Fotografia di un Paese diviso e sull'orlo della catastrofe
/ Con un film distopico, che pare ambientato nel presente, lo sceneggiatore e regista inglese Alex Garland ci offre l'allucinante affresco di una realtà, quella statunitense, dove il valore della vita umana e quello dell'informazione sono pari a zero
«Ogni volta che sono scampata a una guerra ho pensato di inviare un messaggio d'allarme: non fate mai più questo! Ed ora eccoci qua». Con questa amara considerazione, la rodata fotogiornalista Lee (Kirsten Dunst), sopravvissuta a mille battaglie, sintetizza il proprio stato d'animo mentre discute con l'anziano reporter Sammy (Stephen McKinley Henderson) in un parcheggio deserto mentre il cielo notturno è squarciato dai bagliori delle cannonate provenienti dal fronte. Non siamo nella Corea degli anni Cinquanta, nel Vietnam dei Sessanta e nemmeno nell'Afghanistan di pochi anni fa. Siamo nel cuore degli Stati Uniti in un futuro molto prossimo che assomiglia terribilmente al presente. La guerra civile tra i secessionisti di Texas, California, Florida e altri Stati del sud e l'esercito federale sta provocando migliaia di morti e ha trasformato il territorio in una realtà a macchia di leopardo, dove un manipolo di pazzi armati di mitra può diventare un ostacolo invalicabile per chiunque.
Dalla calma all'inferno
È attraverso questo paesaggio deserto, apparentemente tranquillo ma che da un momento all'altro può trasformarsi in un inferno, che Lee, Sammy, il giornalista Joel (Wagner Moour) e la giovanissima Jessie (Cailee Spaeny) viaggiano a bordo di un SUV bianco sulle cui fiancate è iscritta la parola «Press». Partiti da New York, puntano - seguendo un percorso tortuoso lontano dalle principali arterie stradali verso Washington, con la speranza di raggiungere la capitale, messa sotto assedio dai ribelli, in tempo per carpire l'ultima intervista al presidente degli Stati Uniti prima della definitiva sconfitta. Un'impresa giornalistica che in altri
tempi avrebbe attirato l'attenzione delle maggiori testate del Paese, ma che in questi tempi di confusione e incertezza assoluta riguardo al futuro non pare interessare a nessun altro oltre che ai suoi artefici. Un'impresa che i nostri eroi (rimasti in tre dopo che Sammy ci lascerà la pelle per salvato i compagni) riusciranno a portare a termine dopo essere scampati a imboscate di vario genere. Il risultato sarà però a tutti gli effetti insignificante.
Road Movie movimentato
Con Civil War, il regista e sceneggiatore inglese Alex Garland ci propone un movimentato road movie in stato d'assedio, ma soprattutto un impietoso affresco di un mondo all'interno del quale la comunicazione non si fa più con le parole ma con le pallottole. I quattro «sopravvissuti» a bordo della loro auto bianca sembrano davvero gli ultimi che cercano di ragionare su quel
che sta succedendo intorno a loro. Tutti gli altri subiscono gli avvenimenti con il solo scopo di essere i primi a «dare la notizia», senza preoccuparsi delle conseguenze che ciò possa comportare. Nel mondo di Civil War persino il concetto di fake news appare superato: i media e i loro operatori non rivestono più alcuna importanza. Per descrivere la realtà ci si accontenta di un tweet e di una foto anonima. Eppure uno dei grandi pregi del film sono proprio i fotogrammi fissi che regolarmente interrompono il flusso incessante delle immagini. Questi attimi statici corrispondono agli scatti di Lee e di Jessie, fotografie che probabilmente nessuno vedrà mai ma che si impongono come riflessi innegabili di un disastro. Come le prove inconfutabili della tragica fine di un Paese che per secoli è stato considerato la patria della libertà. Garland porta avanti questo discorso con innegabile abilità, alternando i momenti frenetici
in cui i suoi protagonisti rischiano la vita a intervalli riflessivi durante i quali i più esperti (Lee e Sammy) cercano di inculcare all'inesperta Jessie i concetti di base del mestiere. Grazie anche alla convincente prova di tutti gli interpreti, questo meccanismo funziona a meraviglia finché si raggiunge Washington, la tappa finale del viaggio. Qui il parossismo della guerriglia si fa insopportabile. È praticamente impossibile capire cosa stia accadendo davanti ai nostri occhi. Un cambiamento di ritmo per certi versi comprensibile, ma che sottrae alla parte conclusiva del film un'affermazione di condanna sufficientemente forte da risultare convincente.
«Civil War» Regia di Alex Garland. Con Kirsten Dunst, Wagner Moura, Cailee Spaeny, Nick Offerman, Stephen McKinley Henderson, Jefferson White (USA 2024, 109').