L'Osservatore

La prima morte

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È un rettangolo bianco come il latte. Affonda e riemerge dove l’acqua accarezza l’acqua, gli spruzzi colano un lunare sull’isola (viola al tramonto) e la notte, inghiottit­e tutte le luci, ne riaccende una. Rossa.

La luna in apatica attesa si decompone. Lunghe ombre frullano nel fogliame e, strappando gemiti a contorti cespugli, raccontano di creature mostruose nascoste nella pozza viscida di muschi dove, accanto alla scatola di dolci sfondata, galleggia un viso offeso da schizzi di densa crema.

La notte, rincorsa dal giorno, appassisce sotto il letto, trascinand­o con sé la strada, le curve, gli alberi, un temporale muto, il treno vuoto che (forse) va al mare. La portiera sbatte, una mano ciondola dalla carcassa il clacson non tace.

Il turbante di garza si srotola e libera nel rettangolo bianco come il latte occhi di brina che mi fanno paura.

È stanca. Ha la febbre (dicono di me). Del morto (mi dicono), dorme, non guardarlo più, mandagli un bacio.

La donna, impigliata nella ragnatela di crepe con il gatto, gli odori, qualche macchia sul tappeto, briciole, mormorii e lacrime, strangola un fazzoletto e stridendo in un denso torpore, si alza dal divano, getta via lo sguardo, lo perde, si abbassa, lo ritrova.

Mi guarda. Allunga le braccia e io, appesa al suo collo, giro su distanze senza fondo, scivolo nell’aria. I miei piedi, sollevati da terra, intreccian­o i suoi, larghe ombre di vernice nera, che picchietta­ndo sulle piastrelle del corridoio, vanno verso la porta d’entrata che lentamente si riapre… Vestaglia slacciata, la donna corre zigzagando a piedi scalzi e quando il rettangolo bianco come il latte caracolla improvvisa­mente nella penombra dell’appartamen­to, cancelland­o dal sonno alba e tramonto, pensa lo so (del freddo e della morte), si riallaccia la vestaglia, si passa una mano nei capelli, risponde “vengo” al campanello che squilla una due tre volte.

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