IO MI CURO DA SOLO
Uno dei leader mondiali del movimento della medicina fai- da-te ci spiega ragioni e metodi d i questa pratica al limite della legalità. Ed è p ronto a s commettere che la prossima terapia per una grave malattia arriverà proprio da questa comunità
Le profezie futuristiche degli anni Sessanta sono quasi identiche a quelle di oggi. Presto debelleremo le malattie, automatizzeremo ogni cosa e non avremo più bisogno di lavorare; la fame e il debito del Terzo mondo saranno un ricordo lontano, colonizzeremo lo spazio e saremo tutti immortali. Presto. Molto presto. L’assegno è già stato spedito. Basta aspettare e ci arriveremo. Fidatevi della scienza. È difficile guardare i nostri attuali futurologi senza paragonare il loro ottimismo illimitato alle visioni limitate e ovviamente puerili delle generazioni passate. Soltanto i termini sono cambiati. Nanotecnologie, intelligenza artificiale e terapia genica hanno sostituito criogenia, chimica e tecnologia nucleare, ma gli argomenti sono essenzialmente gli stessi.
Allo stesso tempo, abbiamo a disposizione diverse tecnologie straordinarie che rimangono inutilizzate. Potremmo curare l’epatite C, trattare l’Hiv fino al punto da impedire che individui contagiati possano trasmetterla ad altri, potremmo annullare l’effetto di un’overdose di narcotici con uno spray nasale e provocare interruzioni di gravidanza con poche pillole. Eppure, sono rimasti tutti problemi irrisolti. Le nostre visioni del futuro ci distraggono dalla situazione attuale, suggerendoci: “Aspettate ancora un po’ e vi salveremo”. Spesso ci lasciamo sedurre da costruzioni teoriche, esperimenti preliminari e dimostrazioni di fattibilità. L’ingegnerizzazione e la diffusione di una nuova tecnologia sono processi lenti. Troppo lenti per noi. Le persone stanno morendo adesso.
Il fatto che impieghiamo così tanto tempo ed energie a sviluppare trattamenti e cure che poi ci rifiutiamo di somministrare la dice lunga sullo stato dell’umanità. Oggi, paesi civilizzati come l’Italia hanno meno problemi rispetto agli Stati Uniti. In Italia, l’interruzione di gravidanza è libera e legale, così come l’accesso al naloxone, lo Stato si è fatto carico del patrocinio per i malati di epatite e si discute della possibilità di procedere a una profilassi pre-esposizione contro l’Hiv. Negli Stati Uniti, invece, siamo costretti a essere creativi nell’escogitare nuovi modi per occuparci della nostra salute, dal momento che il sistema sanitario ha fallito. Tre fattori disincentivano le persone dall’accedere alle terapie: legittimità, prezzi alti e mancanza d’infrastrutture.
Gli ostacoli, però, possono essere superati se adottiamo un approccio fai-da-te. Questa è la nostra alternativa migliore. Dobbiamo smetterla di subappaltare la responsabilità della nostra salute. Possiamo prendere spunto da chi, in campo tecnologico, viola le garanzie sul proprio hardware anziché affidarsi a fornitori di servizi autorizzati ogni volta che ha bisogno di un intervento. Così come ormai quasi tutti non sono più capaci di cambiare l’olio alla propria automobile, e sono costretti a portarla in una stazione di servizio, allo stesso modo nessuno sa più misurarsi la temperatura. Se siete malati il problema è del medico, non è più vostro.
Anziché aspettare di ammalarci, e solo a quel punto rivolgerci al cosiddetto “esperto” perché ci rimetta a posto, possiamo controllare da soli le nostre condizioni e curarci strada facendo per restare in salute. Abbiamo bisogno di adottare un approccio da macchina sportiva europea, piuttosto che da camion statunitense. Insomma, non dobbiamo aspettare per forza che si rompa prima d’individuare cosa c’è che non va. Possiamo valutare costantemente e in prima persona come sta funzionando il nostro corpo e ottimizzarne il funzionamento strada facendo. Inoltre, possiamo occuparci direttamente della terapia decidendo quale useremo e auto somministrandoci le relative cure. Infine, possiamo fare sperimentazione su noi stessi per scoprire nuove terapie che nessuno ha mai provato prima.
