Vincent Fournier
COME EVOLVERÀ IL RAPPORTO UOMO-MACCHINA NEI PROSSIMI ANNI? NON VERREMO DOMINATI DAI ROBOT MA CONTINUEREMO A CRESCERE GRAZIE All'INTELLIGENZA ARTIFICIALE, NONOSTANTE I SUOI INEVITABILI-EFFETTI COLLATERALI'
«Benvenuti nella vostra obsolescenza»: così titolava due anni fa la pagina New York Times Book Review a proposito di automazione del lavoro, robotica e ascesa dell’intelligenza artificiale. Una cosa è certa: viviamo in tempi interessanti e di confine, in cui iniziano a delinearsi alcune delle traiettorie fondamentali che daranno forma al nostro futuro di esseri umani su questo pianeta. L’I.A. in primis guadagna terreno, trova crescenti spazi di applicazione ma non ha dimostrato tutto il potenziale. Siamo sulla linea di confine e quanto ci aspetta deve ancora disvelarsi: la distopia delle macchine al potere è non solo un’ipotesi da fantascienza ma anche una possibilità da tenere in considerazione. Jerry Kaplan, docente alla californiana Stanford University, imprenditore sociale e autore di numerosi best seller, è uno dei massimi studiosi degli impatti di intelligenza artificiale e automazione sia sulla società sia sul mercato del lavoro. Il suo ultimo libro, intitolato
Le persone non servono, è una disanima di nostri possibili futuri condizionati dal rapporto che instaureremo con le macchine e la loro intelligenza.
Mr. Kaplan, l’intelligenza artificiale è definibile come una zona di confine che porta all’incontro di ambiti diversi come informatica e robotica? «Un aspetto interessante dell’I. A. è che non si tratta di un settore definito, come la chimica o la fisica, bensì di una collezione di tecnologie che in genere hanno relazioni tra di loro. Per me è composta da tre elementi: lo sviluppo di sistemi ispirati da comportamenti biologici o attività umane, come gli aerei lo sono dagli uccelli; lo studio della mente dell’uomo attraverso la costruzione di modelli elettronici o meccanici; infine, la creazione di sistemi che rendono più semplice interagire con gli apparecchi elettronici, comprenderli, usarli».
Una particolare forma di user expe
rience, in sostanza. «Tempo fa ho scritto che “intelligenza artificiale” in realtà non è un termine corretto, in quanto riferito allo sviluppo di sistemi computazionali dedicati a mansioni che fin qui hanno richiesto l’apporto dell’intelletto dell’uomo. È una definizione limitante, che non copre quanto sta accadendo né ciò che oggi consideriamo l’I. A. Proponevo di sostituirlo con “computing entropico”, una forma di uso della macchina incentrata sull’umano». In futuro il confine tra umani e macchine sarà più labile e, forse, i due ambiti saranno sempre più interconnessi. Siamo vicini a una fase in cui interagiranno in modo ancora più stretto, addirittura quasi simbiotico? «Questo concetto mi pare basato su nostre paure primordiali, secondo le quali ci staremmo ibridando con le macchine che presto ci sostituiranno. In realtà già oggi usiamo loro e l’elettronica per accrescere in modo enorme le nostre capacità. Un esempio? Prendi quest’intervista: tu sei in Italia, io in California eppure ci parliamo via skype e, ovviamente, lo troviamo normale. Tutt’altro che stupefacente o spaventoso, eppure stiamo appunto estendendo la nostra capacità di sentire e parlare anche a distanza. Se poi riducessimo la tecnologia al punto da inserircela nelle orecchie e metterla a contatto con il cervello, senza dispositivi esterni, allora potremmo pensare di aver indebolito la distinzione tra umano e macchina. Ma c’è davvero tanta di erenza se il telefono è attaccato a me o è un apparecchio separato? Sono molti i modi in cui stiamo già crescendo – sia nel corpo che nella mente – grazie alla tecnologia: il trend prosegue e l’incorporazione fisica non è uno step così significativo».
