I CAVALIERI DELLA RETE
Amazon, Apple, Facebook e Google sono le aziende che si sono spartite fino a oggi il mercato online e offline, rispettando l’una i confini dell’altra. Da qualche tempo, però, nel loro continuo bisogno di espandersi, hanno iniziato a pestarsi i piedi. Chi prevarrà? Secondo uno dei docenti di business più noti al mondo, la risposta è già scritta
Siamo abituati a considerare Facebook un social network, Google un motore di ricerca, Amazon un negozio digitale e Apple un’azienda che produce telefoni e computer. Eppure, Facebook costruisce droni solari, Google vende smartphone, Amazon possiede una catena di supermercati, Apple produce serie tv. Nel corso della loro storia, queste società si sono fatte sempre più liquide, diffondendosi in decine di settori e adattandoli a sé. Come hanno fatto a diventare superpotenze? C’è chi dice sia stata la capacità dei loro fondatori di assumersi grandi rischi, chi attribuisce il merito al luogo particolarmente innovativo in cui si sono sviluppate, la Silicon Valley, ma se girate la domanda a Scott Galloway, imprenditore considerato uno dei migliori docenti di business al mondo e autore del libro
The Four - I padroni, vi risponderà secco: «Hanno sfruttato i nostri istinti».
Che cosa intende, precisamente? «Google è il dio dell’uomo moderno. Immagina la tua faccia e il tuo nome sopra un libro che raccoglie tutto ciò che gli hai chiesto e capirai che ti fidi di Google più di qualsiasi altra entità al mondo. Facebook è amore. Una delle cose meravigliose della nostra specie è che non solo dobbiamo essere amati, ma dobbiamo anche amare. È stato dimostrato che i bambini che hanno una cattiva alimentazione, ma sono molto amati, hanno risultati scolastici migliori rispetto a quelli con una buona alimentazione, ma scarso affetto. Facebook soddisfa il nostro bisogno di sentire e dare amore. Amazon è il nostro intestino: forse l’istinto che sentiamo di più. Basta che tu apra uno dei tuoi armadi: hai da 10 a 100 volte più di ciò che ti serve. Perché? Perché la pena per avere troppo poco è molto più grande di quella di avere troppo. Apple è il sesso, il nostro secondo istinto più potente. Ovvero scegliere il miglior seme in circolazione, per le donne, o diffonderlo, per gli uomini. L’iPhone non è solo un telefono, ma è insieme un goffo tentativo di affermare: “Se ti accoppi con me e non con un uomo Android, i tuoi figli avranno più probabilità di sopravvivere”». Da questo profilo, quelli che lei chiama i quattro Cavalieri sembrano complementari. Eppure si stanno propagando come virus in altri campi, fino a farsi concorrenza fra di loro. «Sì, negli ultimi 18 mesi è successo qualcosa di significativo: uno di loro sta prendendo il largo. Fino a quel momento, ogni Cavaliere cacciava la propria preda in settori diversi, succhiando i capitali delle vecchie imprese economiche. Ora Amazon sta cominciando a sovrastare gli altri tre. Il suo segreto non è tanto essere forte nella logistica, nel cloud o nella tecnologia, quanto nella narrazione: Jeff Bezos ha la capacità di tenere a bada i propri investitori con la sua visione straordinaria (“Siamo il più grande negozio della terra”). Gestisce efficacemente i suoi affari in pareggio: prende tutti i soldi e li rimette in circolo, senza preoccuparsi di rendere Amazon un’azienda redditizia. E questo continuo reinvestimento gli consente di espandere le sue capacità e allontanare i concorrenti».
In quale modo la creatura di Jeff Bezos si mangerà le altre tre? « Apple è considerata la società di hardware più all’avanguardia di sempre. Ma l’innovazione più impressionante degli ultimi anni non è certo Apple Watch: è Amazon Alexa. Se qualche tempo fa avessimo dovuto scommettere su quale azienda sarebbe stata alla guida della tecnologia di riconoscimento vocale, su chi avremmo puntato? Apple, forse Google. Ma è Amazon che oggi controlla oltre il 70% delle quote di questo mercato. Il marketing digitale è stato finora in mano a Facebook e Google, ma dopo gli scandali del Russiagate e di Cambridge Analytica credo che Amazon inizierà a divorare il duopolio e ad affermarsi anche qui».
