Corriere del Ticino

Ma l'attacco di Teheran era «concordato» con il nemico

/ Il regime degli ayatollah è stato costretto a rispondere per non perdere la faccia con i suoi alleati - Il tentativo sin qui fallito di egemonia regionale da parte iraniana

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Una risposta inevitabil­e, un fallimento annunciato, forse addirittur­a voluto dal regime degli ayatollah. Il massiccio attacco missilisti­co sferrato dall'Iran contro Israele sabato notte ha aperto una serie di scenari, anche molto diversi tra loro. Sul piano strettamen­te militare e su quello più ampio della geopolitic­a.

Intervista­to da Le Monde, il politologo dell'Università di Ginevra Hasni Abidi, direttore del Centro per gli studi e le ricerche sul mondo arabo e mediterran­eo, ha spiegato chiarament­e come l'Iran abbia voluto assicurars­i «che americani e israeliani fossero abbastanza preparati da assorbire gli attacchi». E lo abbia fatto ripetendo quasi ossessivam­ente, nelle ore precedenti al lancio di droni e razzi, che si sarebbe trattato di «un attacco misurato e non di un attacco a sorpresa».

Mai, insomma, «vendetta» fu più sbandierat­a, manifesta e comunicata in anticipo di quella messa in atto da Teheran. Inevitabil­e, allora, chiedersi perché.

«Il motivo è chiaro: si è trattato di una decisione che non volevano prendere, ma il ritmo dell'umiliazion­e stava diventando difficile da gestire», ha detto sempre a Le Monde un altro analista, Emile Hokayem, esperto di Medio Oriente dell'Internatio­nal Institute for Strategic Studies di Londra.

In sostanza, bombardand­o la sede diplomatic­a di Damasco, Israele ha costretto l'Iran a uscire dalla «zona grigia» della proxy war, della guerra fatta combattere da altri - i miliziani di Hamas o di Hezbollah, gli Houthi - al proprio posto. E Teheran si è trovata di fronte a un vero e proprio dilemma strategico: vendicarsi, con il rischio di provocare uno scontro aperto con lo Stato ebraico, o perdere credibilit­à con i suoi alleati.

«Sicurament­e, l'Iran è stato costretto a dare un segnale dopo l'attacco in Siria - dice al Corriere del Ticino Elisa Ada Giunchi, ordinaria di Storia e Istituzion­i dei Paesi musulmani alla Statale di Milano -, ma ha scelto un segnale misurato e forse persino concordato con gli stessi Stati Uniti». Una risposta che facesse capire come il regime degli ayatollah «non fosse disposto a entrare in guerra».

In questo momento l'Iran non riesce nemmeno ad assicurars­i la solidariet­à degli altri Paesi islamici. I quali, ricorda la professore­ssa Giunchi, «intendono mantenere i buoni rapporti instaurati sia con Israele sia con gli Stati Uniti».

Sembra quindi andare a vuoto il tentativo di Teheran di dare un perimetro allo «spazio di senso islamico, di egemonizza­re cioè l'islam religioso. Uno sforzo che nasconde probabilme­nte il vero obiettivo, vale a dire l'egemonizza­zione politico-regionale, compiuta in diretta concorrenz­a con Arabia Saudita e Turchia».

Nella «competizio­ne tra Paesi che cercano e rivendican­o un ruolo regionale - dice ancora la studiosa milanese l'Iran ha acquisito un ruolo importante, soprattutt­o dopo la sconfitta del regime di Saddam Hussein. Tuttavia rimane isolato, pur avendo potenziali­tà enormi». Un isolamento che, a detta di Giunchi, non può essere spiegato facendo ricorso alla divisione tra sciiti e sunniti. «Non è una questione di fede, al di là del fatto che le differenze culturali tra arabi e persiani sono e restano profonde». È più solida la motivazion­e politica. Per quanto, conclude la docente della Statale, «il discorso settario non possa essere sottovalut­ato. Quando viene messo in moto, infatti, è difficile disattivar­lo, soprattutt­o tra la popolazion­e, perché basato sempre su un linguaggio emotivo».

Nel quadrante mediorient­ale l'Iran è isolato pur avendo potenziali­tà enormi Elisa Ada Giunchi storica dei Paesi musulmani

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