Il primo e più importante passo per applicare questo approccio consiste nello sviluppare una serie di linee guida di riferimento per voi stessi, controllandole nel corso del tempo: nel caso intervenissero dei cambiamenti, potreste rilevarli prima di sviluppare i sintomi. Alla vecchia maniera. Possiamo misurare temperatura, pressione sanguigna, saturazione dell’ossigeno; possiamo inviare un campione per l’analisi del sangue; e, se vogliamo
credere a quanto detto più di una volta al Ted, il lab-on-a-chip, il microlaboratorio tascabile per l’autodiagnosi, dovrebbe essere disponibile tra non molto. Ma, per l’ennesima volta, non fateci aspettare.
Persino negli Stati Uniti è possibile farsi fare una densitometria ossea per 45 dollari, acquistare un pulsossimetro per 13 dollari e un misuratore di pressione sanguigna per 40 dollari. Sono tutti prezzi abbordabili. Farsi fare l’analisi del sangue inviando un campione è sempre più economico. Se volete conoscere la vostra capacità polmonare, potete addirittura acquistare un misuratore del picco di flusso per 13 dollari.
Qualcuno osserverà che non è possibile usare questi strumenti senza una formazione adeguata: è falso. Piuttosto, non dovreste usare questi strumenti senza criterio. Gestire la salute non è una procedura, è un ciclo analitico che richiede continuità. Ricerca, raccolta dati, analisi, correzione della cura, ripetizione. Formazione significa seguire una procedura indicata da coloro che affermano di saperne di più. Apprendimento significa arrivare al punto di comprendere il sistema ed essere in grado di valutare come sta funzionando in tempo reale.
In secondo luogo, oltre a raccogliere semplicemente una serie di dati in base ai quali ricalibrare il vostro stile di vita, potete curarvi attivamente in tantissimi modi. Decidere quale farmaco potrebbe essere meglio per voi. Suturare le vostre ferite. Scegliere quale marca di protesi acquistare. Decidere se correre o meno il rischio di un intervento chirurgico. Quando la Food and Drug Administration statunitense tirava per le lunghe l’approvazione di nuovi farmaci, il Dallas Buyers Club ha comprato farmaci per l’Hiv oltreoceano e li ha portati negli Stati Uniti. Potete decidere quanto volete delegare, a proposito della vostra salute, e comportarvi di conseguenza.
Il terzo livello consiste nel correggere la vostra biologia attraverso il dna. La cura della salute si sta trasformando da un sistema basato sulla chimica a un altro basato sulla biologia. A guidare la carica in questo terreno è il biohacking: oggi siamo in grado di fare a casa i test genetici e persino la terapia genica. Si tratta di una grande novità, perché consente di sistemare in modo permanente le vostre condizioni, e di conseguenza di curare definitivamente numerose condizioni croniche, nonché amplificare il potenziale umano. Ma non voglio spingermi in pronostici da futurologo.
Molte persone sono spaventate dalla prospettiva di non avere un medico professionista che si occupi di loro. Ma è importante ricordare questo: prima era tutto basato sul faida-te. Qualsiasi strumento medico è nato con un singolo individuo che da qualche parte lo testava per la prima volta. Il biohacking è la moderna medicina popolare: cavarsela con quello che si ha a disposizione. La differenza è che oggi abbiamo a disposizione più tecnologia e migliori sistemi di comunicazione e archiviazione dei dati. Possiamo vedere quello che è stato fatto e quello che ha funzionato con una velocità che non ha precedenti nella storia. Il ciclo di feedback è più breve e abbiamo a disposizione un numero maggiore di strumenti.
La ricercatrice Deborah Rhodes ha sviluppato la molecular breast imaging, una scintimammografia evoluta per identificare in un tessuto mammario denso un eventuale tumore che non può essere rilevato con nessun’altra tecnologia, ma non è mai stata commercializzata. Il suo prototipo è stato costruito assemblando parti disponibili in commercio e nastro adesivo, ma ha funzionato. Nulla vieta a nessuno di replicare quel prototipo con le stesse parti. Tutti possono farlo. Questa è la magia della scienza: è stata fatta una cosa, hanno pubblicato i risultati e voi potete ripetere in maniera indipendente l’esperimento.
