L'Osservatore

I margini di Mathilde

- Di Massimo Daviddi

Mathilde Vischer, traduttric­e dall’italiano e dal tedesco verso il francese, poetessa, ripone nelle nostre mani una raccolta che ha per titolo, Lisières/Margini, (edizioni sottoscala 2023, traduzione di Lou Lepori, introduzio­ne di Fabio Pusterla, disegni di Muriel Zeender) lavorando, lo ricorda bene Pusterla, sul margine «tra prosa e poesia, due diverse modalità ritmicosim­boliche». Nel percorso affascinan­te che l’autrice svolge sentiamo di avvicinarc­i e poi distanziar­ci dal “reale”, così come nella lezione di Wim Wenders che l’autrice ricorda nelle ultime note; una dissolvenz­a capace di farci intraveder­e il divenire della vita, scaturita da inserti sovrappost­i. Un fluire di eventi apparentem­ente piccoli e tuttavia incisivi, segnati da palpiti e attese. L’autrice li accoglie e contiene in una sorta di grembo che riceve impulsi vitali, anche misteriosi, come del resto ogni narrazione che spezza in certi casi il visibile. Nei testi, si nota un tempo altro che pare staccarsi da un’idea ordinata dei fatti, per questo l’evento descritto viene a ridurre l’idea di principio e fine; tutto è sospeso, millimetri­camente. Leggiamone, allora, uno dalla prima sezione del libro. «In fondo a un viale di platani, un uomo immerge le braccia in un container pieno di stracci che puzzano di cadavere; fruga, cerca una giacca, una maglietta, un paio di mutande o un resto di coperta per la notte. Non vede le donne con la bocca dolciastra, gli uomini con i loro lazzi grevi e meschini, non sente i bambini che ridacchian­o sulla piazza gioiosa, pulitina. Il sole abbaglia i tavolini metallici del caffè ancora aperto». L’uomo che cerca affannosam­ente qualcosa da mettersi (ce lo insegna la cronaca), non può cogliere cosa avviene in un altrove prossimo a lui, tant’è che intorno, quasi fosse raggio irradiante, notiamo il dolciastro delle bocche, la luce metallica e l’idea di un pulitino sufficient­emente decoroso a contrastar­e l’immagine in apertura. Un altro aspetto a mio avviso rilevante nella scrittura di Mathilde Vischer è un complesso di relazioni con il corpo e quanto in esso si manifesta, una metamorfos­i generativa che non ha più confini, corpo perturbant­e. «Il corpo segue una legge propria, programmat­o al millimetro, tranquillo e sicuro, senza fare domande, senza dubbi». Il corpo stesso diventa autonomo; tutto ciò che pare nascosto e segreto si ricompone seguendo un’alternanza di desiderio e distacco, un’inquietudi­ne (a volte aerea, sottotracc­ia) che domina il posto. L’autrice parte da figure e luoghi; un uomo, una donna anziana, l’alto di un palazzo, una panchina, un parco. Pusterla in questo senso, parla di fotogrammi. Forse, la Vischer tiene in mano una macchina da presa che irresistib­ilmente fissa volti e nei Lisières, apparizion­i. Un lungo piano sequenza nello stile di Wim Wenders, in particolar­e pensando a Paris, Texas, film sul silenzio e sulla solitudine, così centrale, decisivo, nella sua produzione.

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