Israele e Iran, scambio di minacce Ucciso un leader di Hezbollah
Il portavoce dell'IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, posa accanto a un missile balistico iraniano caduto in Israele vicino a Kiryat Malachia. / Lo Stato ebraico ha confermato di voler rispondere al lancio di missili e droni di domenica scorsa ma non è
Mentre non è ancora chiaro quale potrà essere, o quale sarà, il livello della risposta militare di Israele all'attacco iraniano di domenica notte, l'Esercito dello Stato ebraico (IDF) ha proseguito a martellare le milizie sciite a Nord, al confine con il Libano, e ha ucciso ieri, in un raid aereo compiuto con alcuni droni, il comandante della regione costiera di Hezbollah, Ismail Yousef Baz. L'incursione che ha portato alla morte del capo dei miliziani è avvenuta ad Ain Baal, vicino a Tiro. Secondo quanto riferito dall'IDF, la vittima era «un alto funzionario e veterano dell'ala militare di Hezbollah. E a motivo del suo grado e della sua posizione, era stato coinvolto nell'avanzamento e nella pianificazione di lanci di razzi e missili anticarro verso Israele dalla zona costiera del Libano».
La guerra, quindi, non si ferma. Nonostante le diplomazie di tutto il mondo tentino di scongiurare ogni possibile escalation. Gli Stati Uniti si aspettano che la risposta militare di Israele agli attacchi dell'Iran sia di portata limitata: lo hanno detto ieri alla CNN un alto dirigente dell'amministrazione Biden e una fonte vicina all'intelligence. A detta della Reuters, una seconda fonte di intelligence avrebbe invece confermato che Tel Aviv sta valutando una rappresaglia «ristretta e limitata dentro i confini iraniani». Il Governo di Benjamin Netanyahu non avrebbe tuttavia, almeno sino a questo momento, svelato i suoi piani nemmeno all'alleato americano.
Il gabinetto di guerra israeliano, del quale fanno parte i leader delle forze politiche che sostengono l'Esecutivo di emergenza nazionale, si è riunito ieri per la terza volta in tre giorni proprio per discutere la risposta all'attacco di Teheran. Sembra che le opzioni sul tavolo siano molte e molto diverse tra loro, da quella diplomatica a quella militare. Una cosa è certa: i toni rimangono incandescenti. «Non possiamo restare fermi di fronte a questo tipo di aggressione ha detto il portavoce dell'Esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari - l'Iran non uscirà impunito da questa aggressione. Risponderemo al nostro tempo, al nostro posto, nel modo che sceglieremo». La risposta degli ayatollah è stata praticamente immediata: nel corso di una telefonata con il presidente russo Vladimir Putin, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha detto che «l'Iran risponderà a qualsiasi azione contraria ai suoi interessi nella maniera più energica, estesa e dolorosa di sempre».
Gli appelli alla calma, come detto, sono arrivati da ogni parte. Il ministro degli Esteri giapponese, Yoko Kamikawa, ha parlato con il suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif per esortare Teheran a «esercitare moderazione». Lo stesso ha fatto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, anch'egli impegnato in una mediazione telefonica con il capo della diplomazia di Teheran. Secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa statale Nuova Cina (Xinhua), Wang avrebbe detto a Zarif che «l'Iran può gestire bene la situazione e risparmiare alla regione ulteriori turbolenze, salvaguardando la propria sovranità e la propria dignità».
L'incertezza appare in ogni caso totale. Nel colloquio con Putin, il presidente iraniano Raisi, secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa IRNA, ha parlato di «ruolo distruttivo» degli Stati Uniti e di alcuni Paesi occidentali, nonché della «inerzia e della inefficienza delle istituzioni internazionali». La Repubblica islamica insiste sul suo diritto all'autodifesa e, nonostante l'evidenza, continua a considerare un «successo» l'attacco di domenica scorsa, minacciando al contempo di ripeterlo: «Risponderemo a qualsiasi azione contro gli interessi dell'Iran in modo più feroce di prima».
Le minacce di Raisi non hanno tuttavia trovato sponda nemmeno nel mondo arabo, segnale chiaro di un certo isolamento del regime degli ayatollah. L'Arabia Saudita, ad esempio, ha rinnovato l'appello per un cessate il fuoco immediato nella Striscia e per la consegna ininterrotta di aiuti umanitari a Gaza. Ma non ha menzionato la risposta militare di Teheran contro Israele. Anzi: il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, in visita a Islamabad, ha detto chiaramente: «Siamo già in una regione instabile, e la catastrofe umanitaria a Gaza sta ormai infiammando la regione. Non abbiamo bisogno di più conflitti, non abbiamo bisogno di più scontri, la nostra posizione è che la de-escalation debba essere la priorità di tutti».
Considerando la risposta militare un errore, gli Stati Uniti e l'Unione europea hanno infine deciso di prendere in considerazione nuove e rapide sanzioni economiche contro l'Iran. Lo hanno confermato ieri prima la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, e poi la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, la quale ha anche annunciato un viaggio in Israele per discutere su come allentare le tensioni nella regione. Baerbock ha detto che l'Europa è pronta ad accrescere le sanzioni contro Teheran: «Lo faremo, probabilmente entro pochi giorni».