AUTO, VAMMI A PRENDERE I BAMBINI
Quando si pensa al futuro prossimo, a soluzioni avveniristiche ma già alla portata di tutti, viene facile pensare alla guida autonoma. Auto che guidano da sole, lasciandoci la libertà di fare altro durante il viaggio, come accadrebbe in treno o in aereo, ma col vantaggio che la destinazione sarà proprio la nostra. La guida autonoma, tuttavia, non è che l’applicazione di una serie di complessi processi che ricadono nella grande branca dell’intelligenza artificiale. Uberto Barbini, software engineer al lavoro su sistemi di AI dedicati al mondo della finanza, ha un’idea molto chiara di ciò di cui parliamo.
Solo una questione di tempo «Io credo che al livello attuale forse sarebbe più giusto parlare di stupidità artificiale. Intendo che, ormai, i computer sono in grado di comprendere e interpretare degli ordini semplici, come con Siri o Alexa, ma siamo ancora ben lontani da un livello che possiamo definire “intelligente”. Chiariamoci: rimangono sistemi con enormi capacità in campi specifici (trattamento di immagini, giocare a scacchi o a Go, ecc.), tuttavia algoritmi e hardware attuali devono essere specificatamente addestrati per questo. Potremo veramente parlare di intelligenza artificiale quando i computer inizieranno a comprendere appieno il mondo intorno a loro. Attenzione che ho detto “quando” e non “se”, perché la strada, in questo senso, è già tracciata e molto entusiasmante, specie per quanto riguarda il Deep Learning».
Quasi come un cervello «Si tratta di un sistema di algoritmi, cioè di istruzioni, che permette ai computer di “simulare” un cervello umano a molti livelli. Anche se il sistema di reti neurali è stato ispirato dal cervello biologico, la similitudine è molto generica, sia perché ancora non sappiamo molti dettagli su come funziona veramente il cervello, sia perché il software dei computer non ha le limitazioni chimico-fisiche che regolano i neuroni. Per quanto semplificato, comunque, il Deep Learning funziona su un principio simile.
Storicamente il nonno dell’attuale Deep Learning è il Perceptron, inventato nel 1957. Gli attuali algoritmi non sono poi così diversi da quel prototipo di telecamera con 400 pixel per il riconoscimento automatico. Solo che ora è tutto molto più sofisticato e complesso.
Quando studiavo all’università io, le reti neurali sembravano una tecnologia morta: erano entrate nel secondo “AI winter” (1987-93, che in pratica, però, è durato fino al 2000 circa). Il primo AI winter è stato dal 1974 al 1980, ed è corrisposto al fallimento dei progetti di traduzione automatica con i linguaggi tipo prolog. Il secondo, invece, è arrivato nel momento in cui ci si è accorti che le reti neurali dell’epoca, dette “a tre livelli”, si erano dimostrate incapaci di adattarsi a compiti complessi».
Dall’inverno alla primavera «Dopo il 2000 alcuni studi hanno permesso di progettare reti neurali a molti più livelli, decine e poi centinaia. Con così tanti livelli si possono organizzare i neuroni artificiali in strutture molto complesse in cui alcuni neuroni sono organizzati in gruppi (convolutional neural network).
Si è arrivati a reti di più di mille livelli, ma le ultime tendenze sono di avere reti ricorsive che possono “riciclare” più volte gli stessi dati per ottenere risultati migliori con un numero più limitato di livelli (tipicamente intorno al centinaio). Questo sistema (recurrent neural network) è stato anche ispirato da nuovi studi sul funzionamento del cervello umano. E visto che parliamo di algoritmi intimamente legati alla fisiologia umana, è chiaro che anche questi stanno evolvendo in modo esponenziale. Non è esagerato affermare che il Deep Learning stia rivoluzionando, già ora, la nostra vita.
E lo sta facendo in così tanti modi diversi che facciamo fatica a elencarli tutti. Dalle traduzioni automatiche e in tempo reale ai sistemi di guida delle automobili, passando per le grandi innovazioni nella biorobotica e persino nell’astronomia, con scienziati che usano il Deep Learning per scoprire nuove galassie o particelle subatomiche. La potenza dei computer permette analisi sempre più sofisticate su moli di dati impossibili da gestire per gli esseri umani.
Personalmente credo che avere interfacce utente automatiche, in grado di capire semplici ordini in qualsiasi lingua, sarà un aspetto dominante nella rivoluzione delle nostre vite a base di intelligenza artificiale. A quel punto dovremo integrare tra di loro diversi tipi di AI. In modo, per esempio, da poter chiedere alla tua auto di andare a prendere i bambini a scuola, senza che sia necessario specificare l’indirizzo o l’orario esatto. E magari l’auto potrà andarci da sola e farli entrare riconoscendo le facce. In fondo le singole tecnologie per rendere possibile questo già ci sono, tutto sta nel farle parlare la stessa lingua. Non ci vorrà poi molto, vedrete, e avrà ripercussioni a onda lunga. Per esempio, ci sarà bisogno di molte nuove figure professionali, di cui oggi nemmeno consideriamo l’esistenza. Il futuro sarà dell’intelligenza artificiale, ma l’intelligenza artificiale sarà sempre degli umani».