CONTAGIO SOCIAL(E)
Nel 1854 Londra era una città molto diversa rispetto all’odierna metropoli. Molti quartieri si trovavano nel degrado più assoluto: fogne a cielo aperto, mancanza di acqua corrente e delle più elementari regole igieniche. Il colera era una calamità ricorrente. Le conoscenze mediche del tempo erano purtroppo limitate e l’idea che l’epidemia trovasse la sua origine nell’esposizione a cibo o acqua contaminate era scomoda e non accettata. D’altronde, l’evidenza del contagio attraverso i germi doveva ancora aspettare alcune decine di anni prima di soppiantare la teoria dei miasmi che legava la contaminazione con l’inalazione dei cattivi odori. Il medico inglese John Snow fu tra i primi a studiare l’uso dell’etere e del cloroformio come anestetico per la chirurgia. Snow era anche molto interessato a capire i meccanismi di trasmissione delle malattie e, durante l’epidemia di colera del 1854, cominciò a mappare su una carta di Londra tutti i casi di colera di cui veniva a conoscenza. Quasi miracolosamente, questa mappa fece emergere la soluzione del problema: tutti i casi si concentravano attorno a una delle pompe d’acqua del quartiere di Soho. Per John Snow questa era la prova che il colera si originasse da una contaminazione dell’acqua, che si trovava infatti nelle vicinanze di uno dei pozzi neri del quartiere. Snow chiese ripetutamente la chiusura della pompa alle autorità cittadine e, dopo una lunga battaglia di persuasione, questa venne chiusa, rimuovendone la manovella di pompaggio (alcuni dicono da Snow in persona). Nelle settimane seguenti, il numero di casi di colera cominciò a diminuire, segnando quello che molti storici definiscono il momento della nascita della moderna epidemiologia basata sull’evidenza scientifica.
La matematica della malattia
Bisogna però aspettare altri 50 anni per vedere la nascita della teoria matematica del contagio. Sempre in Inghilterra, e poi negli Stati Uniti, all’inizio del 900 una serie di lavori molto eleganti di William Kermack, Anderson McKendrick, Lowell Reed e Wade Hampton Frost pongono le basi della moderna teoria matematica della trasmissione delle malattie infettive. L’idea è semplice ma potente. Ogni individuo è identificato dalla sua condizione rispetto all’infezione. Per esempio, chi non è mai stato esposto al contagio è marcato come “suscettibile”. Attraverso il contatto con altri infetti o attraverso un processo di contaminazione l’individuo può diventare infetto. Gli infetti, dopo un determinato periodo di tempo che dipende dall’agente contaminante, passeranno in uno stato definito “recuperato”, che rappresenta la cura o, nei casi peggiori, la morte dell’individuo (che però non è più infettivo). La transizione da uno stato all’altro della malattia è definita da parametri che dipendono dall’agente patogeno, dal tipo di contagio e dalle interazioni tra le persone. Questo schema, definito “modello a compartimenti”, può essere esteso con l’aggiunta di ulteriori elementi come gli individui vaccinati, ospedalizzati, o di attributi come il sesso, l’età o altre caratteristiche rilevanti per la descrizione del processo di contagio.
La soluzione di questi modelli dipende da quanto dettaglio viene utilizzato nel descrivere gli individui, le loro interazioni e la biologia del processo di contagio. All’inizio del ’900, i pionieri del campo introdussero modelli molto semplici: la popolazione era formata da individui virtualmente identici e la probabilità di contagio era proporzionale al numero di infetti nella popolazione. Ovviamente queste approssimazioni non possono essere considerate realistiche, ma permettono tuttavia la definizione di alcuni concetti fondamentali per la comprensione dei fenomeni di contagio, come il tasso di riproduzione o l’intervallo seriale, che specificano il numero di casi secondari generati da ogni infetto e il tempo che in media trascorre tra l’osservazione del caso primario e il caso secondario. Questi parametri caratterizzano la trasmissibilità e la velocità di diffusione dell’infezione e, insieme ad altri parametri epidemiologici, definiscono le equazioni e gli algoritmi che descrivono la dinamica dell’epidemia attraverso la popolazione.