Prevale la sensazione di essere in una fase di passaggio, in cui né l’intelligenza artificiale né l’automazione hanno ancora mostrato il reale potenziale. «Sono d’accordo, forse stiamo per superare un confine. Però ignoriamo a che punto siamo o cosa ci sia dall’altra parte. Questo passaggio porterà strumenti elettronici ancora più utili, tipo uno smartphone da arrotolare e mettere in tasca o roba simile. O magari porterà all’eliminazione o alla riduzione dell’unicità dell’uomo: gli attori più importanti, a livello di pianeta e di universo, potrebbero non essere più umani bensì macchine create da noi. Non sappiamo quale delle due alternative sia più realistica ma questo processo continuo è iniziato centinaia di anni fa. Prima forse procedeva più lentamente, ora accelera».
Quindi esiste, quel confine. «Impossibile “fissarlo” all’interno di un processo continuo! Il problema è che non sappiamo dove stiamo andando e a quale velocità. Ci sono cose che cambieranno in modo drammatico, ma non alla velocità che pensiamo: no, tra un decennio non faremo la guerra con i robot, per esempio. Di cile rispondere, quindi. Certo è che si registra un’accelerazione, nello sviluppo tecnologico, che punta ad accrescere gli umani».
I robot oggi usati nelle catene di montaggio per svolgere funzioni ripetitive sono diversi da quelli con la capacità di adattarsi flessibilmente all’ambiente circostante: macchine in grado di imparare dall’habitat e di rispondere alle sollecitazioni esterne. Questa dierenza rappresenta un altro confine? «La combinazione tra tecniche di machine learning e progressi nell’ingegneria meccanica, termine meno impegnativo di “robotica”, creerà una nuova classe di macchine che avranno un posto visibile, interessante e intrusivo sia nelle nostre vite che negli spazi fisici. Oggi, quando vengono rilasciate nuove applicazioni per gli smartphone, non percepiamo come la loro presenza invada il nostro ambito. In futuro ci staremo più attenti perché le vedremo e potremo toccarle, quasi si trattasse di una nuova classe di animali domestici con cui interagire. Insomma, controllare che questi dispositivi si comportino bene e siano “istruiti” nel modo giusto, sarà molto importante».
Quale ruolo avranno gli algoritmi in questo scenario? Vede una connessione tra essi e l’intelligenza artificiale? Pensiamo al loro ruolo così discusso nelle piattaforme social e nell’informazione. «Basta guardare le attività delle aziende di social media, per vedere quanto importante sia la quota di studi dedicata alle applicazioni per nuove tecnologie di I. A. Non è chiaro se tutte portino benefici né quanto gli eetti collaterali possano rivelarsi problematici: le fake news esistevano anche prima di internet ma l’attuale design delle piattaforme social tende ad amplificarle e a ridurre la nostra capacità di distinguere i fatti dalla finzione. È certo un eetto collaterale, di cui anni fa non eravamo consapevoli, e l’intelligenza artificiale verrà usata per ridurne l’impatto. La domanda da porsi è: come farlo al meglio? Le nuove tecnologie di I. A. portano allo stesso tempo benefici e potenziali problemi».
Il suo ultimo libro tratta dell’impatto sociale dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sulla società, in particolare sul lavoro: anche in questo caso ci sono benefici e importanti costi sociali. Come porre dei limiti a nché i secondi non siano troppo gravi? «Non dobbiamo regolamentare questioni ancora inesistenti. Fino a quando non scopriremo quali siano i problemi specifici e se davvero rappresentino dei problemi, limitare lo sviluppo della tecnologia sarebbe un approccio scorretto perché rischieremmo di perdere i benefici per evitare qualcosa che potrebbe non manifestarsi. A proposito di intelligenza artificiale: a tutt’oggi, sono ben pochi gli elementi che ne giustificherebbero una limitazione. Quando si guarda però all’applicazione della stessa a problemi singoli o a singole aree, è chiaro: in alcune sarà estremamente positiva, in altre potrebbe avere severi eetti collaterali. Ma generalizzare è sbagliato».
Facciamo un esempio. «Se le automobili non esistessero e qualcuno si proponesse di costruirle, studieremmo come consentire alle persone di usarle per andare al lavoro ma non per rapinare le banche? Sarebbe una distinzione impossibile, che finirebbe per sopprimere una tecnologia che avrebbe molti benefici per la società. L’esempio delle vetture è significativo: se dovessimo ricominciare da capo e dicessimo che milioni di persone verranno uccise dalle auto, ogni anno e in tutto il mondo, forse eviteremmo di crearle. La verità è che ci abituiamo più di quanto dovremmo ai costi delle tecnologie».