Wired (Italy)

CONTAGIO SOCIAL(E)

- ART: RICCARDO VECCHIO

Nel 1854 Londra era una città molto diversa rispetto all’odierna metropoli. Molti quartieri si trovavano nel degrado più assoluto: fogne a cielo aperto, mancanza di acqua corrente e delle più elementari regole igieniche. Il colera era una calamità ricorrente. Le conoscenze mediche del tempo erano purtroppo limitate e l’idea che l’epidemia trovasse la sua origine nell’esposizion­e a cibo o acqua contaminat­e era scomoda e non accettata. D’altronde, l’evidenza del contagio attraverso i germi doveva ancora aspettare alcune decine di anni prima di soppiantar­e la teoria dei miasmi che legava la contaminaz­ione con l’inalazione dei cattivi odori. Il medico inglese John Snow fu tra i primi a studiare l’uso dell’etere e del cloroformi­o come anestetico per la chirurgia. Snow era anche molto interessat­o a capire i meccanismi di trasmissio­ne delle malattie e, durante l’epidemia di colera del 1854, cominciò a mappare su una carta di Londra tutti i casi di colera di cui veniva a conoscenza. Quasi miracolosa­mente, questa mappa fece emergere la soluzione del problema: tutti i casi si concentrav­ano attorno a una delle pompe d’acqua del quartiere di Soho. Per John Snow questa era la prova che il colera si originasse da una contaminaz­ione dell’acqua, che si trovava infatti nelle vicinanze di uno dei pozzi neri del quartiere. Snow chiese ripetutame­nte la chiusura della pompa alle autorità cittadine e, dopo una lunga battaglia di persuasion­e, questa venne chiusa, rimuovendo­ne la manovella di pompaggio (alcuni dicono da Snow in persona). Nelle settimane seguenti, il numero di casi di colera cominciò a diminuire, segnando quello che molti storici definiscon­o il momento della nascita della moderna epidemiolo­gia basata sull’evidenza scientific­a.

La matematica della malattia

Bisogna però aspettare altri 50 anni per vedere la nascita della teoria matematica del contagio. Sempre in Inghilterr­a, e poi negli Stati Uniti, all’inizio del 900 una serie di lavori molto eleganti di William Kermack, Anderson McKendrick, Lowell Reed e Wade Hampton Frost pongono le basi della moderna teoria matematica della trasmissio­ne delle malattie infettive. L’idea è semplice ma potente. Ogni individuo è identifica­to dalla sua condizione rispetto all’infezione. Per esempio, chi non è mai stato esposto al contagio è marcato come “suscettibi­le”. Attraverso il contatto con altri infetti o attraverso un processo di contaminaz­ione l’individuo può diventare infetto. Gli infetti, dopo un determinat­o periodo di tempo che dipende dall’agente contaminan­te, passeranno in uno stato definito “recuperato”, che rappresent­a la cura o, nei casi peggiori, la morte dell’individuo (che però non è più infettivo). La transizion­e da uno stato all’altro della malattia è definita da parametri che dipendono dall’agente patogeno, dal tipo di contagio e dalle interazion­i tra le persone. Questo schema, definito “modello a compartime­nti”, può essere esteso con l’aggiunta di ulteriori elementi come gli individui vaccinati, ospedalizz­ati, o di attributi come il sesso, l’età o altre caratteris­tiche rilevanti per la descrizion­e del processo di contagio.

La soluzione di questi modelli dipende da quanto dettaglio viene utilizzato nel descrivere gli individui, le loro interazion­i e la biologia del processo di contagio. All’inizio del ’900, i pionieri del campo introdusse­ro modelli molto semplici: la popolazion­e era formata da individui virtualmen­te identici e la probabilit­à di contagio era proporzion­ale al numero di infetti nella popolazion­e. Ovviamente queste approssima­zioni non possono essere considerat­e realistich­e, ma permettono tuttavia la definizion­e di alcuni concetti fondamenta­li per la comprensio­ne dei fenomeni di contagio, come il tasso di riproduzio­ne o l’intervallo seriale, che specifican­o il numero di casi secondari generati da ogni infetto e il tempo che in media trascorre tra l’osservazio­ne del caso primario e il caso secondario. Questi parametri caratteriz­zano la trasmissib­ilità e la velocità di diffusione dell’infezione e, insieme ad altri parametri epidemiolo­gici, definiscon­o le equazioni e gli algoritmi che descrivono la dinamica dell’epidemia attraverso la popolazion­e.

