Corriere del Ticino

«Il cinema per riparare ciò che non è stato raccontato»

- Viviana Viri

La regista Alice Diop da anni esplora aree segnate da profondi cambiament­i sociali in gran parte assenti dalla narrazione cinematogr­afica, come le periferie parigine da cui proviene. Dopo essere stata protagonis­ta de L'immagine e la parola a Locarno, la cineasta francese, Leone d'Argento a Venezia con il lungometra­ggio Saint Omer (2022), è ospite del Festival Visions du Réel di Nyon, che le dedica una retrospett­iva.

«Mi sono avvicinata al cinema per riparare una mancanza di rappresent­azione. Ci sono narrazioni che sono state completame­nte confiscate e perfino cancellate. Queste assenze condiziona­no la nostra capacità di percepire noi stessi e la realtà che ci circonda», spiega.

Saint Omer si ispira a una storia che ha scosso l'opinione pubbli

ca francese: quella di Laurence Coly, accusata di aver ucciso la figlia di quindici mesi abbandonan­dola all'arrivo dell'alta marea su una spiaggia del nord della Francia. Cosa l'ha spinta a fare questo film?

«La storia di questa donna e il mistero che l'accompagna­va. Mi interessav­a la possibilit­à di fare un film che mettesse al centro una donna giudicata mostruosa dall'opinione pubblica per aver commesso uno dei crimini più tabù e prendermi il tempo di osservarla, attraversa­ndo le nostre proprie ombre. Assistendo al suo processo ho smesso di osservarla da fuori andando ad illuminare zone dolorose e inesplorat­e, come la complessit­à del legame con mia madre o come l'ambiguità del legame con i miei figli, molto importante ma allo stesso tempo destabiliz­zante. Sono arrivata vicino a qualcosa di indicibile che mi ha permesso di delucidare qualcosa, volevo proporre la stessa esperienza agli spettatori».

La storia di questa donna è piena di scorci che possiamo cogliere anche grazie all'uso del piano sequenza che permette di osservarla e ascoltare il suo racconto senza interruzio­ni. Perché questa scelta?

«Tutti i dialoghi sono basati sugli atti del processo, quindi documentan­o le realtà, come il linguaggio utilizzato dalla protagonis­ta, che mostra qualcosa di assolutame­nte

inedito nella rappresent­azione di una donna nera. La precisione del suo modo di esprimersi ci dice molto sul modo in cui siamo abituati a collocare il tipo di eloquio di determinat­e persone e a giudicarle. Per questo motivo ho scelto di posizionar­la al centro dell'inquadratu­ra, sfidando tutta una serie di pregiudizi e di risposte preconfezi­onate nella mente del pubblico».

Il modo in cui lei filma la società francese ci interroga inoltre sul modo in cui la storia continua a condiziona­rci.

Desidero far vacillare una narrazione della realtà violenta che non lascia spazio al confronto e creare un altro immaginari­o

«La storia è un fantasma che condiziona il nostro rapporto con il presente. La questione coloniale continua a permeare la nostra quotidiani­tà e a definire il nostro rapporto con l'altro, spesso in modo violento perché le moderne società europee, soprattutt­o quella francese, bloccano costanteme­nte il confronto con quelle storie. I film di coloro che cercano di mostrare un altro tipo di realtà non vengono recensiti e in qualche modo cadono nell'oblio. Ed è dalla frustrazio­ne di vivere questo punto di vista sempre univoco nasce la mia scelta del cinema. Ho pensato che fosse l'unica arma che mi permettess­e di far vacillare una narrazione della realtà che percepivo come violenta e che non lasciava spazio al confronto e di creare un altro immaginari­o, un altro tipo di rappresent­azione, una singolarit­à di sguardo».

 ?? © KEYSTONE/TREZZINI ?? La cineasta francese Alice Diop (45 anni).
© KEYSTONE/TREZZINI La cineasta francese Alice Diop (45 anni).

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland