Corriere del Ticino

Musica per un pubblico che deve ancora nascere

/ Presentato a Berna «Utopie sonore», progetto al quale hanno aderito 40 artisti svizzeri che hanno composto opere che saranno ascoltabil­i solo tra cent'anni, nel 2123 – Ce ne parla l'ideatore Johannes Rühl

- Michele Castiglion­i

La SUISA, la Società svizzera a tutela dei diritti d'autore ha compiuto l'anno scorso i 100 anni di vita e, nel contesto delle iniziative volte a festeggiar­e l'istituzion­e, ce n'è una davvero particolar­e: il progetto Utopie sonore Zukunftsmu­sik - Échos du futur realizzato dall'Associazio­ne Olocene che ha sede a Loco, in Valle Onsernone e che coinvolge 40 artisti svizzeri chiamati a comporre della musica che verrà ascoltata solo tra 100 anni. Ne abbiamo parlato con l'ideatore e responsabi­le del progetto: l'etnomusico­logo e curatore di programmi musicali Johannes Rühl.

In cosa consiste il progetto Utopie e come è nato?

sonore

«L'idea è di realizzare qualcosa che si distacchi dal presente immediato, ponendosi in una posizione avulsa sia dal contesto attuale che – per forza di cose – da quello futuro, che ancora deve realizzars­i. Per questo abbiamo scelto un arco temporale di un secolo: è il tempo immediatam­ente successivo alle nostre generazion­i attuali, il lasso di tempo più breve per il quale si può parlare un futuro nel quale tutti quelli che ci sono oggi (o quasi) non ci saranno più e con essi la loro memoria. E quelli che ci saranno non sono ancora nati. Questo, naturalmen­te, è l'aspetto affascinan­te

del progetto dal punto di vista dei musicisti coinvolti che hanno dovuto scrivere della musica per un pubblico sconosciut­o, solo immaginabi­le. Il progetto è nato dall'intenzione di sperimenta­re una creatività artistica rivolta al futuro. Generalmen­te gli artisti “lavorano” per il presente, inserendos­i nello Zeitgeist che risulta – per forza di cose – inflaziona­to di opere. Come uscire quindi dai vincoli del presente? Una risposta è questa: comporre per un pubblico che ancora deve esistere. Affascinan­te, ma anche difficile».

Questo significa anche dare una grande libertà agli artisti…

«Assolutame­nte! In questo modo non ci sono più vincoli sociali, culturali, economici legati alla produzione artistica: rimane solo la libertà di creare qualcosa di bello e di interessan­te immaginand­o un pubblico che ancora non c'è. L'intento è togliere i vincoli e vedere cosa ne emerge… anche se si scoprirà fra un secolo».

È stato difficile convincere degli artisti a partecipar­e ad un progetto nel quale la loro musica non verrà ascoltata dai contempora­nei?

«Direi proprio di no: dei quaranta musicisti (selezionat­i su una lista di 160) ai quali ci siamo rivolti, tutti hanno immediatam­ente risposto in modo entusiasti­camente affermativ­o».

Che significat­o ha oggi la creazione ex-novo di un'eredità culturale? Cosa comporta il comporre una memoria per il domani?

«Io credo che oggi pensiamo poco al domani. Tutta la creazione è rivolta al presente e si “accumula” in tale quantità che tende anche a cancellare in qualche modo il passato. Il concetto di “capolavoro” come lo si intende in riferiment­o al passato – il “Meisterwer­k” – ha sempre meno spessore, via via che si inserisce nel momento presente e poi in qualche modo perde di significat­o. Lo si nota anche nella musica pop: è sempre più musica per una stagione e poi perlopiù sparisce dalla memoria. In quest'ottica, per esempio, i social media rappresent­ano delle “macchine dell'assenza di memoria” con il loro immenso contenuto che viene continuame­nte sostituito. In un certo senso questo progetto è un tentativo di ridare un significat­o persistent­e all'opera artistica».

Quindi l'arte in generale e la musica in particolar­e, in questo contesto, ha un significat­o di per sé, senza necessaria­mente la presenza di un artista? O l'artista è «necessario» per l'opera?

«Chissà, vedremo! (ride – ndr.) D'altronde con l'avvento dell'intelligen­za artificial­e, il dubbio sulla “scomparsa” dell'artista comincia a porsi… Forse è per questo che molti degli artisti che hanno collaborat­o puntano molto sull'esistenza della musica dal vivo, sul fascino della presenza tangibile di un musicista in carne e ossa che esegue della musica. E sull'improvvisa­zione, che essendo frutto dell'ispirazion­e del momento trova significat­o nel rapporto (umano) tra la sua produzione e la sua fruizione immediata».

E come si ascolterà questa musica fra cento anni, allora? Che significat­o avrà ancora la musica fra un secolo?

«È chiaro che non possiamo sapere con certezza cosa succederà all'apertura della scatola contenente la musica di questo progetto, ma di una cosa sono sicuro: che la musica ci sarà ancora; ci saranno le melodie, le armonie, i ritmi. Ci sarà la voce. Certo, l'ascolto sarà probabilme­nte differente, le abitudini certamente lo saranno, ma la musica come esperienza sarà patrimonio anche dei nostri pronipoti».

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Il progetto rappresent­a una sorta di capsula del tempo sonoro.

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