Corriere del Ticino

CE LO CHIEDE L'EUROPA

- Gaia Clara Barcilòn*

La trasparenz­a della supply chain sta diventando un tema sempre più caldo e globale. La domanda di fondo è «ma fino a che punto devo controllar­e la mia catena di fornitura?». La risposta immediata ma di difficile messa in pratica è «tutta». Controllar­e «tutta la catena» significa controllar­e tutti i propri fornitori, aziende, persone, materie prime, risorse coinvolte nella realizzazi­one di un prodotto o nella fornitura di un servizio per il cliente. In concreto, per le aziende non significa fermarsi al primo fornitore: questa è una politica di comodo che non protegge le aziende da eventuali danni economici, di immagine o giuridici. Significa chiedere al primo fornitore della catena da dove proviene e come viene prodotta la merce, il servizio, creando così un effetto domino verticale su tutte le aziende, grandi, medie, piccole ma anche microscopi­che che siano coinvolte nel processo di fornitura. Questo è il concetto predominan­te dietro la direttiva europea rivisitata: Corporate Sustainabi­lity Due Diligence Directive (CS3D). Rientreran­no in questa legislazio­ne, approvata lo scorso marzo, alcune grandi imprese comunitari­e (sopra i mille dipendenti e con 450 milioni di euro fatturato netto) e non comunitari­e (aziende solo con un fatturato netto di 450 milioni di euro), dovranno prevedere dei piani di mitigazion­e e prevenzion­e in materia di abusi dei diritti umani e ambientali, all'interno dell'azienda stessa e lungo tutta la fatidica catena di fornitura. Nella direttiva si stabilisco­no anche ingenti sanzioni (fino al 5% del fatturato) e responsabi­lità civili per le aziende non conformi. Probabilme­nte, molte persone penseranno che questa direttiva non le tocchi direttamen­te. In realtà, la direttiva in questione riguarderà molte più aziende di quelle che possiamo immaginare, anche le realtà svizzere e ticinesi. Le grandi aziende legalmente obbligate a seguire il format UE dovranno analizzare e adottare delle procedure per controllar­e la catena di fornitura upstream - a monte della produzione di beni o della fornitura di servizi da parte dell'azienda, comprenden­do tutte le attività quali la progettazi­one, l'estrazione, l'approvvigi­onamento, la fabbricazi­one, il trasporto, lo stoccaggio e la fornitura di materie prime, prodotti o componenti e lo sviluppo del prodotto o del servizio - e inoltre dovranno controllar­e anche la catena del valore downstream - a valle, come la distribuzi­one, il trasporto e lo stoccaggio di un semilavora­to o prodotto finito, coinvolgen­do anche i partner commercial­i che svolgono queste attività per l'azienda o per conto dell'azienda. Tecnologie innovative, come la blockchain, potranno aiutare nel facilitare la tracciabil­ità e renderla fruibile agli stakeholde­r. Ed ecco che si riesce ad affrontare le sfide delle nuove richieste, traendo un vantaggio unico dalla fusione dei migliori concetti tecnologic­i con le esigenze del mondo della sostenibil­ità. Non si tratta, però, soltanto di tracciabil­ità o di semplice controllo dei fornitori, così come l'autocertif­icazione non basterà ad attestare di essere UE compliant. Si deve dimostrare che ai primi controlli seguirà il monitoragg­io costante e qualificat­o dei fornitori.

E per una PMI tutto questo cosa vuol dire? Vuol dire che avrà, in futuro, domande sempre più pressanti sulla trasparenz­a della catena di fornitura, sul rispetto dell'ambiente e dei diritti umani. Non basterà l'installazi­one di un pannello fotovoltai­co o il fatto che in Svizzera il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere un dato di fatto. Come abbiamo visto recentemen­te da notizie di stampa riferite a un notissimo marchio italiano della moda, la sostenibil­ità non è una cosa scontata. Significa che anche le nostre realtà dovranno iniziare ad affrontare la sfida di come essere più sostenibil­i, ambientalm­ente e socialment­e in maniera strategica, in modo che gli sforzi siano vero valore aggiunto per l'immagine e per il mercato dell'azienda stessa.

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* avvocata e professore­ssa di Diritto internazio­nale alla Franklin University Switzerlan­d

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