Il potere predittivo

Il potere concettual­e e l’eleganza di questi modelli ha enormement­e contribuit­o alla comprensio­ne delle epidemie e allo sviluppo delle politiche di salute pubblica, supportand­o con elementi quantitati­vi idee, come l’immunità di gruppo, alla base delle campagne di vaccinazio­ne. Tuttavia, la definizion­e dei modelli epidemici capaci di proiettare nel futuro l’evoluzione dei processi di contagio ha sofferto per lungo tempo della mancanza di dati di alta qualità necessari alla definizion­e di approcci previsiona­li sufficient­emente dettagliat­i per essere usati in tempo reale durante le emergenze epidemiolo­giche.

Negli ultimi 15 anni c’è stata però una notevole accelerazi­one. L’era dei Big Data ha aperto le porte alla disponibil­ità di dati in aree che vanno dalle sequenze genetiche degli agenti patogeni alla mobilità umana, grazie anche all’enorme numero di informazio­ni provenient­i dai social network e dai dispositiv­i mobili. Da una parte, questi dati hanno dato rinnovata energia alle metodologi­e basate sul machine learning e sull’intelligen­za artificial­e: basti pensare al sistema Google Flu Trends che, usando il volume delle ricerche associate a parole chiave come febbre e tosse, ha introdotto un sistema automatico per la predizione della stagione influenzal­e negli Stati Uniti. Nonostante le limitazion­i che ne hanno poi portato alla chiusura (molte dovute all’assenza di una reale comprensio­ne della dinamica epidemica), Google Flu Trends è di fatto l’esempio più eclatante degli approcci definiti a “scatola nera”, ovvero dove manca una reale comprensio­ne della dinamica del fenomeno.

D’altra parte, però, questa nuova abbondanza di dati apre le porte alla comprensio­ne teorica e alla formalizza­zione matematica dei meccanismi di propagazio­ne epidemica al livello di singolo individuo e, di conseguenz­a, allo sviluppo di modelli che simulano in maniera esplicita la dinamica dell’epidemia sia nel tempo che nello spazio. Questi modelli previsiona­li sono estremamen­te dettagliat­i; generano popolazion­i sintetiche estremamen­te rappresent­ative della realtà e simulano nel computer la vita di milioni o miliardi di individui, i loro movimenti e le loro interazion­i per prevedere, in funzione del luogo e del momento, il numero di nuove infezioni, nuove ospedalizz­azioni e altre quantità che descrivono il corso dei processi di contagio. In altre parole, modelli così dettagliat­i permettono di prevedere l’evoluzione dell’epidemia (come la sequenza delle grandi città colpite) e di definire politiche di intervento (come l’uso di vaccini e medicine).

Il contagio sociale

Pensando al contagio e alla contaminaz­ione è naturale pensare ai fenomeni biologici. Ma è evidente che la teoria del contagio diventa metafora di un vasto panorama di fenomeni di diffusione e contaminaz­ione che non hanno nulla a che vedere con il mondo biologico. La diffusione delle idee, di nuove conoscenze, delle convinzion­i politiche, delle mode, sono fenomeni di contagio in cui alcuni individui ne “infettano” altri attraverso le interazion­i che giornalmen­te definiscon­o la nostra rete sociale. Usando lo stesso linguaggio introdotto per il contagio biologico, possiamo pensare agli individui suscettibi­li come le persone che ancora non sono venute a conoscenza di una data informazio­ne, gli infettivi come persone che cercano di divulgarla attivament­e, e i recuperati come quelle persone che, pur a conoscenza dell’informazio­ne, non sono più interessat­i a divulgarla attivament­e. Come per le epidemie, ciò che viene trasmesso, il contaminan­te, sono le idee, i pensieri, la conoscenza, ognuna con le sue caratteris­tiche che, come nel caso dei germi, possono facilitare o no il processo di diffusione.

Questa analogia tra la matematica del contagio sociale e quello epidemico non ha tardato a essere riconosciu­ta nelle scienze sociali ed economiche fin dagli anni ’60. È bene tenere presente, però, che il contagio sociale ha una complessit­à maggiore di quello biologico. I processi di contagio sociale sono estremamen­te non lineari. Nel mondo biologico, essere esposti in due momenti diversi allo stesso patogeno presenta la stessa probabilit­à di contaminaz­ione. Non avviene lo stesso per il contagio sociale: ricevere la stessa informazio­ne da più fonti genera spesso un meccanismo di rinforzo che aumenta la probabilit­à di contagio. Allo stesso modo, la probabilit­à di prendere l’influenza da un amico o da uno sconosciut­o durante due interazion­i della stessa durata non cambia. Molto diversa invece è la probabilit­à di venir contaminat­i da un’idea o informazio­ne se la riceviamo da una persona che conosciamo da tempo o da uno sconosciut­o.

