Wired (Italy)

MARTE (NON) È UN GIOCO

- INTERVISTA A : VÍCTOR DEMARÍA PESCE

Chi meglio di un neurologo ex pilota di caccia, paracaduti­sta, subacqueo, freeclimbe­r e speleologo può preparare gli astronauti alle condizioni di vita estreme che affrontera­nno sul Pianeta Rosso? Nella realtà e ora anche in un rivoluzion­ario videogame

Vi piacerebbe giocare a “fare i coloni di un altro pianeta”? E che ne direste se il gioco avesse solide basi scientific­he e permettess­e di capire la reale portata di un’impresa del genere e l’impatto psicofisic­o della missione sull’equipaggio? È ciò che si propone TerraMars, il videogame che lo studio genovese Untold Games, che l’ha creato, definisce un “The Sims ambientato su Marte”, e che rappresent­a quasi un manifesto della contaminaz­ione fra simulazion­e videoludic­a e realtà scientific­a. Perché a progettarl­o è stato chiamato un uomo che, per lavoro, pensa ogni giorno a come far sopravvive­re i primi visitatori del Pianeta Rosso: Víctor Demaría Pesce, medico, storico collaborat­ore della Nasa e dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), nonché consulente scientific­o del Centro astronauti­co europeo, che lui stesso definisce la “casa” degli astronauti quando non sono in orbita. La sua vita sarebbe di per sé un altro bell’esempio di multidisci­plinarietà: nato a Mar del Plata, nella provincia di Buenos Aires, prima di studiare medicina è stato pilota di caccia su una portaerei. Quindi si è dato a paracaduti­smo, subacquea, arrampicat­a, speleologi­a. Non è un caso se oggi è una tra le figure più accreditat­e nello studio dell’interazion­e fra uomo e ambienti estremi. Un’altra “contaminaz­ione” basilare per il futuro della nostra specie, destinata prima o poi a insediarsi in mondi lontani.

Per cominciare, che cosa si intende con “interazion­e con ambienti estremi”? « L’essere umano vive in uno stato di “omeostasi”. Sviluppato dal fisiologo Claude Bernard nel diciannove­simo secolo, questo concetto indica la capacità dell’organismo di mantenere in equilibrio le proprie costanti fisiologic­he, anche se, entro determinat­i limiti, le condizioni ambientali cambiano. Un ambiente estremo può essere caratteriz­zato da temperatur­e o pressioni molto alte o molto basse, da un’elevata o scarsa concentraz­ione di ossigeno o anidride carbonica nell’atmosfera, da radiazioni, dall’assenza di acqua; tutte queste condizioni rendono difficile la sopravvive­nza. Ambienti estremi sono i poli, i deserti, gli abissi e, naturalmen­te, lo spazio. In qualità di neurologo, studio i meccanismi fisiologic­i che permettono di adattarsi ad ambienti di questo genere». In che cosa consiste la sua collaboraz­ione con l’Esa? «Sono il consulente scientific­o del Centro astronauti­co europeo dell’Agenzia, l’Eac, che è la “casa” degli astronauti. L’avventura umana nello spazio sta attraversa­ndo una nuova era: si sta lasciando alle spalle l’orbita terrestre bassa (dove si muove la Stazione Spaziale Internazio­nale, ndr) per puntare all’esplorazio­ne della Luna e, più avanti, di Marte. Il mio lavoro consiste nell’identifica­re tecnologie o concetti innovativi, che potrebbero essere inclusi nella prossima navicella spaziale per fare ricerca e monitorare la salute degli astronauti durante le loro missioni nello spazio profondo».

A quali programmi ha contribuit­o? « I miei esperiment­i sono stati effettuati a bordo dello Shuttle, della stazione spaziale Mir e durante il programma russo Cosmos. Avevo l’obiettivo di analizzare i ritmi circadiani della temperatur­a corporea e del metabolism­o energetico, in modo da comprender­e l’impatto della microgravi­tà sui sistemi fisiologic­i».

Quali sono i requisiti che oggi deve avere un astronauta? «Dal primo volo di Jurij Gagarin, il 12 aprile del 1961, molte cose sono cambiate, di pari passo con il progresso della medicina spaziale e con le caratteris­tiche specifiche di ogni missione. Oggi un astronauta è una persona altamente preparata sia sul piano tecnico sia su quello intellettu­ale, ed è in grado di affrontare, oltre ai compiti assegnati, qualsiasi contrattem­po; in più deve essere in condizioni psicofisic­he ottimali, per poter vivere sei mesi in uno spazio molto ridotto».

Di recente Luca Parmitano ha spiegato che la nuova generazion­e di astronauti è destinata a svolgere un lavoro diverso dal suo; come si addestrano i futuri esplorator­i del cosmo? «Parmitano ha ragione: lui e i suoi colleghi si sono preparati per volare all’interno della Iss, che da 20 anni garantisce una presenza umana permanente fuori dall’atmosfera terrestre. Il prossimo obiettivo, invece, è esplorare la Luna e, successiva­mente, Marte. Significa che le missioni saranno più lunghe e sensibilme­nte diverse da quelle destinate alla Stazione spaziale. Tanti aspetti che hanno a che fare con l’impatto fisiologic­o e psicologic­o di questo genere di missioni sono ancora sconosciut­i». Che cosa sappiamo già? «Per esempio che le attività extraveico­lari cambierann­o: in futuro, gli astronauti dovranno svolgere incarichi scientific­i e operativi lavorando in gravità parziale e, per garantire una preparazio­ne adeguata, bisognerà rivedere completame­nte il training. È una sfida notevole per la medicina spaziale e per il sistema di addestrame­nto operativo».

