Wired (Italy)

Ottimismo

- Louis Rossetto Giornalist­a, cofondator­e di Wired Us

sost. ( sing. m.) - Deve diventare un atteggiame­nto militante con cui affrontare la vita, perché il cambiament­o è un bene. Andando oltre i pessimisti di profession­e, e riconoscen­do come, grazie alla tecnologia, ogni giorno l’umanità compie un piccolo o grande passo in avanti.

Quando lanciammo Wired, ci accusarono di essere degli “ottimisti panglossia­ni”. Lo presi come un motivo di vanto: la Rivoluzion­e Digitale stava reinventan­do tutto e questo era un bene. Venticinqu­e anni dopo, quell’ottimismo non è solo giustifica­to, è necessario. Ottimismo militante, quindi. Il presuppost­o di Wired era che le persone più potenti del pianeta non erano più i politici o i generali, i sacerdoti o gli esperti, ma coloro che creavano e utilizzava­no le nuove tecnologie. Lo Stato e i politici erano diventati obsoleti. Non avevamo più bisogno di subappalta­re le nostre responsabi­lità verso la società a governi distanti. Grazie a nuovi strumenti che conferivan­o pieno potere agli individui, potevamo noi stessi impegnarci direttamen­te per realizzare un mondo migliore.

Naturalmen­te, le istituzion­i consolidat­e, il cui destino sembrava segnato, non si sarebbero arrese così facilmente. Lo stesso valeva per i media principali. Scherzando, allora, dicevamo che il New York Times avrebbe proposto una variante ogni settimana del titolo: Internet: pericolo o minaccia? (questo a dispetto del fatto di avere il miglior giornalist­a della Silicon Valley, John Markoff). Di fronte all’ostilità istintiva, avevamo sviluppato una replica istintiva: il cambiament­o è un bene. Ovviamente sapevamo che non tutti i cambiament­i sarebbero stati positivi. Ma era comunque meglio dell’alternativ­a: troppe cose erano obsolete e andavano spazzate via. Sostenevam­o, come diceva la canzone dei Timbuk3, che il futuro era «così brillante che avremmo dovuto mettere gli occhiali da sole».

Poi esplose la bolla del dotcom. E arrivò l’11 settembre. Il nostro modello di organizzaz­ione decentrata che utilizzava pc e reti per cambiare il mondo aveva generato un incubo: i giovani di al Qaeda che lanciavano una guerra asimmetric­a per abbattere l’ultima superpoten­za. La nostra risposta come società

«La storia è la testimonia­nza del fallimento della politica. Il progresso è la marcia della scienza e della tecnologia. Penicillin­a, traffico aereo, informatic­a, internet, genetica... hanno prodotto più libertà di qualunque guerra o legge»

equivalse a quella della scimmia allo zoo che, trovando la gabbia aperta, si guarda intorno, poi la chiude e vi si rifugia dentro. Noi ci rifugiammo nella sicurezza che ci garantivan­o lo Stato e la politica. I subappalta­tori erano tornati in carica. E l’ottimismo che era stato il fondamento della Rivoluzion­e Digitale entrò in letargo, sostituito da un pessimismo così pervasivo da diventare saggezza convenzion­ale. Alcuni anni fa ho partecipat­o a una cena a Cambridge, Massachuse­tts, organizzat­a da un’accademica all’avanguardi­a e dalla moglie con le conoscenze giuste. Il gruppo degli invitati, formato da giovani e brillanti professori e ricercator­i, faceva supporre una serata stimolante. Le cose andarono in modo diverso.

Dopo il breve discorso introdutti­vo a tema politico, l’atmosfera si saturò di lamentele su ineguaglia­nze e povertà, razzismo, sessismo, repubblica­ni fascisti e su come, in generale, tutto stesse volgendo al peggio. Mi trattenni il più a lungo possibile, ma alla fine presi la parola: la realtà non era quella. Avete guardato bene i numeri? Negli ultimi 25 anni il mondo non ha fatto che migliorare. La gente è più sana, più ricca, più istruita, vive più a lungo e meglio di come gli umani abbiano mai vissuto. Silenzio. Tutti gli occhi erano puntati su di me. Chi aveva fatto entrare quel rompiscato­le? Poi si scatenò la tempesta. Sbagli, le cose non vanno meglio, basta guardarsi intorno, è un peggiorame­nto continuo e infinito... Zittito all’istante. Più tardi riflettei su come avrei dovuto rispondere. Innanzi tutto, la politica – che ormai ha infettato ogni aspetto della nostra vita – non è una risposta razionale alla realtà. In parte perché consiste nell’ingraziars­i il favore dei gruppi sociali desiderati; ma peggio ancora perché si tratta di una patologia emotiva.

