Soft skill
agg. + sost. ( sing. ingl.) – Sono le competenze caratteriali, valoriali, umane, trasversali che – al di là di qualsiasi specializzazione tecnica – daranno valore aggiunto a ogni professione del futuro. E che i robot non ci potranno rubare.
Passione, curiosità, empatia, resilienza, flessibilità, capacità di valorizzare il talento altrui, abilità nella soluzione dei problemi: in due parole, soft skill, quelle competenze trasversali che sempre più spesso diventano discriminanti nel campo delle risorse umane. Chiamate così per distinguerle dalle qualifiche prettamente tecniche e professionali, cosiddette hard, le soft skill vanno assumendo un ruolo centrale nel determinare il tipo di carriera e la sua qualità. Sono in molti a ritenere che questo tipo di qualità umane, infatti, siano proprio quelle non replicabili da alcuna intelligenza artificiale o automa in arrivo. È un discorso già entrato nel dibattito istituzionale, come dimostrano il Libro bianco sull’intelligenza
artificiale al servizio del cittadino, pubblicato a marzo dall’Agenzia per l’Italia Digitale, i rapporti sull’impatto della robotica della Commissione britannica per “Impiego e competenze”, o qualsiasi parere sul rischio computerizzazione di università, centri studi o consulenti internazionali. La domanda è la stessa, solo più urgente giorno dopo giorno: l’uomo sarà ancora il centro del mondo? Le soft skill sembrerebbero il modo per confermarlo, lo scrigno da valorizzare per evitare di essere sostituiti o sostituibili. È come se nascondessero l’essenza capace di distinguere, per dirla con Blade Runner, l’anima dal surrogato, il segreto del “più umano dell’umano”.