Si chiude il sipario sulla stagione OSI al LAC
La violinista Veronika Eberle è stata la protagonista del celebre «Concerto per violino in mi minore» di Felix Mendelssohn. / Julian Rachlin ha diretto giovedì sera l'Orchestra della Svizzera italiana nell'ultimo appuntamento della stagione OSI al LAC, in
Ogni volta che ascoltiamo il Concerto per violino in mi minore di Felix Mendelssohn, caposaldo della letteratura concertante per violino, come accaduto nell'ultimo dei concerti in abbonamento della stagione OSI al LAC, sovvengono le parole con le quali il celebre pianista-compositore-direttore russo Anton Rubinstein lo battezzava un «unicum», paragonabile solo al Concerto in la minore di Schumann nella letteratura pianistica.
Un concerto superbamente dosato, dove il brio non ostacola mai lo scatto espressivo, alleati in una perfezione classica che si credeva perduta in epoca romantica e che divenne modello anche per chi in seguito non avrebbe mai ammesso debiti con quello che venne considerato ingiustamente solo un elegante musicista Biedermeier.
Considerazioni che prescindono dal voltaggio degli interpreti ma spiegano l'impressione tersa e luminosa che questo concerto lascia nell'uditorio - nel nostro caso solista era la composta violinista tedesca Veronika Eberle, temperamento e suono ben controllato, in sintonia con la concertazione vigilata del direttore d'orchestra austro-lituano Julian Rachlin, «accompagnatore» della «collega» con tutta la sensibilità di violinista di rango salito sul podio.
Il «tempo» dove la solista è sembrata meglio equipaggiata e in consonanza con il suo intimo sentire, è parso quello centrale, quando la corda lirica più delicata canta una Romanza senza parole, essendosi difesa con onore nella regalità eloquente del primo tempo e nel funambolico Rondò bitematico finale, elettrica alternanza fra un guizzante motivo dal carattere capriccioso e una marcia nuziale festosa nel clima delle musiche di scena per lo shakespeariano Sogno di una notte di mezz'estate.
Rachlin aveva avviato il concerto con la sinfonia Classica di Prokof 'ev. Una lettura con stacchi di tempo decisamente comodi, con sonorità eleganti e umori trattenuti, dove più che lo slancio sembrava contare una certa pulizia dei passi, tenendo a distanza il brio scatenato del giovane «terribile» Prokof 'ev.
Ricordiamo che la Classica è un omaggio allo stile e agli organici di Haydn, scritto però mentre scoppiava la rivoluzione russa del 1917, dunque con uno spirito particolare. «Se Haydn fosse vissuto nella nostra epoca […] avrebbe mantenuto il suo stile compositivo e allo stesso tempo avrebbe anche assorbito qualcosa di nuovo», ricordava il compositore nel suo diario. «Volevo comporre una sinfonia in stile classico.»
Per questo Prokof 'ev osservò la simmetria classica, un certo «distacco» emotivo e le maniere cortesi del modello, ma non rinunciò all'ironia grottesca del suo orecchio «moderno», come nel taglio esuberante e vitale dell'Allegro e nella nettezza ritmica della celebre Gavotta. «Quando ha cominciato a prendere forma, l'ho chiamata Classica, per molte ragioni. La prima, perché era il modo più facile; la seconda, per dispetto e col desiderio di stuzzicare le oche, nella segreta speranza che ci avrei guadagnato, se nel frattempo la sinfonia si fosse rivelata veramente classica». Il giovane Prokof 'ev non aveva mai fatto segreto di divertirsi a canzonare e a disturbare i suoi insegnanti, Nicolaj Tcherepnin e il direttore del conservatorio Aleksandr Glazounov: «Quando i nostri professori e musicisti inclini al classicismo (per me falsoclassico) ascolteranno questa sinfonia, cominceranno a protestare contro questa nuova insolenza di Prokof'ev: “Guardate, non lascia tranquillo nemmeno Mozart nella tomba e lo disturba con le sue mani sporche, contaminando le pure perle classiche con le sue orribili dissonanze”».
L'elegante gesto di Rachlin non ha disturbato le oche e nemmeno Amadeus Mozart, al quale spettava la seconda parte della serata con la sua penultima sinfonia, la celebre Grande in sol minore. Quasi mai pervenute le inquietudini e i chiaroscuri di cui è piena la letteratura interpretativa sulla sinfonia K 550, forse in parziale contaminazione con lo spirito Biedermeier di Mendelssohn, il più classico fra i grandi compositori romantici.