Il potere predittivo
Il potere concettuale e l’eleganza di questi modelli ha enormemente contribuito alla comprensione delle epidemie e allo sviluppo delle politiche di salute pubblica, supportando con elementi quantitativi idee, come l’immunità di gruppo, alla base delle campagne di vaccinazione. Tuttavia, la definizione dei modelli epidemici capaci di proiettare nel futuro l’evoluzione dei processi di contagio ha sofferto per lungo tempo della mancanza di dati di alta qualità necessari alla definizione di approcci previsionali sufficientemente dettagliati per essere usati in tempo reale durante le emergenze epidemiologiche.
Negli ultimi 15 anni c’è stata però una notevole accelerazione. L’era dei Big Data ha aperto le porte alla disponibilità di dati in aree che vanno dalle sequenze genetiche degli agenti patogeni alla mobilità umana, grazie anche all’enorme numero di informazioni provenienti dai social network e dai dispositivi mobili. Da una parte, questi dati hanno dato rinnovata energia alle metodologie basate sul machine learning e sull’intelligenza artificiale: basti pensare al sistema Google Flu Trends che, usando il volume delle ricerche associate a parole chiave come febbre e tosse, ha introdotto un sistema automatico per la predizione della stagione influenzale negli Stati Uniti. Nonostante le limitazioni che ne hanno poi portato alla chiusura (molte dovute all’assenza di una reale comprensione della dinamica epidemica), Google Flu Trends è di fatto l’esempio più eclatante degli approcci definiti a “scatola nera”, ovvero dove manca una reale comprensione della dinamica del fenomeno.
D’altra parte, però, questa nuova abbondanza di dati apre le porte alla comprensione teorica e alla formalizzazione matematica dei meccanismi di propagazione epidemica al livello di singolo individuo e, di conseguenza, allo sviluppo di modelli che simulano in maniera esplicita la dinamica dell’epidemia sia nel tempo che nello spazio. Questi modelli previsionali sono estremamente dettagliati; generano popolazioni sintetiche estremamente rappresentative della realtà e simulano nel computer la vita di milioni o miliardi di individui, i loro movimenti e le loro interazioni per prevedere, in funzione del luogo e del momento, il numero di nuove infezioni, nuove ospedalizzazioni e altre quantità che descrivono il corso dei processi di contagio. In altre parole, modelli così dettagliati permettono di prevedere l’evoluzione dell’epidemia (come la sequenza delle grandi città colpite) e di definire politiche di intervento (come l’uso di vaccini e medicine).
Il contagio sociale
Pensando al contagio e alla contaminazione è naturale pensare ai fenomeni biologici. Ma è evidente che la teoria del contagio diventa metafora di un vasto panorama di fenomeni di diffusione e contaminazione che non hanno nulla a che vedere con il mondo biologico. La diffusione delle idee, di nuove conoscenze, delle convinzioni politiche, delle mode, sono fenomeni di contagio in cui alcuni individui ne “infettano” altri attraverso le interazioni che giornalmente definiscono la nostra rete sociale. Usando lo stesso linguaggio introdotto per il contagio biologico, possiamo pensare agli individui suscettibili come le persone che ancora non sono venute a conoscenza di una data informazione, gli infettivi come persone che cercano di divulgarla attivamente, e i recuperati come quelle persone che, pur a conoscenza dell’informazione, non sono più interessati a divulgarla attivamente. Come per le epidemie, ciò che viene trasmesso, il contaminante, sono le idee, i pensieri, la conoscenza, ognuna con le sue caratteristiche che, come nel caso dei germi, possono facilitare o no il processo di diffusione.
Questa analogia tra la matematica del contagio sociale e quello epidemico non ha tardato a essere riconosciuta nelle scienze sociali ed economiche fin dagli anni ’60. È bene tenere presente, però, che il contagio sociale ha una complessità maggiore di quello biologico. I processi di contagio sociale sono estremamente non lineari. Nel mondo biologico, essere esposti in due momenti diversi allo stesso patogeno presenta la stessa probabilità di contaminazione. Non avviene lo stesso per il contagio sociale: ricevere la stessa informazione da più fonti genera spesso un meccanismo di rinforzo che aumenta la probabilità di contagio. Allo stesso modo, la probabilità di prendere l’influenza da un amico o da uno sconosciuto durante due interazioni della stessa durata non cambia. Molto diversa invece è la probabilità di venir contaminati da un’idea o informazione se la riceviamo da una persona che conosciamo da tempo o da uno sconosciuto.