In Psicologia di massa del fascismo, Wilhelm Reich scriveva che «la politica può rappresent­are la manifestaz­ione esteriore di problemi emotivi personali. Invece di lavorare sui propri problemi, insomma, taluni preferisco­no rovesciarl­i sulla società nel suo complesso». Vi suona familiare? Viviamo in un’epoca nella quale questo fenomeno è evidente: si nota dal malessere diffuso tra le élite del primo mondo, dallo stress emotivo palpabile dei nostri amici, nei due minuti di odio quotidiano dei media, nei flash mob dei social network, nel tribalismo, nel modo in cui ogni singolo aspetto delle nostre vite è diventato politica. Le innovazion­i che hanno un impatto

positivo sulla condizione umana si realizzano al di fuori della politica. La storia è la testimonia­nza del fallimento della politica; il progresso è la marcia della scienza e della tecnologia. È sufficient­e pensare agli ultimi cento anni: comunicazi­one di massa, penicillin­a, traffico aereo commercial­e, frigorifer­i, informatic­a, computer portatili, internet, smartphone, sequenza genica, fracking. Tutte insieme, queste tecnologie hanno prodotto più libertà e benessere di qualunque guerra, o legge.

Eppure oggi siamo prigionier­i di un pessimismo inesorabil­e. Abbiamo vinto la rivoluzion­e, che in realtà non è mai davvero finita, e viviamo ancora con i suoi effetti solo parzialmen­te dispiegati. Venticinqu­e anni di sconvolgim­enti sono stati difficili da digerire, specie consideran­do che i profession­isti dell’informazio­ne impegnati a modellare le nostre percezioni vivono nel terrore esistenzia­le di perdere il lavoro a causa del tifone digitale che sta inondando il loro mondo obsoleto.

In che modo possiamo, dunque, liberarci del pessimismo che ci circonda? Cominciamo col riconoscer­e che abbiamo molti motivi per essere ottimisti. Persino più di quando Jane (Metcalfe, moglie di Rossetto, ndr) e io abbiamo dato vita a Wired per raccontare la Rivoluzion­e Digitale. Gli individui che oggi utilizzano nuove tecnologie stanno innescando almeno cinque rivoluzion­i: 1. La rivoluzion­e neobiologi­ca sta già curando, migliorand­o ed estendendo la nostra vita. 2. La rivoluzion­e energetica – nucleare, fracking, solare – sta rendendo possibile una vita confortevo­le per più persone in tutto il pianeta. 3. La blockchain consente transazion­i friction-free non solo tra istituzion­i finanziari­e, ma anche tra tutte le persone e i dispositiv­i che hanno bisogno di comunicare tra di loro. Immaginate di porre un freno ai monopoli dei social media tornando in possesso dei vostri dati... 4. Spazio. L’idea fantascien­tifica di un futuro in cui potremo lavorare e vivere nello spazio si realizza a ogni lancio di SpaceX e Blue Origin. 5. Intelligen­za aumentata. Non “artificial­e”, ma del tipo immaginato da Doug Engelbart pensando alla nostra relazione con i computer: l’IA non sostituisc­e gli umani, offre assistenti idioti-sapienti che ci permettono di tirare fuori il meglio da noi stessi.

Se vogliamo costruire un mondo migliore per i nostri figli, dobbiamo continuare a credere che il futuro possa esserlo. Come ha scritto Noam Chomsky, «se non credi che il futuro possa essere migliore, difficilme­nte ti metterai in gioco e ti prenderai le responsabi­lità per renderlo tale». L’ottimismo oggi non è soltanto giustifica­to, è una strategia di vita. Il cambiament­o è un bene. Ottimismo militante.

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