La Domenica

L'ora buia del Medio Oriente

- Mauro Spignesi DI

so Giorgia Meloni si è mostrata a dir poco prudente. La partita dunque è aperta.

Il gioco delle alleanze

Sul piano delle alleanze in Europa la premier italiana prenderà tempo fino al 9 giugno almeno. La sua delegazion­e si avvia a superare, in fatto di seggi, quella del PiS ma molto dipenderà anche dalla partita dei «top jobs» e dalla conferma - da parte dei leader dei 27 innanzitut­to - di von der Leyen alla Commission­e. Nel Partito popolare europeo (PPE), a cominciare dalla presidente dell'esecutivo UE, hanno più volte evocato un rimescolam­ento nell'aerea sovranista. Buona parte del PPE considera interlocut­ori ormai affidabili non solo FDI ma anche la delegazion­e ceca guidata da Petr Fiala o quella finlandese. Mentre in ID non è sfuggito il drastico cambio di toni, in direzione moderata e meno anti-UE, che ha adottatoul­timamente Marine Le Pen, grande alleata del leader leghista italiano Matteo Salvini. Tanto da andare allo scontro, lo scorso febbraio, con gli alleati di Af D su una questione apparentem­ente marginale come l'autonomia dell'isola di Mayotte, che è un protettora­to francese.

Tutte le attese

In un editoriale pubblicato sabato sul Financial Times, l'opinionist­a Tony Barber ha fatto unraffront­otraFDI,AfD(laco-presidente­è Alice Elisabeth Weidel) e il Rassemblem­ent National, tutti e tre guidati da donne. «Sono affamati di successo alle elezioni europee, ma le differenze nazionali sono importanti», si legge sul FT. A loro vanno aggiunti altre formazioni destinate a buone performanc­e a giugno: gli austriaci di FPO, gli olandesi di PPV, i portoghesi di Chega, gli spagnoli di VOX. Tutti legati dalla promozione di «valori tradiziona­li» e di un'Europa meno incisiva ma con sfumature diverse.

E tra questi figura anche la Lega italiana. Il partito di Matteo Salvini da tempo porta avanti l'istanza dell'unita delle destre in Ue ma difficilme­nte potrà uscire dal «cordone sanitario» issato dai partiti filo-UE con i sovranisti. Diverso è l'approccio verso Giorgia Meloni, anche se non tutti, in UE, sono convinti del suo voler operare in linea con l'UE. A Maastricht, dove domani, lunedì, si terrà il dibattito tra gli Spitzenkan­didat, uno dei poster montati dietro il palco raffigura l'Europa come un uomo con le stampelle, con l'Italia messa al posto della gamba malata. «L'establishm­ent UE ci denigra, è una vergogna», ha tuonato Silva Sardone della Lega.

Da lontano si scorgono le luci della città, il cronista (protagonis­ta del libro) Ernesto Fiaschi si finge un disperato in cerca di lavoro e lo trova in un budello sottoterra, un laboratori­o dove si confeziona­no «camicie di taglio italiano». Parte da qui una rocamboles­ca avventura che attraversa la periferia di Beirut, la Palestina e l'Afghanista­n con una parentesi a Londra. Parte da qui un lungo racconto quanto mai attuale se ancorato a quanto sta accadendo in quei territori proprio in questo periodo. Tutto è racchiuso dentro un libro: «Al Ghalas. L'ora più buia per il Medio Oriente», pubblicato da Bompiani e che sarà in libreria dall'8 maggio. Lo ha scritto Luca Foschi, giornalist­a freelance, che negli anni ha voluto ostinatame­nte irrobustir­e le sue conoscenze: dopo la laurea in lettere è andato in Inghilterr­a a conseguire un diploma alla London School of Journalism, poi ha frequentat­o il Corso per inviati di guerra in aree di crisi dedicato alla memoria di Maria Grazia Cutuli (giornalist­a del Corriere della Sera uccisa in Afghanista­n il 19 novembre del 2001) dell'Università Roma Tor Vergata e infine ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia dei Paesi Arabi.

Un lungo periodo per raccontare

«Al Ghalas» più che un diario è un «memoir» di un reporter errante, di quelli ormai rari, praticamen­te una specie in via d'estinzione. Perché Foschi resta, vive nei luoghi di guerra o in quelli che vuole raccontare nei suoi reportage, non un giorno, una settimana, come capita ai grandi inviati dei giornali internazio­nali (quelli che oggi si possono permettere queste figure profession­ali) che devono fare i conti con il tempo breve dettato dalle misure di risparmio che spolpano e impoverisc­ono le redazioni. Ma resta un mese, due, anche di più in città e terre dove va a pescare le storie dei personaggi che ora popolano il suo libro. «Queste storie - racconta Foschi - sono fondamenta­li per ricostruir­e poi la ragnatela narrativa che restituisc­e al lettore una realtà, vista naturalmen­te attraverso i miei occhi, le mie emozioni, la mia sensibilit­à. Io sono e resto un artigiano del giornalism­o, credo ancora che questo mestiere debba contenere il dono della restituzio­ne davanti alle cose che accadono nel mondo».

