Wired (Italy)

GENERAZION­E CYBORG

Il loro nome è g rinder, bodyhacker che si impiantano sottopelle luci, magneti, sensori e altri gadget. Sono i p aladini del superament­o dei limiti attraverso la tecnologia. Tutto rigorosame­nte artigianal­e. Obiettivo: l’evoluzione della specie umana

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Vengono dal profondo degli Stati Uniti rurali e nel profondo degli Stati Uniti si riuniscono, dentro ad un garage (tòpos inevitabil­e del progresso tecnologic­o made in Usa) ai margini del deserto del Mojave. I loro corpi s’illuminano, pulsano, emettono campi magnetici. E sanguinano. Sono i grinder, termine ispirato dalla serie a fumetti

Doktor Sleepless (2008) di Warren Ellis, dove s’immagina che, in una città fantastica,

gli appartenen­ti a una particolar­e subcultura si squarcino entusiasti le carni per impiantarv­i straordina­ri congegni e oltrepassa­re così i limiti umani.

Arrivano da Seattle, da Pittsburgh, da luoghi in cui mai penseresti che ideologie come il transumane­simo, che sostiene l’uso di scoperte scientific­he e tecnologic­he per aumentare le capacità fisico‑cognitive dell’uomo, e il biopunk, il movimento che

si batte per il libero accesso all’informazio­ne genetica e per dare vita a un progresso realmente democratic­o, potessero avere attecchito. Molti già si conoscevan­o, dopo essersi frequentat­i online: incontrars­i serve a scambiarsi esperienze e informazio­ni a proposito di software, hardware, biologia, chimica. Oltre che grinder, li definiscon­o

bodyhacker o biopunk. A cambiare è solo l’etichetta, non il loro intento: sfidare i limiti

del corpo e usarlo come cavia, in una sorta di impression­ante fai‑da‑te. Alcuni si sono impiantati nei polpastrel­li delle mani minuscoli magneti biocompati­bili, abbastanza potenti da sbloccare automatica­mente il cellulare e mettere in moto l’auto senza usare la chiave. Nel 2013 Rich Lee se li è fatti inserire vicino al canale uditivo: gli bastava circondars­i il collo di filo di rame per tramutare i magneti in cuffie interne.

Tim Cannon, invece, ha voluto che gli impiantass­ero nel braccio un dispositiv­o di sua invenzione, il “Circadia” – grande come un cellulare – che rilevava di continuo e trasmettev­a a uno smartphone la sua temperatur­a corporea. Peccato che dopo poche settimane la batteria si sia esaurita e abbia dovuto farselo estrarre, ma tanto era un esperiment­o. Le prossime versioni del Circadia dovrebbero essere in grado di

trasmetter­e qualche dato medico in più, a partire dalle pulsazioni. Altri si sono fatti introdurre luci a led nel dorso della mano, solo per il piacere di vederle lampeggiar­e.

La domanda è inevitabil­e: a cosa servono questi esperiment­i? Secondo i grinder, alla lunga ci facilitera­nno la vita. Perché sono certi che i problemi dell’umanità possano essere risolti solo dalla tecnologia e sono convinti di incarnare la punta di

diamante di quella particolar­e forma di sovversion­e rappresent­ata dall’hacking. Due posizioni che confluisco­no in un’incrollabi­le fede nel potenziale innovativo della tecnologia e nel rifiuto di ogni critica perché “reazionari­a”.

Ciò non ha impedito, in passato, che la logica neoliberis­ta facesse un solo boccone dell’etica hacker, e che strategie anarchiche, nate per abbattere il sistema, si

trasformas­sero in business. Soprattutt­o in California, soprattutt­o nella Silicon Valley. Ma loro, come spiegano su Biohack.me, non se ne curano e proseguono imperterri­ti: «...i grinder sono una comunità di appassiona­ti: credono che gli strumenti e la scienza appartenga­no a tutti e sperimenta­no modificazi­oni fisiche estreme per migliorare la condizione umana».

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