Internet of nano-things
sost. comp. ( sing. ingl.) – Grazie al grafene è possibile realizzare sistemi intelligenti di microsensori delle dimensioni di un miliardesimo di metro, per utilizzi di frontiera. Nella biomedicina, per esempio.
Far parlare la materia in scala nano col mondo macroscopico, cioè quello che possiamo vedere e toccare con le nostre mani: è questa la sfida dell’internet of
nano-things, la frontiera avanzata dell’internet delle cose, capace di guardare laddove l’occhio umano non vede e di connettere oggetti delle dimensioni di miliardesimi di metro, milioni di volte più sottili di un capello. Il tutto funziona attraverso nanosensori che, come piccole antenne, captano segnali elettrici o molecolari. Questi passano a nanomacchine che li trasmettono a sistemi di aggregazione delle informazioni, nanorouter, e infine a interfacce che mettono in comunicazione il nano e il macromondo. Per realizzarla, non basta aggiungere il prefisso “nano” alle terminologie classiche della rete e dei network in generale. Si lavora infatti con una materia prima diversa, che ha proprietà e un rapporto con l’ambiente esterno a noi nuovi: grafene, il materiale più sottile mai realizzato, formato da uno strato unico di atomi di carbonio, nanotubi e nanoparticelle, con sagome e componenti differenti a seconda del campo di applicazione. Tra questi, la biomedicina: il corpo si dota di nanosensori che scrutano le proteine, le cellule e il dna, e grazie al nuovo network tutto può essere controllato da un medico, in remoto, direttamente dallo smartphone. È un percorso che deve ancora superare molte prove di fattibilità, così come questioni legate a sicurezza e privacy. Ma ne sentiremo parlare sempre più spesso, oltre che in ambito medico, anche in campo ambientale e militare.