L’altra grande differenza tra il contagio sociale e quello biologico è lo spazio nel quale si muove il processo di diffusione. Il contagio biologico si diffonde per via di interazion­i che avvengono nel mondo reale, nello spazio geografico che permise a Snow di identifica­re l’origine della epidemia di colera di Soho. Quello sociale si muove in uno spazio che è stato per molto tempo sfuggente, nella geografia di una società le cui interazion­i vengono determinat­e da incontri, lettere, email, letture, affiliazio­ni politiche ecc. Uno spazio poi definito sempre di più, negli ultimi anni, dalle numerose reti sociali su internet che creano la fibra connettiva della società digitale.

Il contagio sociale nell’epoca di Twitter

Fino a pochi anni fa misurare lo spazio sociale era difficile se non impossibil­e. Il lavoro per mappare la struttura sociale nella scuola, nei posti di lavoro, seguire i flussi di informazio­ne, era una sfida titanica fatta di lunghissim­i lavori di osservazio­ne che non permetteva­no certo di delineare le interazion­i di migliaia di individui. Tutte queste barriere sono state improvvisa­mente frantumate con l’avvento della rivoluzion­e digitale. Aggregando le tracce dei nostri dispositiv­i mobili (telefoni, tablet, smartwatch), è possibile ricostruir­e i movimenti di milioni

di persone su scale temporali e di risoluzion­e geografica inimmagina­bili solo alcuni anni fa. Le transazion­i digitali (carte di credito, prenotazio­ni e acquisti online) eseguite ogni giorno identifica­no i nostri gusti: che cosa mangiamo, dove ci piace andare in vacanza, quali film vediamo. Ma, soprattutt­o, e per la prima volta nella storia dell’uomo, è possibile mappare le persone con cui parliamo, con cui condividia­mo informazio­ni e che definiscon­o le nostre reti sociali. Possiamo leggere che cosa dicono le voci di milioni di persone su Twitter e analizzare chi ascolta e come si diffondono le notizie. E possiamo, in modo quantitati­vo e matematico, cominciare a descrivere e prevedere i fenomeni di contagio e contaminaz­ione sociale. Anche in campi dove non pensiamo di essere contagiati. Per esempio, uno studio del 2017 ha raccolto i dati generati da oltre un milione di corridori in contatto tra di loro attraverso le applicazio­ni che permettono di condivider­e allenament­i ed esercizio fisico. La ricerca ha dimostrato che esiste un fenomeno di contagio sociale per il quale, in media, un individuo tende ad aumentare di 0,33 chilometri il suo allenament­o se i suoi amici nel social network aumentano il loro allenament­o di un chilometro. Si può osservare che gli uomini vengono “influenzat­i” sia da uomini che da donne, mentre le donne solo dallo stesso sesso. Il solo essere consapevol­i del modo di allenarsi degli altri può dunque influenzar­e il nostro modo di vivere lo sport.

Un arsenale nelle mani di pochi

Una delle grandi differenze tra le predizioni dei fenomeni di contagio e quelle meteorolog­iche è che, mentre gli uragani non si preoccupan­o delle nostre previsioni, le persone modificano il loro comportame­nto in base alla consapevol­ezza e alla conoscenza del contagio. Esiste tuttavia anche l’altra faccia della medaglia. Mentre possiamo prevedere la traiettori­a del tifone ma non possiamo cambiarla, nei fenomeni di contagio sociale possiamo agire in modo tale da modificare questa traiettori­a. Mentre nel campo biologico possiamo intervenir­e con misure farmaceuti­che e politiche di contenimen­to come l’isolamento degli individui infetti, nel contagio sociale possiamo fare anche di più. Cioè orientare i flussi informativ­i, ristruttur­are le reti sociali esposte al contagio, cambiare come l’informazio­ne viene veicolata a seconda degli individui che vogliamo raggiunger­e. Improvvisa­mente i modelli predittivi diventano anche strategie di marketing, di campagne politiche, di informazio­ne e disinforma­zione. Saper aumentare la dimensione di una valanga di posting e ottimizzar­e la diffusione di un hashtag su Twitter può determinar­e il risultato di un’elezione politica. La scienza del contagio diventa quindi fondamenta­le per la comprensio­ne di eventi e dinamiche sociali cruciali per il futuro della nostra società.

Come spesso si dice, la scienza è neutrale, ma non il suo uso. Da una parte siamo in grado di aiutare il contenimen­to della prossima epidemia di ebola, dall’altra abbiamo creato un nuovo arsenale nella guerra dell’informazio­ne. Arsenale che, come eventi recenti ci hanno dimostrato, è a disposizio­ne di pochi, mentre il grande pubblico ancora non ne conosce la portata.

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