Dino Saluzzi, un raffinato virtuoso
Nostalgico, triste, a tratti sfrenato, sensuale, esplosivo. Il tango – radici francesi, spagnole e italiane, ma anche africane, a partire dal termine, translitterazione della parola xango – è emerso con prepotenza nelle città atlantiche argentine a inizio Novecento, venendo subito recepito, con grande successo, in Europa e negli Stati Uniti. Col jazz, è stata la grande novità americana dei primi trent’anni del secolo scorso. Ma come tutte le musiche è mutato strada facendo, attenuando l’identità danzante per assumerne una più strumentale e intellettuale, d’autore. Dopo Carlos Gardel, eroe popolare, la rivoluzione dal tango moderno reca il nome di Astor Piazzolla, del quale tra pochi giorni si celebra il centenario. Dopo violino, contrabbasso e pianoforte, ecco la fisarmonica, e le sue varianti. Dopo Piazzolla, Saluzzi.
Oggi ottantacinquenne, Dino Saluzzi è un raffinato virtuoso del bandoneon, strumento simile alla fisarmonica, ma di più contenute dimensioni. Il bandoneon lo ha accompagnato sin dall’infanzia, segnata dall’influenza del padre e dallo spirito di Francisco de Caro e Agustín Bardi. Attivo a Buenos Aires in contesti orchestrali, si è poi misurato anche col jazz (Gato Barbieri) e ha visto impennare la sua carriera nel 1982 dopo la firma con l’ECM, registrando numerosi dischi sia di jazz sia di tango e di milonga. Quest’ultimo (Albo
res, ECM 744 7754) propone la musica come ricerca di un paesaggio sonoro interiore, esperito con diverse sfumature di luce e di timbri. Album prezioso e quasi crepuscolare: da ascoltare con concentrazione e senso di sospensione del tempo e dello spazio.
*Università di MilanoIULM