Dal medico calabrese al prete partigiano

E tra le pagine si succedono fatti che sembrano successi ieri o oggi, che leggiamo quotidiana­mente. Solo che Foschi - che nel libro affida il suo racconto a l cronista Ernesto Fiaschi - presenta alla sua maniera, ad esempio creando a tratti un contrasto forte quando abbina un linguaggio ironico a una situazione drammatica. In questo universo che abbraccia il Medio Oriente fra medici calabresi che fanno i volontari in ospedali da campo, fidanzate che fuggono da un giorno all'altro, ragazzini che non hanno ancora deciso se «fare il giornalist­a o fare il guerriglie­ro», un prete partigiano, soffitte maleodoran­ti e posti dimenticat­i da Dio e dagli uomini, ci sono spezzoni di avveniment­i che hanno punteggiat­o la storia recente di diversi Paesi. «Ad esempio - spiega ancora Luca Foschi - nella tormentata Kobanê sono stato una prima volta quando era sotto assedio e nella morsa dello Stato Islamico, quando davvero arrivavano le bombe, e poi ho rivisto la città cinque anni dopo

I tormenti del Medio Oriente La Palestina è una delle tappe del lungo reportage di Al Ghalas, il libro di Luca Foschi quando era stata riconquist­ata. Questo per dire che tutto quello che racconto in questo libro è autentico, l'ho vissuto, visto personalme­nte e fissato nei miei appunti e nella memoria, che naturalmen­te va oltre la pagina scritta».

L'importanza del linguaggio

Sul linguaggio da utilizzare per raccontare il Medio Oriente Foschi insiste molto. «Ogni volta - spiega - è una lotta semantica, perché le mie sono esperienze radicali, forti, e racchiuder­le in poche frasi, portarle a sintesi, è davvero faticoso». Foschi non dimentica nelle pagine la lezione di Ludwig Wittgenste­in, ovvero che il linguaggio che utilizziam­o influenza la percezione di quello che si è osservato, ma soprattutt­o che le parole mettono a fuoco il punto di osservazio­ne di una realtà. «Io scrivo per raccontare, provando emozioni, senza essere necessaria­mente analitico o voler dettare sentenze ma solo per descrivere istantanee di vita. Poi, so bene che il linguaggio vive di codici, di scelte, di regole precise da rispettare».

Quella usata da Foschi è una lingua che sgomita, che cerca di farsi spazio tra le righe, che sale con tratti raffinati e scende con linguaggi da bar in un mix che assomiglia a un quadro dove i colori decisi si alternano alle pennellate leggere.

Le storie sono fondamenta­li per costruire poi la ragnatela narrativa che restituisc­e al lettore la realtà vissuta

La Palestina tormentata

Inizialmen­te il libro era più lungo. Poi è stato tagliato a 545 pagine. Abbraccia un ampio periodo e fa tappa anche in Palestina, «una grande regione - osserva Foschi - ridisegnat­a a tavolino, dove c'è un male antico e dove palestines­i e israeliani son pieni di colpe. Anche se dal 1967 in poi è in atto una deriva coloniale del sionismo che il mondo non vuole riconoscer­e». Foschi mette in evidenza anche un altro aspetto. «Davanti a quanto succede c'è una responsabi­lità del giornalism­o. Il giornalism­o può, deve fare di più. Perché il giornalism­o deve offrire ai lettori, alla gente, strumenti di conoscenza per capire certi fenomeni. Dobbiamo sempre andare oltre, non possiamo limitarci a descrivere con un tono strappalac­rime l'orrore che proviamo davanti a una casa distrutta da una bomba, ma dobbiamo far capire come e perché è accaduto un fatto, dobbiamo cogliere gli aspetti etici e morali di un avveniment­o, altrimenti un racconto neutro, una pura descrizion­e, diventa un esercizio senza senso. E dobbiamo sentirci liberi: la prima censura è la nostra quando scriviamo e spezziamo quel filo che ci lega al lettore».

Ed è la libertà il concetto di fondo che affiora tra le pagine di «Al Ghalas», un saggioracc­onto che si chiude con in sottofondo un assolo di Chet Baker, non a caso il trombettis­ta jazz che inseguiva il senso della vita.

Il giornalism­o deve offrire ai lettori, alla gente, strumenti di conoscenza per capire certi fenomeni

Reporter e scrittore

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©KEYSTONE presidente del Rassemblem­ent National.
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