Musica per un pubblico che deve ancora nascere
/ Presentato a Berna «Utopie sonore», progetto al quale hanno aderito 40 artisti svizzeri che hanno composto opere che saranno ascoltabili solo tra cent'anni, nel 2123 – Ce ne parla l'ideatore Johannes Rühl
La SUISA, la Società svizzera a tutela dei diritti d'autore ha compiuto l'anno scorso i 100 anni di vita e, nel contesto delle iniziative volte a festeggiare l'istituzione, ce n'è una davvero particolare: il progetto Utopie sonore Zukunftsmusik - Échos du futur realizzato dall'Associazione Olocene che ha sede a Loco, in Valle Onsernone e che coinvolge 40 artisti svizzeri chiamati a comporre della musica che verrà ascoltata solo tra 100 anni. Ne abbiamo parlato con l'ideatore e responsabile del progetto: l'etnomusicologo e curatore di programmi musicali Johannes Rühl.
In cosa consiste il progetto Utopie e come è nato?
sonore
«L'idea è di realizzare qualcosa che si distacchi dal presente immediato, ponendosi in una posizione avulsa sia dal contesto attuale che – per forza di cose – da quello futuro, che ancora deve realizzarsi. Per questo abbiamo scelto un arco temporale di un secolo: è il tempo immediatamente successivo alle nostre generazioni attuali, il lasso di tempo più breve per il quale si può parlare un futuro nel quale tutti quelli che ci sono oggi (o quasi) non ci saranno più e con essi la loro memoria. E quelli che ci saranno non sono ancora nati. Questo, naturalmente, è l'aspetto affascinante
del progetto dal punto di vista dei musicisti coinvolti che hanno dovuto scrivere della musica per un pubblico sconosciuto, solo immaginabile. Il progetto è nato dall'intenzione di sperimentare una creatività artistica rivolta al futuro. Generalmente gli artisti “lavorano” per il presente, inserendosi nello Zeitgeist che risulta – per forza di cose – inflazionato di opere. Come uscire quindi dai vincoli del presente? Una risposta è questa: comporre per un pubblico che ancora deve esistere. Affascinante, ma anche difficile».
Questo significa anche dare una grande libertà agli artisti…
«Assolutamente! In questo modo non ci sono più vincoli sociali, culturali, economici legati alla produzione artistica: rimane solo la libertà di creare qualcosa di bello e di interessante immaginando un pubblico che ancora non c'è. L'intento è togliere i vincoli e vedere cosa ne emerge… anche se si scoprirà fra un secolo».
È stato difficile convincere degli artisti a partecipare ad un progetto nel quale la loro musica non verrà ascoltata dai contemporanei?
«Direi proprio di no: dei quaranta musicisti (selezionati su una lista di 160) ai quali ci siamo rivolti, tutti hanno immediatamente risposto in modo entusiasticamente affermativo».
Che significato ha oggi la creazione ex-novo di un'eredità culturale? Cosa comporta il comporre una memoria per il domani?
«Io credo che oggi pensiamo poco al domani. Tutta la creazione è rivolta al presente e si “accumula” in tale quantità che tende anche a cancellare in qualche modo il passato. Il concetto di “capolavoro” come lo si intende in riferimento al passato – il “Meisterwerk” – ha sempre meno spessore, via via che si inserisce nel momento presente e poi in qualche modo perde di significato. Lo si nota anche nella musica pop: è sempre più musica per una stagione e poi perlopiù sparisce dalla memoria. In quest'ottica, per esempio, i social media rappresentano delle “macchine dell'assenza di memoria” con il loro immenso contenuto che viene continuamente sostituito. In un certo senso questo progetto è un tentativo di ridare un significato persistente all'opera artistica».
Quindi l'arte in generale e la musica in particolare, in questo contesto, ha un significato di per sé, senza necessariamente la presenza di un artista? O l'artista è «necessario» per l'opera?
«Chissà, vedremo! (ride – ndr.) D'altronde con l'avvento dell'intelligenza artificiale, il dubbio sulla “scomparsa” dell'artista comincia a porsi… Forse è per questo che molti degli artisti che hanno collaborato puntano molto sull'esistenza della musica dal vivo, sul fascino della presenza tangibile di un musicista in carne e ossa che esegue della musica. E sull'improvvisazione, che essendo frutto dell'ispirazione del momento trova significato nel rapporto (umano) tra la sua produzione e la sua fruizione immediata».
E come si ascolterà questa musica fra cento anni, allora? Che significato avrà ancora la musica fra un secolo?
«È chiaro che non possiamo sapere con certezza cosa succederà all'apertura della scatola contenente la musica di questo progetto, ma di una cosa sono sicuro: che la musica ci sarà ancora; ci saranno le melodie, le armonie, i ritmi. Ci sarà la voce. Certo, l'ascolto sarà probabilmente differente, le abitudini certamente lo saranno, ma la musica come esperienza sarà patrimonio anche dei nostri pronipoti».