Spesso le persone criticano chi come noi sostiene la cosiddetta “citizen science”, ci attaccano quando affermiamo di non essere speciali e che chiunque può fare quello che facciamo noi. Veniamo derisi come privilegiati che hanno ricevuto una formazione scientifica e che proprio per questo riescono a fare quello che fanno. Ma non è così: il nostro privilegio ci ha resi mentalmente liberi di abbracciare la nostra megalomania e la nostra arroganza, ci ha permesso di guardare qualunque problema e domandarci spensieratamente: “Quanto potrebbe essere difficile superarlo?”.
Io non sono speciale, nessuno di noi lo è. Semplicemente, siamo stati i primi a fare quello che facciamo. Il cambiamento avverrà quando si creerà un sommovimento sociale sufficiente a liberare la gente dal timore di farsi carico della propria salute.
Un esempio perfetto è quello del cancro. Il cancro viene aggredito come se fosse un big-data problem. Non lo è. È fondamentalmente l’opposto: non esistono dati su cure sperimentali che non sono ancora state tentate, e tuttavia è proprio qui che è più probabile si possa trovare un sistema di cure personalizzate. La gente può cominciare a provare le cose per conto proprio e a condividere i risultati. Ognuno di noi può diventare un “data point”.
Per restare al passo con lo stato dell’arte della ricerca, gli oncologi dovrebbero dedicare 29 ore quotidiane
alla lettura di documenti. Voi potete informarvi più rapidamente del vostro medico di base o anche del vostro specialista su un particolare disturbo, perché potete scegliere di leggere solo materiale a proposito di quello specifico argomento. Occorre un po’ di tempo per abituarsi a leggere la letteratura scientifica. Ma non occorre una formazione specialistica per comprendere in che modo la ricerca viene condotta o come viene riportata sulla stampa medica. Gli ammonimenti a “consultare il tuo medico” perpetuano l’assunto secondo cui chi non è un professionista non ha la capacità di analizzare qualunque cosa abbia a che fare con la propria salute. Troppo spesso, il medico si limita a dire “Le prescriverò questo farmaco”, senza che vi sia alcuna discussione. Nessuna discussione sui possibili effetti collaterali. Nessuna discussione su eventuali opzioni alternative, su altri farmaci, oppure su cambiamenti alimentari e di stile di vita che potrebbero evitare la necessità di una prescrizione.
Persino il medico meglio intenzionato fatica a individuare la soluzione ideale per i propri pazienti. Negli Stati Uniti, oggi, i medici dedicano in media solo otto minuti a ciascun paziente, che non sono certo sufficienti per un’analisi approfondita; e non stiamo neppure prendendo in considerazione i problemi di corruzione e i sistemi tangentizi ampiamente diffusi nelle industrie di strumenti medici e paramedici.
Soprattutto, a dispetto delle leggi e dei problemi di accessibilità, non dobbiamo avere paura di sperimentare su noi stessi. L’open source ha rappresentato un motore straordinario per lo sviluppo della “salute fai-da-te”, ma in assenza di strumenti open source non dobbiamo esitare a muoverci da soli, se serve per difendere la nostra salute. Molti paesi europei ricorrono a deroghe specifiche che affermano che nessuna legge sulla proprietà intellettuale viene violata se non ci si muove a scopo di lucro e ci si limita a usi personali. Ma in assenza di queste deroghe, violare la legge diventa un imperativo morale.
Se credete nell’idea della proprietà intellettuale e pensate che violarla sia un furto, ricordate che, seguendo la stessa logica, negare una cura salvavita a chi ne ha bisogno è un atto omicida. Perpetrare un furto per prevenire un omicidio è un imperativo morale.
Come siamo arrivati a questo punto? Il mondo è entrato in un’epoca d’imperialismo della conoscenza. L’oppressione è un sottoprodotto della concentrazione di potere e deriva dal controllo delle risorse. Il controllo delle risorse deriva dal controllo dell’informazione. Il controllo dell’informazione è possibile soltanto quando questa è mercificata. La mercificazione dell’informazione è possibile soltanto quando i concetti sono velati. E sono diventati velati grazie al culto supremo degli esperti, che stabilisce: “Non pensare. Non analizzare per conto tuo. Accetta quello che dicono le persone accreditate”. Nel corso della storia, abbiamo assistito a momenti di svolta quando economia e moralità sono giunte a un punto di stallo: la Riforma, la Guerra fredda, lo schiavismo negli Stati Uniti. Un gruppo è insorto e ha protestato: “Quello che sta succedendo è immorale”. La risposta è stata: “Sì, forse è così, ma questo è fondamentale per la nostra economia e non possiamo cambiarlo”. E i pochi coraggiosi rimasti hanno insistito: “Non va bene, dobbiamo costruire una nuova economia”.
