“Giuli”, una scrittrice, un’amicizia
Questa è la storia di una donna che si è sperimentata generosamente, durante la sua vita, nelle diverse forme e passioni d’arte, coltivando musica, fotografia, la pittura degli amici che frequentavano la casa, il teatro e naturalmente i libri, la letteratura. Nella scrittura, accanto e dopo la professione nell’ambito della psicomotricità, convergono, rielaborate, queste tematiche, così come l’esistenza con le sue molteplicità di affetti, emozioni, sogni, gli estremi di nascita e morte, al confine tra realtà e immaginazione, vissuto e memoria. Un nucleo ispirativo che ha le sue radici nei ricordi atavici e personali della famiglia, dagli avi del passato per proseguire con figli e nipoti, un universo al cui centro (come nel lavoro) c’è l’infanzia, creatrice di parole, di sorprendenti visioni e accadimenti, di straordinarie fantasie oniriche, una materia trasfigurata che richiede il coinvolgimento di tutti i sensi, anche sulla pagina. Non solo mente e sguardo, ma suoni, profumi, dall’oggetto al sentimento, dal concreto all’astratto. Un fascino testuale proprio perché non segue una logica tradizionale ma ci assomiglia in quell’abbandonarci a libere associazioni, ad evocazioni, improvvise epifanie, “intermittenze del cuore”, come ci ha insegnato Proust. Le prose di “Giuli”, come familiarmente era chiamata, sconfinano nell’insondabile della poesia, che si tratti di brevi aforismi o più distese narrazioni. Alla superficie s’incontra la difficoltà di un mistero da svelare, interpretare, nello scoglio di metafore e simboli, ma mettendo da parte un’arida funzione di razionalità, si trova il segreto di uno stile che parla direttamente a quello che siamo, come persone, la dissolvenza si fa a poco a poco più chiara. In quella capacità mimetica di narrare il mondo come se lo si vedesse per la prima volta attraverso la candida sorpresa di un bambino e, accanto, l’espressione della vecchiaia che troppo ha visto e che troppo sa, con il fardello di stanchezza e saggezza. Coesistono gli opposti nella descrizione del dettaglio realistico, da una parte, e nella subitanea trasfigurazione surreale, dall’altra. La dolcezza è crudele, ci disarma l’autrice, senza concessioni alla favola edulcorata. “Si fa finta di…”, si simula giocando a morire, ma poi si muore per davvero. Muoiono bambole, muoiono neonati, piccoli e grandi destini s’intrecciano, non c’è nulla di più concreto della finzione; e non bisogna aver paura dell’ombra perché è ciò che rende più vero e nitido il disegno.
Questa è anche la storia di un’amicizia, rievocata ora con qualche frammento, iniziata con la scelta delle fotografie fatte a Grytzko Mascioni, e poi l’incontro per il Premio Schiller a lei assegnato, continuata con un risotto “letterario” secondo la meticolosa ricetta di Emilio Gadda, le meraviglie incantate delle soffitte, abiti da sera o lampade del tempo che fu, la lunga collaborazione per la raccolta di Talismano, fino alla lettura condivisa di un romanzo, non di recente pubblicazione, La vita davanti a sé di Romain Gary appena terminata nei giorni scorsi, quasi una predestinazione, con le ultime pagine che trattano non casualmente di malattia e morte.
* La scrittrice è morta a Lugano domenica 21 aprile. Per una dettagliata biografia rimandiamo al nostro sito.