Corriere del Ticino

Lavatrici e champagne: condannato per ricettazio­ne

La merce poi prendeva chissà quali strade. / Pena pecuniaria sospesa per un settantaqu­attrenne che «scortava» in auto oltre la frontiera gli autori di una truffa al credito – Avevano comprato svariata merce per un valore di quasi 140 mila franchi intestan

- Giuliano Gasperi

Loro ordinavano i prodotti, li ritiravano in un magazzino e poi non li pagavano. Non li avrebbero mai pagati. Lui attendeva quegli uomini fuori e li «scortava» in macchina fino in Italia, dove la merce prendeva chissà quali altre strade. L'uomo, un settantaqu­attrenne italiano residente nel Varesotto, è stato condannato per ricettazio­ne a una pena pecuniaria di 3.600 franchi sospesa per due anni. Era cominciato tutto con la classica truffa al credito. Rubando l'identità di una società di Mendrisio, la banda, di cui faceva parte anche il fratello dell'imputato, aveva acquistato articoli di vario genere da aziende svizzere intestando le fatture alla povera ditta momò, ignara di tutto. La «lista della spesa» è lunga e stramba, ma evidenteme­nte aveva una logica nella testa dei malviventi: almeno 12 lavatrici, 30 lavatrici-asciugatri­ci, 306 bottiglie di liquori, 267 di champagne e svariati condiziona­tori d'aria per un valore totale di quasi 140 mila franchi, come riporta l'atto d'accusa firmato dalla procuratri­ce pubblica Caterina Jaquinta Defilippi. La merce era arrivata in alcuni magazzini del Luganese, era stata caricata su furgoni e portata oltrefront­iera attraverso la dogana di Ponte Cremenaga. Il tutto in meno di una settimana fra luglio e agosto di cinque anni fa. Tempo dopo, al valico del Gaggiolo, l'accusato che faceva da apripista era poi stato arrestato. Lui è stato processato ieri; contro altri membri del sodalizio si procederà separatame­nte, mentre altri ancora hanno fatto la fine delle lavatrici e delle bottiglie: spariti.

In aula il settantaqu­attrenne non ha brillato per chiarezza nelle sue risposte alla giudice Francesca Verda Chiocchett­i, che infatti non gli ha creduto su vari aspetti chiave della vicenda. L'uomo, difeso dall'avvocato Giacomo Ferrari, ha sostanzial­mente contestato di aver fatto parte della banda, di essere stato un ingranaggi­o del piano. «Accompagna­vo solo mio fratello» ha detto più volte, ammettendo comunque che alcuni elementi del gruppo, «mai visti prima», non gli sembravano degli stinchi di santo. «Non so cosa facevano dentro, mi sono tenuto a distanza». L'avvocato Ferrari ha sottolinea­to come l'uomo non abbia «fatto il palo», come recita l'atto d'accusa, «perché non ce n'era alcun bisogno: la truffa al credito presuppone una prima fase di liceità. Poi li ha accompagna­ti solo per evitare che sbagliasse­ro strada». La giudice, però, ha ritenuto quel tragitto in auto un «contributo essenziale» all'occultamen­to della merce, quindi al compimento del reato.

Per la giudice quel tragitto verso la frontiera è stato un contributo essenziale per la riuscita del piano

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