È quello che sta succedendo oggi con la proprietà intellettuale. La gente muore perché le aziende affermano di “possedere” una molecola in grado di salvare vite, che sarà disponibile soltanto per quelli che la potranno pagare. Molti lo considerano immorale. Le idee non possono essere una proprietà privata, così come non lo possono essere le persone, e noi non possiamo consentire alle epidemie di continuare a proliferare solo perché i malati non sono tutti ricchi. A questa obiezione qualcuno risponde che si tratta di un effetto collaterale spiacevole, ma che la proprietà intellettuale consente al sistema di funzionare.
Alcuni di noi, però, dicono: “Non è abbastanza”.
Il futuro della salute fai-da-te, personalizzata, ha tre aspetti emozionanti. Il primo è che disponiamo di tecnologie consolidate a cui le persone non hanno accesso, che le persone hanno scoperto come realizzare da sé in altri modi. Per esempio, acquistando macchine usate, o pacchetti più economici delle nuove. Con 2mila dollari, oggi ci si può procurare un ecografo palmare da collegare al proprio smartphone. Alcuni acquistano principi attivi, generalmente disponibili in farmacia, da fornitori del settore chimico e li iniettano da soli in capsule. Inalatori, protesi e siringhe vengono stampati in 3D. Grazie al movimento biohacker oggi gli utilizzatori finali hanno a disposizione persino le terapie geniche. Il secondo è l’accesso alle tecnologie emergenti. Negli Usa, 37 Stati hanno leggi sul right-totry (“diritto di provare”), che permette a coloro cui è stata diagnosticata una malattia terminale di provare
qualunque farmaco, per quanto sperimentale possa essere. Una persona può leggere di uno studio preliminare, o persino di una teoria, e diventare il primo caso di test umano. Leggi del genere non erano molto utili fino a poco tempo fa, perché accedere alle tecnologie sperimentali era estremamente difficile, ma, ora che la tecnologia è sempre più accessibile agli utilizzatori finali, questo sta diventando possibile. Inoltre, i sostenitori più radicali di questo approccio stanno conducendo sperimentazioni su se stessi con terapie geniche che favoriscono le azioni più diverse, dall’inibizione della miostatina, per diventare più forti, alle cure virali sperimentali per la cura di herpes e Hiv. Tutto ciò è emozionante, perché, a dispetto delle aspre critiche che ricevono per la loro avventatezza, se una loro terapia avesse successo sarebbe disponibile in breve tempo a tutti.
L’ultimo aspetto, e anche il più emozionante, è che oggi abbiamo a disposizione tantissimi strumenti per i non professionisti, e che sono spuntati migliaia di nuovi laboratori nei quali si testano nuove tecnologie sperimentali, molecole e terapie geniche che pur non avendo basi accademiche sono realmente innovative. Matthew Rosen ha realizzato da sé una macchina per la risonanza magnetica in grado di mappare in tempo reale il flusso d’aria nei polmoni di un uomo in piedi – una cosa che le macchine di questo tipo in commercio non possono fare. Senza contare che per realizzarla ha speso un ventesimo del costo di una delle macchine per la risonanza magnetica attualmente in commercio. Di storie come questa se ne sentono ogni giorno. Questi laboratori non sono frenati dalle lungaggini della burocrazia e hanno la possibilità di testare cose che i ricercatori delle strutture mediche non potranno mai testare. Nonostante molti di questi esperimenti non portino a nulla, è così che funziona sempre la ricerca: scopri quello che non funziona e riprova. Il ciclo della ricerca oggi è più veloce e i dati vengono condivisi più rapidamente nella collettività. La cura per la prossima epidemia potrebbe uscire tranquillamente dallo scantinato di qualcuno, invece che dal Mit o da Harvard.
E sta succedendo proprio adesso. Non dobbiamo aspettare.