Nel suo libro The Four - I padroni, cita la simpatia come uno dei fattori chiave per il successo di un’azienda. Dopo il caso Cambridge Analytica, Facebook sembra averla persa. Saprà recuperarla? «Senza dubbio abbiamo assistito a una delle crisi peggio gestite nella storia degli affari moderni. Ci sono tre cose che ogni leader dovrebbe fare di fronte a uno scandalo: affrontare il problema, riconoscere che si tratta di un problema e annunciare un piano per correggere l’errore. Invece il modo in cui Facebook ha trattato la violazione dei dati di Cambridge Analytica verrà studiato a scuola come esempio negativo. Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg hanno impiegato giorni per rilasciare una dichiarazione. Dov’erano? È stata una reazione assurda da parte di una delle aziende più potenti e (presumibilmente) più innovative del mondo. Questo distruggerà Facebook? Dipende. È in mano a un capo che controlla l’accesso e la distribuzione di contenuti a 2,2 miliardi di persone ogni giorno e che, attraverso una struttura azionaria a due classi, non può essere allontanato. Zuckerberg non si sente pressato a fare qualcosa di concreto perché il duopolio dei media tra Facebook e Google garantisce alla piattaforma entrate che arrivano da inserzionisti che non hanno alternative. Però è vero che le persone si stanno arrabbiando». Le persone si stanno arrabbiando, ma sono anche responsabili del modo in cui usano le piattaforme. «Con i loro comportamenti, i consumatori hanno chiaramente fatto capire che sono disposti a rinunciare alla privacy in cambio di uno strumento utile. Se ci pensate, è inquietante che non si preoccupino che la tecnologia di ascolto del rumore ambientale di Facebook possa capire se sono a un concerto di Adele e, di conseguenza, mostrare loro una pubblicità del nuovo album della cantante. Ma basta che si tocchino temi come religione, politica o salute e le persone iniziano ad agitarsi. È incredibile pensare che un colosso tecnologico non abbia creato barriere di sicurezza per evitare che la sua piattaforma possa essere sfruttata da malintenzionati. Facebook, che rappresenta ormai una comunità più ampia del cristianesimo, dovrebbe assumersi la responsabilità di proteggere i propri utenti».
Dove non interviene l’azienda, lo fa la legge. L’Europa, da sempre più rigida degli Stati Uniti, ha appena reso obbligatorio il Regolamento Europeo per la protezione dei dati. Costituirà un argine alla crescita di queste aziende? «Il ruolo dei governi è quello di proteggere i propri cittadini e la nuova normativa sulla privacy dell’Ue tratta i dati personali come proprietà dell’individuo. È un passo nella giusta direzione che (si spera) spingerà le aziende a investire maggiormente nella salvaguardia dei dati dei propri utenti. In generale, penso che sia solo questione di tempo prima che l’Europa vieti uno dei Cavalieri. Molti aspetti negativi delle grandi aziende tecnologiche, come la mancanza di concorrenza, la mancanza di privacy o la distruzione di posti di lavoro, finiranno per irrigidire la spina dorsale delle autorità di regolamentazione dell’Ue».
A proposito di distruzione di posti di lavoro. Quasi dieci anni fa, quando si trovò nel consiglio di amministrazione del New York Times, propose di far comprare il giornale da Google e nominare il ceo Eric Schmidt editore per salvare i conti della casa editrice. Fu considerata un’eresia e cestinata, ma quattro anni dopo il capo di Amazon comprava il Wa
shington Post. È ancora convinto che l’unica possibile sopravvivenza per la carta stampata sia cedere a uno dei Cavalieri? «Cominciamo dall’inizio. La peggior decisione commerciale tra gli editori negli ultimi 50 anni è stata quella di distribuire contenuti gratuitamente perché “l’informazione vuole essere libera”. L’informazione non vuole essere libera. Vuole – come tutti noi – essere differenziata e costosa. Comunque, anche se oggi potessimo costringere tutti a pagare per le notizie, non risolveremmo il problema più grande in questo momento. Inutile girarci intorno: se sei nei media e non lavori per Facebook o Google la tua impresa, insieme a tutte le altre forme di pubblicità digitale, è ufficialmente in declino. Tuttavia, io credo che i giornali esisteranno ancora per molto tempo; saranno semplicemente posti in cui sarà più difficile investire e lavorare. Il New York Times svolge un ruolo estremamente importante nella nostra società. Penso che la verità sia importante e che questa testata non sia mai stata così rilevante. La domanda è: la rilevanza si traduce in valore per gli azionisti? Per cui sì, spero ancora che al New York Times accada la stessa cosa del Washington Post, ossia che un miliardario come Bezos si presenti e capisca il valore di mantenerlo in vita ». Preparando l’intervista, abbiamo trovato la recensione del suo libro su un blog che tratta tematiche religiose cristiane. L’autore censurava il suo linguaggio irriverente, ma consigliava la lettura a tutti gli uomini di chiesa che cerchino di raggiungere le nuove generazioni. «Non mi stupisce. Capire il dna delle aziende tech è importante in ogni settore. Abbiamo a che fare con Amazon, Apple, Facebook e Google ogni giorno ed è fondamentale comprenderne il funzionamento. Solo in questo modo possiamo capire come lavorare con loro. O contro di loro».