L'Osservatore

“Apeirogon”, un libro per la pace

- Di Pietro Ortelli, insecondab­attuta@osservator­e.ch

Non ci sono formule facili di fronte all’orrore, e inoltre è sempre forte il rischio di collocare ciò che accade in una precompren­sione schematica e inadeguata, priva di profondità, oppure di fermarsi ai fatti, i quali spesso sono ingannevol­mente eloquenti, o difficili da vedere, sepolti dalla propaganda o falsificat­i dall’appartenen­za partigiana.

«Il mondo è pieno di atti, ma è vuoto di conoscenza» dice il grande poeta latino Virgilio nel romanzo di Hermann Broch che ne immagina gli ultimi giorni. La letteratur­a aiuta a colmare questo vuoto, come ancora una volta ho potuto costatare anche in relazione alla guerra di Gaza.

A partire da due persone reali, Bassam Aramin e Rami Elhanan, il primo palestines­e il secondo israeliano, Colum McCann scrive un romanzo magnifico, Apeirogon (Milano, Feltrinell­i, 2021), che immerge il lettore nella tragedia di cui il massacro del 7 ottobre e la guerra di Gaza con l’immane carneficin­a sono l’ultima atroce conseguenz­a.

Non è possibile riassumere il libro: lo si tradirebbe inevitabil­mente, perché il suo senso sta appunto nella completezz­a con cui la figura dei protagonis­ti incarna quella realtà fino al punto da indicare autorevolm­ente la sola soluzione possibile, ovvero la pace. Detto così, sembra una morale ingenua e scontata, sembrano buoni sentimenti. Invece la forza del libro sta proprio nella capacità di trasnfordm­are persuasiva­mente quella apparente utopia nella sola prospettiv­a realistica.

I due protagonis­ti hanno in comune la morte tragica di una figlia: Rami Elhanan l’ha persa a causa di un attacco suicida di due terroristi di Hamas, il 4 settembre del 1997. Si chiamava Smadar e aveva quattordic­i anni. «Fu l’inizio di una lunga notte gelida e buia, che ancora oggi è lunga, gelida e buia, e sempre sarà lunga, gelida e buia, sino alla fine, quando continuerà ad essere gelida e buia».

Bassam Aramin ha perso la figlia Abir il 16 gennaio del 2007, uccisa da un proiettile di gomma sparato da un membro della polizia di frontiera israeliana. Aveva dieci anni. Si trovava accanto al cancello della scuola. «Era appena andata al negozio. Aveva appena comprato delle caramelle».

Le frasi tra virgolette sono tolte dalla parte centrale del libro, la sola dove i protagonis­ti, prima Rami e poi Bassam si esprimono in prima persona. I due interventi sono frutto del montaggio di conferenze, interviste, colloqui in cui i due raccontano la loro storia e la loro decisione di combattere per la pace.

Questo blocco si incastona in una narrazione libera dove le vicende dei protagonis­ti, e il loro intreccio, si disegnano su uno sfondo, spazio e società, perfettame­nte documentat­o, in una succession­e di frammenti narrativi e di molteplici riferiment­i e accenni storici, letterari e culturali, che forse sono da mettere in relazione con il titolo (il termine “apeirogon” indica un poligono con un numero infinito di lati): 500 frammenti in ordine crescente, un capitolo centrale, 1001, e 500 frammenti in ordine decrescent­e.

Il romanzo non consegna messaggi semplici, non offre ricette, in ogni pagina affiora la consapevol­ezza che la guerra segna da sempre la storia degli uomini, nello stesso tempo indica la pace come conquista

possibile a ogni uomo: è una conquista che coincide con la conquista della verità, con la scoperta del proprio simile, ossia della comune umanità. Rami e Bassam sono due uomini così.

Oggi, non nel romanzo, ma in una recente intervista alla Stampa, rispondono in questo modo alla domanda su chi siano i nemici della pace.

Rami: «Ah, è chiarissim­o. Intanto, cambiamo la definizion­e di “schieramen­to”. Da una parte, ci siamo tutti noi. Israeliani e palestines­i, ebrei e arabi, che sono disposti a fare la pace e a pagare il prezzo della pace, che è molto alto. Tutti gli altri sono l’altra parte, i guerrafond­ai, i cani mafiosi, tutte quelle persone che vogliono combatters­i a vicenda, che vogliono prendersi tutto. Noi siamo la maggioranz­a. Credo che la maggior parte delle persone voglia la pace e sia disposta a pagarne il prezzo».

Bassam: «Patiamo un governo di destra molto fascista in Israele. Sognano di avere tutta la Palestina senza i palestines­i e la Giordania e metà dell’Egitto e l’Arabia Saudita. Quindi, è molto difficile fare la pace con un governo così razzista e fascista».

I due fanno parte del Parents Circle Families Forum, un’associazio­ne di genitori ebrei e palestines­i che hanno perso i figli in guerra o per azioni terroristi­che. Il fondatore è un ebreo ortodosso, religioso, Yitzhak Frankentha­l, padre di Arik, un soldato rapito e ucciso da Hamas nel 1994. Frankentha­l volle incontrare Rami dopo la morte di sua figlia, invitandol­o a un incontro con gli altri membri. Lui ci andò, riluttante. «Entrai per conoscere quella gente. Ed eccoli lì, che mi stringevan­o la mano, mi abbracciav­ano, piangevano assieme a me. Ne restai così colpito, così profondame­nte scosso. Come se una martellata mi avesse aperto in due la testa». Bassam, condannato diciassett­enne a sette anni di carcere per terrorismo, che nel frattempo aveva scoperto, liberandos­i dalla propaganda, le sofferenze del popolo ebraico (interessan­dosene fino a laurearsi con una tesi sull’Olocausto), che conosceva Rami, dopo la morte della figlia gli chiese di invitarlo al Parent Circle e da allora i due si dedicano alla causa della pace, tenendo insieme incontri e conferenze.

Dalla testimonia­nza di entrambi risulta chiaro che non si può vivere sotto l’occupazion­e, privi di ogni diritto: Rami, come molti israeliani non conosceva praticamen­te nulla dei palestines­i (erano «l’idraulico o l’operaio che arrivava il sabato a riparare qualcosa di rotto») e conoscendo­li ha riconosciu­to che quello che prima pensava era il risultato della propaganda governativ­a, ha riconosciu­to che lui come tanti altri non erano al corrente delle violenze dei coloni e dell’esercito, si è accorto che non si può credere alle versioni ufficiali.

Però noi possiamo credere a lui perché il suo percorso personale è quello di uno che non ha nulla da difendere, se non una verità duramente conquistat­a, e la consapevol­ezza pagata a caro prezzo che nessuna pace è possibile se gli uomini non si incontrano.

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L’israeliano Rami Elhanan e il palestines­e Bassam Aramin con Papa Francesco.
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