Nutraceutica
sost. ( sing. f. neologismo) – Il mercato degli integratori alimentari naturali è in crescita. Anche in Italia, ex terra della dieta equilibrata. Un mercato che attrae l’attenzione di big pharma.
La richiesta c’è, è enorme, ed è in continua crescita. Nel mondo il volume d’affari della nutraceutica, la scienza che studia gli effetti benefici delle sostanze naturali sugli esseri umani, permettendo di assumere la giusta dose giornaliera di vitamine, proteine o antiossidanti, è di 380 miliardi di dollari. E, a sorpresa, è l’Italia a essere uno dei mercati più significativi. Come spiega Erika Mallarini, docente di Government, Health and Not for Profit alla Sda Bocconi, «l’Italia è il mercato più importante se rapportato alla popolazione: vale tre miliardi di euro, con una spesa pro capite che arriva, in alcune regioni, a 49 euro all’anno». Negli ultimi tre anni i consumi sono cresciuti del 7,4% e il segmento è ancora in forte espansione, con il 65% della popolazione adulta che compra integratori nutraceutici. «La nutraceutica è il ponte tra la dietologia e la farmacologia», sintetizza Arrigo Cicero, ricercatore in Medicina interna dell’Università di Bologna e presidente di Sinut, la Società italiana di nutraceutica. Gli studi sviluppano integratori – non medicinali – che si basano su sostanze contenute in alimenti e piante, con le particelle che vengono poi aggregate e compresse nelle pillole immesse sul mercato. Sotto la lente dei laboratori passa di tutto, dalla caffeina al resveratrolo, l’antiossidante presente nel vino. È una disciplina che gioca su un terreno enorme, con prodotti che vanno dal magnesio per gli sportivi agli isoflavoni consigliati dai ginecologi alle donne in menopausa. L’approccio degli italiani alla nutraceutica predilige il fai-da-te. «I medici», spiega la docente della Bocconi, «prescrivono prodotti per 12 milioni di euro»; appena lo 0,4% del volume d’affari complessivo passa dalle ricette bianche. Otto volte su dieci i nutraceutici vengono comprati in farmacia, con la mediazione di uno specialista; parafarmacie e grande distribuzione organizzata difendono le loro rispettive quote di mercato dell’8%. Sfugge invece alle statistiche il canale ecommerce: «I retail digitali», racconta Mallarini, «stanno puntando molto su questo segmento e sempre più spesso farmacie e parafarmacie vendono online», senza però scorporare il fatturato digitale da quello del negozio. Il successo dei nutraceutici è legato, secondo Cicero, «alla cattiva qualità della nostra dieta: mangiamo sempre meno varietà di cibo e ci troviamo a fare i conti con delle carenze selettive che fatichiamo a compensare». Gli integratori possono aiutare a variare, ma la tavola, ricorda Cicero, «resta il caposaldo per la salute e la prevenzione». Poter assumere integratori regolarmente permette piuttosto di sfruttare le particelle naturali per aiutare pazienti a convivere con un problema di salute non ancora sfociato nella patologia. «I nutraceutici possono rallentare la necessità di ricorrere a un farmaco. L’esempio classico», sottolinea Cicero, «è il colesterolo, che può essere tenuto a bada anche tutta la vita grazie agli effetti positivi sull’organismo del riso rosso fermentato, della berberina o dell’estratto di carciofo». Per le case farmaceutiche è una prateria da cavalcare. I nutraceutici vengono presentati ai medici con scadenza fissa per mantenere alta l’attenzione; ma nell’epoca della disintermediazione il grosso del mercato è mosso dal passaparola (on e offline) che decreta il successo di prodotti iperspecifici. A differenza dei farmaci, i nutraceutici possono essere pubblicizzati e l’investimento in comunicazione è ben ripagato: il prezzo medio di un integratore è di 14,7 euro e il costo di produzione è spesso ridotto al minimo, perché sfrutta in scala l’organizzazione dell’industria farmaceutica tradizionale.