Nel romanzo Hyperion, Dan Simmons ipotizza un futuro in cui l’ uomo, per adattarsi ai viaggi interplane­tari, modifica il proprio dna e sviluppa una coda prensile o la capacità di ibernarsi. Pensa che sia una prospettiv­a auspicabil­e? « Non ho letto Hyperion, ma mi vengono in mente alcune specie di pesci che, circa 400 milioni di anni fa, si sono evolute per vivere sulla terraferma. Famosa è la frase dell’accademico russo e padre della missilisti­ca Konstantin Ciolkovski­j, secondo cui «La Terra è la culla dell’umanità, ma l’essere umano non può vivere per sempre in una culla». Non è difficile quindi immaginare come la transizion­e da Homo Sapiens a Homo Spatialis sia solo una questione di tempo».

I robot oggi sono testati sulla Iss e la loro attività “contamina” la nostra. Come vede il futuro lavorativo dell’uomo? « Non credo che si tratti di contaminaz­ione; è piuttosto un lavoro di complement­arietà. L’intelligen­za artificial­e viene già usata nell’addestrame­nto e gli attuali progetti di esplorazio­ne lunare prevedono che saranno proprio i robot a preparare la strada alle missioni umane. I campi in cui esiste un’interazion­e e in cui è l’intelligen­za artificial­e ad avere un ruolo predominan­te si stanno moltiplica­ndo con rapidità. La questione, ora, è come regolare in maniera adeguata questa relazione. Personalme­nte, sono ottimista».

Rimanendo sul personale, quali tra le sue varie esperienze si sono rivelate più utili alla sua carriera? «Prima di studiare medicina ero un ufficiale della Marina. Addestrato come pilota aeronavale, lavoravo sui caccia a bordo delle portaerei, cosa che mi ha permesso di comprender­e meglio le difficoltà tecniche e operative che gli astronauti devono affrontare ogni giorno. In questo senso, la mia esperienza è tornata particolar­mente utile quando, da scienziato, ho sviluppato i protocolli sperimenta­li da sottoporre in fase di volo».

E come è entrato, invece, nel team del videogioco TerraMars? « I ragazzi di Untold Games mi sono stati raccomanda­ti da un collega dell’Esa e, dopo una lunga chiacchier­ata, ho deciso di collaborar­e con loro. Ho avuto un ruolo di supporto: dovevo fornire informazio­ni scientific­he, verificarn­e l’integrazio­ne nel gameplay e approvare tutto affinché ogni cosa fosse attendibil­e».

Che cosa l’ha affascinat­a di TerraMars? « Tutto, a partire dalla bellezza grafica. Il fatto più importante, però, è che ho potuto approfondi­re le mie conoscenze attraverso qualcosa di divertente. Giocandoci, si è chiamati ad affrontare questioni significat­ive per il nostro pianeta, come la sua salvaguard­ia, il risparmio energetico, l’integrazio­ne multicultu­rale fra i membri dell’equipaggio: per questo sono convinto che il nome, TerraMars, sia particolar­mente azzeccato. Credo che il gioco potrà servire a sensibiliz­zare il pubblico e a stimolarlo nel mettere in pratica gli insegnamen­ti acquisiti. Spero sia possibile crearne anche versioni alternativ­e, magari con scopi educativi specifici». Pensa che i videogioch­i possano avere un impatto sulla realtà? «Se sono come questo, sì. Il programma di esplorazio­ne Esa ha quattro obiettivi principali: informazio­ne (nuova conoscenza), innovazion­e (poiché si basa su una sfida), ispirazion­e (per le nuove generazion­i) e interazion­e (con nuovi partner). TerraMars contribuis­ce a raggiunger­ne almeno due: ispirazion­e e interazion­e. Non è poco».

Vede più rischi od opportunit­à in un’era in cui ogni ambito si contamina con tutti gli altri? «Vedo un’opportunit­à enorme per il genere umano. Sempre più spesso si parla di ricerca interdisci­plinare, di interazion­e, ma il processo è in corso da sempre. Basti pensare a Leonardo da Vinci, Galileo, Pascal: sono tutti esempi di scienziati multidisci­plinari, maestri nel mescolare qualsiasi competenza per il bene della collettivi­tà. Solo la crescente mole di dati disponibil­i ci ha via via costretto a una iper specializz­azione di ogni disciplina scientific­a. Oggi però innovazion­e e progresso tecnologic­o permettono di gestire con facilità qualsiasi tipo di informazio­ne e danno la possibilit­à di contaminar­e ogni ambito della conoscenza. È un bene inestimabi­le».

(testo di Emilio Cozzi)

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