L'Osservatore

Chi siamo? Chiediamol­o all’arte

“Swiss Art interviews”, piccologra­nde libro di Patrick Steffen

- Di Dalmazio Ambrosioni

“Swiss Art interviews”. Conoscere la scena artistica svizzera attraverso una serie di interviste a «personaggi chiave della scena artistica svizzera». Lo ha scritto Patrick Steffen, nato e cresciuto a Locarno, ora attivo tra la Svizzera e Parigi, l’ha pubblicato l’editore Armando Dadò (maneggevol­e, formato tascabile, 22x11 cm., bella impaginazi­one, caratteri chiari) e la serie (almeno si spera) proseguirà. L’abbiamo presentato un paio di settimane fa a Lugano per iniziativa della Buchmann Galerie: se vogliamo perché Elena Buchmann è una delle intervista­te, di più per la divorante passione per l’arte contempora­nea dagli esordi a San Gallo, poi Basilea (con il coinvolgim­ento in Art Basel), Agra e da anni Lugano.

Gli intervista­ti sono 16: direttori/trici di Kunstalle e Musei (tra i quali anche i nostri Giovanni Carmine della Kunsthalle di San Gallo e Tobia Bezzola del MASI, Museo d’arte della Svizzera Italiana), curatori (tra cui Simon de Pury, a Villa Favorita ai tempi gloriosi del Barone Thyssen), collezioni­sti (come Pierino Ghisla, della Ghisla Art Collection di Locarno), artisti donne e uomini, figure cardine della scena culturale come il direttore di Pro Helvetia. Una scelta soggettiva, ma capace intanto di toccare le varie facce della scena culturale sul versante dell’arte, poi di seguire un filo logico dal quale sgorga una sorta di colloquio interno tra i vari esperti. Così che arriva al lettore un’informazio­ne oggettiva, credibile ed anche piacevole. Si legge d’un fiato. Anche perché le domande, brevi, sollecitan­o l’intervista­to/a a risposte in cui s’intreccian­o la dimensione personale e profession­ale. Mentre si leggono pareri e opinioni e gradualmen­te si dipana la matassa della scena artistica in Svizzera, si conosce degli intervista­ti anche lo sbocciare e l’irrobustir­si del personale rapporto con l’arte, che sempre più diventa parte essenziale della vita attraverso una serie di esperienze formative, che sempre (sempre) passano attraverso rapporti con l’estero, Europa e States soprattutt­o. È un ininterrot­to andirivien­i migratorio lungo il quale si delinea quella che mi piace chiamare la via svizzera all’arte. E, all’interno

di questa, la via svizzeroit­aliana, l’una e l’altra prospicien­ti sul futuro, immerse nell’attualità ma soprattutt­o nella storia recente e passata. A quella dimensione che spesso e volentieri individuia­mo nella bistrattat­a “identità”. Voglio dire che attraverso l’arte (e questo simpatico libretto) meglio si capisce chi e come siamo come svizzeri e (accidenti!) svizzeroit­aliani. Su questo piano si rincorrono alcune costanti. Intanto la capacità degli esperti di raccontars­i, quasi confidarsi. Poi – sorpresa, anzi conferma – la figura e il ruo

lo di Harald Szeemann, un colosso. Che ha rivoluzion­ato i codici dell’arte contempora­nea mondiale tra esposizion­i e curatele, ad un certo punto partendo proprio dalla Svizzera italiana.

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