L’altra grande differenza tra il contagio sociale e quello biologico è lo spazio nel quale si muove il processo di diffusione. Il contagio biologico si diffonde per via di interazioni che avvengono nel mondo reale, nello spazio geografico che permise a Snow di identificare l’origine della epidemia di colera di Soho. Quello sociale si muove in uno spazio che è stato per molto tempo sfuggente, nella geografia di una società le cui interazioni vengono determinate da incontri, lettere, email, letture, affiliazioni politiche ecc. Uno spazio poi definito sempre di più, negli ultimi anni, dalle numerose reti sociali su internet che creano la fibra connettiva della società digitale.
Il contagio sociale nell’epoca di Twitter
Fino a pochi anni fa misurare lo spazio sociale era difficile se non impossibile. Il lavoro per mappare la struttura sociale nella scuola, nei posti di lavoro, seguire i flussi di informazione, era una sfida titanica fatta di lunghissimi lavori di osservazione che non permettevano certo di delineare le interazioni di migliaia di individui. Tutte queste barriere sono state improvvisamente frantumate con l’avvento della rivoluzione digitale. Aggregando le tracce dei nostri dispositivi mobili (telefoni, tablet, smartwatch), è possibile ricostruire i movimenti di milioni
di persone su scale temporali e di risoluzione geografica inimmaginabili solo alcuni anni fa. Le transazioni digitali (carte di credito, prenotazioni e acquisti online) eseguite ogni giorno identificano i nostri gusti: che cosa mangiamo, dove ci piace andare in vacanza, quali film vediamo. Ma, soprattutto, e per la prima volta nella storia dell’uomo, è possibile mappare le persone con cui parliamo, con cui condividiamo informazioni e che definiscono le nostre reti sociali. Possiamo leggere che cosa dicono le voci di milioni di persone su Twitter e analizzare chi ascolta e come si diffondono le notizie. E possiamo, in modo quantitativo e matematico, cominciare a descrivere e prevedere i fenomeni di contagio e contaminazione sociale. Anche in campi dove non pensiamo di essere contagiati. Per esempio, uno studio del 2017 ha raccolto i dati generati da oltre un milione di corridori in contatto tra di loro attraverso le applicazioni che permettono di condividere allenamenti ed esercizio fisico. La ricerca ha dimostrato che esiste un fenomeno di contagio sociale per il quale, in media, un individuo tende ad aumentare di 0,33 chilometri il suo allenamento se i suoi amici nel social network aumentano il loro allenamento di un chilometro. Si può osservare che gli uomini vengono “influenzati” sia da uomini che da donne, mentre le donne solo dallo stesso sesso. Il solo essere consapevoli del modo di allenarsi degli altri può dunque influenzare il nostro modo di vivere lo sport.
Un arsenale nelle mani di pochi
Una delle grandi differenze tra le predizioni dei fenomeni di contagio e quelle meteorologiche è che, mentre gli uragani non si preoccupano delle nostre previsioni, le persone modificano il loro comportamento in base alla consapevolezza e alla conoscenza del contagio. Esiste tuttavia anche l’altra faccia della medaglia. Mentre possiamo prevedere la traiettoria del tifone ma non possiamo cambiarla, nei fenomeni di contagio sociale possiamo agire in modo tale da modificare questa traiettoria. Mentre nel campo biologico possiamo intervenire con misure farmaceutiche e politiche di contenimento come l’isolamento degli individui infetti, nel contagio sociale possiamo fare anche di più. Cioè orientare i flussi informativi, ristrutturare le reti sociali esposte al contagio, cambiare come l’informazione viene veicolata a seconda degli individui che vogliamo raggiungere. Improvvisamente i modelli predittivi diventano anche strategie di marketing, di campagne politiche, di informazione e disinformazione. Saper aumentare la dimensione di una valanga di posting e ottimizzare la diffusione di un hashtag su Twitter può determinare il risultato di un’elezione politica. La scienza del contagio diventa quindi fondamentale per la comprensione di eventi e dinamiche sociali cruciali per il futuro della nostra società.
Come spesso si dice, la scienza è neutrale, ma non il suo uso. Da una parte siamo in grado di aiutare il contenimento della prossima epidemia di ebola, dall’altra abbiamo creato un nuovo arsenale nella guerra dell’informazione. Arsenale che, come eventi recenti ci hanno dimostrato, è a disposizione di pochi, mentre il grande pubblico ancora non ne conosce la portata.