: nei mesi scorsi abbiamo presentato un palinsesto di oltre
40 grandi mostre. Solo per fare qualche esempio, abbiamo portato a Palazzo Reale Hieronymus Bosch o una mostra, profonda e divertente al tempo stesso, come l’antologica di Leandro Erlich, e tra qualche settimana attendiamo l’arrivo dei capolavori di El Greco e di Goya.
Che cosa si può fare per avvicinare i giovani alla cultura? Penso, per esempio, a musei gratuiti ma anche a istituzioni che li coinvolgano attivamente.
I Musei Civici di Milano, come il Museo del Novecento o il Castello Sforzesco, hanno prezzi decisamente popolari, nonostante la ricchezza delle loro collezioni, e ogni prima domenica del mese sono a ingresso gratuito. Le grandi mostre di Palazzo Reale, che spesso hanno costi di realizzazione molto elevati, prevedono sempre una scontistica per gli studenti. Le biblioteche civiche si stanno trasformando in veri e propri centri culturali, di informazione e confronto, con moltissime iniziative gratuite che intersecano la lettura con il teatro, il cinema e l’arte. Tuttavia vorrei affermare un principio in cui credo molto: i progetti artistici e culturali hanno un costo, e chi lavora in questo ambito ha il diritto di essere pagato. Pertanto, l’importo del biglietto per assistere a uno spettacolo o visitare una mostra dovrà essere individuato calibrando con grande attenzione prezzo e accessibilità. Sto lavorando con la mia squadra a una card per accedere alle collezioni civiche quando si vuole, valida un intero anno a un prezzo davvero simbolico. Così i numeri possono crescere, anche tra i giovani.
Parliamo di agorà virtuali: c’è un modo in cui Milano può presidiare questo spazio e creare partecipazione, nelle piattaforme social o altrove?
Le biblioteche civiche sono senz’altro il riferimento più opportuno per creare piattaforme di dialogo, essendo anche in grado di fornire gli strumenti di informazione necessari per discussioni su temi importanti per la vita della città. E la BEIC, Biblioteca Europea di Informazione e Cultura che nascerà nel quartiere di Porta Vittoria nel 2026, sarà un istituto di nuova concezione, con una struttura tecnologica molto avanzata, che senz’altro potrà gestire processi di questo tipo, agevolando il dialogo tra cittadini e istituzioni.
Con Piano City e i concerti della Scala in piazza Duomo si è portata la cultura alta, e di solito elitaria, in spazi pubblici gratuiti. Come hanno risposto le nuove generazioni?
Piano City e i concerti della Filarmonica in piazza del Duomo sono ormai una tradizione attesa e partecipata da un pubblico spesso nuovo, ma soprattutto trasversale. Ma anche altri importanti festival e iniziative, gratuiti o a prezzo calmierato, sono già attesi dalla città: dal Festival MITO, la cui 17esima edizione si svolge a settembre, a
Estate al Castello, rassegna che, per l’undicesimo anno, vede uno spettacolo ogni sera da giugno a settembre, fino a La Scala in città che, giunta ormai alla sua terza edizione, ha portato nei nove municipi di Milano l’orchestra della Filarmonica, il Corpo di Ballo e il Coro, con un programma completamente dedicato ai cittadini dei quartieri di Milano.
Lo chiedo provocatoriamente: tutto ciò è cultura o intrattenimento?
Prima di risponderle voglio dirle che mi vengono in mente alcune citazioni che possono apparire contrastanti ma non lo sono, a testimonianza del fatto che quando c’è sostanza e intelligenza si può tranquillamente spaziare nell’offerta culturale con generi, format e stili diversi. Umberto Eco, per esempio, affermava che «La cultura di massa è l’anticultura», mentre Dario Fo diceva: «Ancora non si è capito che soltanto nel divertimento, nella passione e nel ridere si ottiene una vera crescita culturale». Noi cerchiamo di sostenere la cultura in tutte le sue forme, l’arte in tutte le sue espressioni, lo spettacolo in tutte le sue declinazioni, la musica di tutti i tempi tenendo conto che Milano è una città attenta e giustamente esigente. Attraverso i nostri istituti museali si fa ricerca, si studiano le collezioni, le si valorizza, si raccontano la storia e il presente. Il nostro compito è favorire conoscenza,
studio, valorizzazione contribuendo a creare sempre più frequenti, e migliori, occasioni di crescita per la nostra comunità.
Da milanese lei è stato assessore alla Cultura, Moda e Design del Comune di Firenze. Cosa ha portato di quella esperienza a Milano, quando è stato nominato?
