Le poesie musicali di Lynne Arriale
/ Intensa performance, lunedì sera al Jazz Cat Club di Ascona, del trio della pianista statunitense che ha sfoderato una straordinaria sensibilità compositiva abbinata a una tecnica interpretativa di prim'ordine
Suoni morbidi, vellutati, frutto di un pianismo di chiara impostazione classica venato da grande sensibilità. Più che jazz potremmo definirlo poesia musicale lo stile con cui Lynne Arriale lunedì sera ha deliziato al Teatro del Gatto di Ascona il folto pubblico del Jazz Cat Club.
Una performance di grande intensità in cui la pianista americana ha dato saggio oltre che di invidiabili doti tecniche di un eccellente talento compositivo. Le canzoni che hanno composto il suo recital (sebbene si sia trattato di brani interamente strumentali usiamo il termine canzoni perché tale è la loro struttura) tratte prevalentemente dal suo più recente album Being Human, sono infatti dei piccoli gioielli dal raffinato ed elegante gusto melodico che rimanda in egual misura alle composizioni del quartetto europeo di Keith Jarrett di fine anni Settanta, al camerismo neoromantico ma anche al post-bop coltraniano soprattutto per l'alone quasi mistico e di speranza che le avvolge. Riscontrabile sia nella loro titolazione (Passion, Faith, Persistence, Courage, Heart, Gratitude, Curiosity, Soul, Love…) sia nelle dediche che l'artista ha assegnato ad ognuna di loro indirizzate prevalentemente ad attivisti e difensori dei diritti umani tra cui Greta Thunberg e Malala Yousafzai, nonché nella loro esecuzione in cui la componente emotiva ha molto spesso prevalso rispetto a quella, pur elevatissima, di carattere tecnico. Esecuzione che nell'arco dell'intero concerto ha seguito un crescendo… al contrario.
Accompagnata dai fidi Alon Near al contrabbasso e Lukasz Zyta alla batteria, Lynne Arriale ha infatti iniziato l'esibizione con suoni potenti, energici che, brano dopo brano, si sono fatti più morbidi, vellutati anche nelle composizioni più ritmate (come March On dalle chiare sfumature afrocubane e la conclusiva e venata di speranza Sounds Like America). Fino ai due «bis» con cui, tra convinti applausi, si è congedata dalla platea ticinese: una struggente versione della beatlesiana Let It Be e una avvolgente cover della storica The Mountain Of The Night di Abdullah Ibrahim, a riprova anche di un'abilità interpretativa fuori dal comune che delinea il ritratto di un'artista completa che ci auguriamo di rivedere al più presto e che, anche discograficamente, è meritevole un ascolto attento e approfondito.