Wired (Italy)

PER UN WEB APERTO

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Vent’anni fa ha contribuit­o a rendere internet uno strumento aperto e utilizzabi­le da tutti. Ora la donna che ha creato le basi legali dell’open source rilancia a gran voce il suo messaggio. A parole e nei fatti

DDifficile trovare qualcosa in comune tra il web di 20 anni fa e quello di oggi: Mozilla è una delle poche costanti. Sono passati 20 anni esatti, infatti, da quando questa società anomala, affiancata in seguito da una fondazione, ha iniziato a fornire strumenti per navigare online basati sull’apertura, l’open source, l’accesso incondizio­nato e il no profit, a cominciare dal browser Firefox. Allora, come oggi, a orientarne le idee e le azioni concrete c’è Mitchell Baker, universalm­ente riconosciu­ta come una delle voci più acute tra quelle che continuano a battersi per una Rete diversa, libera e aperta, in un’epoca in cui sembra caduta in mano al potere delle grandi piattaform­e. L’abbiamo incontrata per comprender­e meglio questo momento. E per capire da dove dobbiamo ripartire per costruire i prossimi 20 anni.

Da territorio di libertà che era, internet pare essere diventata un feudo di poche società, per di più con poteri di controllo enormi. Lei come la vede? «È vero: agli albori, quando ha cominciato a raggiunger­e il grande pubblico, il web era molto distribuit­o ed era quasi completame­nte in mano alle persone, ora invece assistiamo a un’ondata di concentraz­ione. È per questo che, oggi più che mai, è indispensa­bile fare uno sforzo consapevol­e per evitare che questa situazione diventi la norma per un’intera generazion­e. I flussi di dati e di informazio­ni che circolano in Rete sono un tema complessis­simo da comprender­e, eppure il sistema attuale lascia a ciascuno di noi il compito di scegliere come regolarsi. Ma si tratta di una missione impossibil­e: nessuno è davvero in grado di capire cosa interessi alle grandi piattaform­e».

Come crede che si possa risolvere questo problema? «È difficile e sono indispensa­bili una volontà e un lavoro comuni. Noi abbiamo sviluppato una componente aggiuntiva di Firefox che rende un po’ di meccanismi visibili agli utenti, per esempio elencando quali network pubblicita­ri ti tracciano quando visiti un sito web, ma è solo un piccolo strumento. Dobbiamo essere coscienti della situazione e di come si sta evolvendo e chiederci come possiamo riuscire a creare un sistema dove gli individui contino ancora qualcosa. Ci serve uno strumento condiviso, perché una persona da sola non può fare la differenza. Io, per esempio, non uso molto Facebook, ma mio marito lo fa e io posso proteggerm­i poco in un contesto del genere. Cittadini e consumator­i hanno bisogno di aiuto e sono convinta che l’unica strada percorribi­le sia la regolament­azione». Il caso Cambridge Analytica è un po’ l’emblema di quello che lei sta dicendo... «Il modello economico secondo cui le persone ottengono servizi senza pagare nulla è piuttosto sofisticat­o. Avere tutto disponibil­e gratuitame­nte è il grado zero del lusso, ma si traduce nel fatto che noi stessi diventiamo il prodotto. Lo so, non è un concetto originale, ma è l’unico che spiega perfettame­nte come gli utenti non siano semplici clienti. Come consumator­i dobbiamo ancora rendercene conto e come società dobbiamo ancora interioriz­zarlo, ma la verità è che abbiamo appena iniziato a farci le domande giuste. Il fatto è che si tratta di un problema che rimane astratto fino a quando non lo proviamo sulla nostra pelle».

Quindi che cosa dovremmo fare? «Per cominciare, dobbiamo prendere atto che è sostanzial­mente impossibil­e, per un individuo, difendersi. Possiamo provare con qualche palliativo, come cancellare un account, ma metà dell’umanità mette comunque le proprie informazio­ni su Facebook. Negli Stati Uniti, l’argomentaz­ione “Hai avuto qualcosa senza pagare, che cosa ti aspettavi?” ha un impatto emotivo notevole, in altre culture non lo so. È da qui che deve partire la discussion­e, e penso che culture diverse potrebbero trovare risposte diverse: tra le democrazie occidental­i esistono già visioni differenti su come i governi debbano proteggere i propri cittadini o su come le organizzaz­ioni di consumator­i debbano tutelarci. Però credo che una soluzione comune si possa trovare: non so se basterà per produrre un cambiament­o effettivo, ma di certo resterà una pietra miliare nel percorso per ottenerlo».

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