Posso essere molto sincero? Firenze mi è rimasta nel cuore, non solo per l’esperienza di assessore in una delle più importanti città d’arte del mondo, ma anche per l’affetto dei fiorentini che mi hanno accolto da subito facendomi sentire a casa. Per quattro anni consecutivi ho curato l’Estate Fiorentina, una rassegna che unisce arte contemporanea, installazioni, musica e performance, valorizzando anche il patrimonio storico-artistico. Lì ho sperimentato come la multidisciplinarietà di un progetto lo renda più interessante e coinvolgente. Per questo cerco sempre, anche ora a Milano, di costruire palinsesti in grado di intercettare l’interesse di un pubblico differenziato, che sia trasversale rispetto alle diverse fasce di età e ai diversi interessi. Un’altra certezza che mi porto da Firenze è che non ci sono gradi di separazione tra arte, moda e design, così come non esistono arti nobili e altre meno nobili. La creatività di un tempo, che si è fatta storia, si intreccia con quella di oggi, che ha confini sempre più permeabili e orizzonti sempre più ampi, dove i talenti si mescolano in un unico scenario: la nostra cultura di domani.
Recentemente, con l’uscita del film Barbie, un’intera piazza è stata tematizzata. Parliamo di cultura e co-branding, ovvero approcci aziendali pop alla cultura. Quali accordi vedremo nel corso della stagione autunno-inverno?
Io credo che un bel progetto vada sempre comunicato bene. Certo, in tempi di sovraesposizione mediatica, il rischio è che si confonda il marketing con il messaggio stesso. Occorre vigilare, certo, ma trovo giusto investire in un racconto serio e al tempo stesso attrattivo. Per quanto riguarda i progetti che realizziamo in partnership con aziende e fondazioni private, la comunicazione è sempre stata condivisa in modo equilibrato ed efficace. Penso a BookCity, JazzMi o la Prima Diffusa (la Prima della Scala trasmessa in varie parti della città, ndr), giusto per fare riferimento ad alcune iniziative del prossimo autunno. Diverso è l’utilizzo di strade, muri, spazi della città per una c omunicazione commerciale vera e propria. In quel caso entrano in gioco regole e tariffe che aiutano la produzione culturale e i servizi urbani.
In questa amministrazione lei è considerato un tecnico, quindi a livello politico un battitore libero. Quanto deve riconoscersi nelle idee, nelle priorità e nei colori di una amministrazione per ricoprire un ruolo istituzionale come il suo?
Se è vero che sono un battitore libero, nel senso che non ho in tasca tessere di partito, è altrettanto vero che mi riconosco pienamente nei valori etici e politici dei miei compagni di lavoro. Ho sempre e solo lavorato con amministrazioni governate da sindaci e giunte democratiche e progressiste. Credo nei diritti, nel progresso, nelle diversità come valore e ho la fortuna di lavorare con un sindaco come Beppe Sala, che dimostra coi fatti e con il suo buon governo l’affermazione di questi valori etici e culturali. Non potrei prendere parte a un progetto politico che non sia fortemente legato a queste priorità.
Nelle nostre interviste ci piace lanciare delle sfide che diventano degli appelli: con chi le piacerebbe collaborare, durante il suo mandato di assessore?
Tra i tanti, ho due grandi sogni che spero potranno diventare realtà. Il primo riguarda Anselm Kiefer. I suoi Sette Palazzi Celesti sono diventati uno dei simboli della nuova Milano. Grazie all’intuizione di Hangar-Bicocca nel 2004, l’artista tedesco ha interpretato in modo permanente uno spazio industriale oggi diventato un luogo di riferimento per il contemporaneo internazionale. Mi piacerebbe che proprio qui a Milano potesse essere celebrato con una mostra che, partendo dai Sette Palazzi, si estenda alla sua straordinaria e varia produzione d’arte. L’altro riguarda Pedro Almodóvar, un grande poeta del cinema del nostro tempo, capace di raccontare storie partendo dalla ricchezza delle diversità, da una visione plurale dell’umanità e del mondo, un artista/regista che affronta temi, ambiguità, complessità e paradossi contemporanei attraverso la poesia del cinema. Se avessi la bacchetta magica mi piacerebbe vedere come Almodóvar racconterebbe la Milano di questi nostri anni.
Qual è la sua maggiore vanità? Un’abitudine poco conosciuta, un vizio capitale?
Distinguo molto la vita privata dal mio lavoro. Il rischio vero è che anche quando viaggio o fotografo (due mie grandi passioni) prenda appunti per il mio lavoro.
C’è un tipo di abbigliamento che, per lei, funziona da “power dressing”?
Non ho un vestito che, più di altri, mi fa sentire a mio agio o più forte. Ma sono legato ad alcuni aspetti emotivi dell’abbigliamento. Per esempio, mio nonno materno, che era un ingegnere molto attento ai dettagli, prima di andarsene mi ha lasciato la sua collezione di 50 cravatte. Ecco, negli appuntamenti importanti, ne indosso sempre una.