L'industria garantisce circa il 20% del PIL e un export cantonale di oltre 6 miliardi l'anno
Può capitare di atterrare in una metropoli asiatica e raccogliere la propria valigia sul rullo aeroportuale prodotto dalla Interroll di Sant'Antonino, poi andare in un albergo a cinque stelle, entrare in ascensore e selezionare il proprio piano sul pannello a comando realizzato dalla Schindler di Locarno, arrivare in stanza e trovare sul tavolo un vasetto di mostarda di frutta della Sandro Vanini di Rivera, infine farsi un bagno e asciugarsi i capelli con un phon fabbricato dalla Valera di Ligornetto.
È tutto possibile, sebbene il Ticino non sia né al centro, né alla periferia dell'industria mondiale. La concorrenza estera, il franco forte, la difficoltà di reperire manodopera qualificata, la crescente burocrazia e mille altri motivi rendono difficilela produzione manifatturiera sul nostro piccolo territorio. Eppure, ci sono aziende che riescono a superare tutti questi ostacoli ed esportare i loro prodotti ai quattro angoli del globo.
Complessivamente, le esportazioni ticinesi valgono tra 6 e 7 miliardi all'anno. Se si considerassero anche i metalli preziosi lavorati nelle raffinerie del Mendrisiotto, si arriverebbe all'impressionante cifra di 72 miliardi di franchi (nel 2022). Ma in questo caso non si tratta di produzione industriale vera e propria.
«L'industria garantisce circa il 20% del prodotto interno lordo cantonale - osserva Stefano Modenini, direttore dell'Associazione industrie ticinesi (AITI) -. Ci sono alcune aziende che lavorano molto sul mercato interno, per esempio quelle della metalcostruzione. Ma la maggior parte è votata all'esportazione, ci sono addirittura aziende che vendono solo all'estero».
Un compito non facile, per chi si trova a produrre in uno dei Paesi con gli stipendi più alti al mondo. «L'unica opportunità per la nostra industria è quella di puntare sull'alta gamma - spiega Modenini -. Bisogna saper proporre dei prodotti qualitativamente migliori rispetto alla concorrenza. In questo contesto, riveste una particolare importanza il know-how, il savoir faire».
È anche per questo motivo che le aziende ticinesi di maggiore successo sono quelle più radicate sul territorio. «Almeno i due terzi delle industrie che abbiamo in Ticino sono arrivate negli anni `70 e `80, alcune dall'Italia, altre da nord - illustra Modenini -. Oggi non ci sono più nuove industrie che prendono casa nel nostro Cantone, da una parte perché il territorio è ristretto e non offre più chissà che spazi, ma anche perché le condizioni sono cambiate. Il Ticino non è più attrattivo per chi vuole investire nella produzione».
Certo, qualche piccola novità, di dimensioni ridotte, si può osservare attorno ai poli di ricerca, in particolare all'IRB di Bellinzona. Ma il grosso del settore industriale ticinese è costituito da aziende pluridecennali che hanno saputo crearsi una nicchia.
«È un settore piuttosto stabile - prosegue Modenini - anche per quanto riguarda i posti di lavoro. A volte qualcuno taglia, qualcun altro assume, ma siamo sempre attorno ai 30.000 impieghi. È rimasto stabile anche il numero di frontalieri, che occupano poco più della metà dei posti di lavoro. È cambiata invece il profilo dei lavoratori, perché oggi non esistono praticamente più le catene di montaggio. Anche nell'industria gli operai sono sempre più qualificati e non è sempre evidente trovarli».
«Per avere mercato all'estero, l'unica possibilità è quella di puntare su prodotti di alta gamma»
direttore dell'Associazione industrie ticinesi (AITI)