Le notti insonni di Thomas Aeschi fanno respirare il Parlamento
Dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione sovietica, i rimasugli del sogno comunista si sono definitivamente infranti domenica scorsa a Le Locle. Con il rinnovo dei poteri comunali, anche l'ultimo bastione marxista è finito in mano ai capitalisti, a quei tre municipali PLR che sono riusciti a porre fine a un secolo di egemonia della sinistra, in particolare di quel Partito operaio e popolare (POP) che nel resto della Svizzera è praticamente inesistente ma sulle Montagnes neuchâteloises riusciva a superare il 40% dei voti e governare con la maggioranza assoluta. Ora è tutto finito. Il quasi contemporaneo addio alla politica dei due compagni più popolari di Le Locle il già consigliere nazionale Denis de la Reussille e il suo delfino Cédric Dupraz ha sancito il crollo di un partito che era riuscito a cavalcare elettoralmente problematiche simili a quelle ticinesi, ma in maniera opposta. Se la Lega ha ritenuto che la precarizzazione del mondo del lavoro fosse causata dalla libera circolazione e dai frontalieri, a Le Locle il POP ha puntato il dito contro i capitalisti, colpevoli di voler fare profitto. Il risultato è che oggi entrambi i territori sono in declino. Le Locle è convinta di essere un capoluogo della cultura ma la sua attrattiva è ai minimi storici, i giovani fuggono, l'imposizione fiscale è asfissiante e il tasso di aiuto sociale esplode.
L'assenza socialista
Domenica scorsa la sinistra è uscita sconfitta dalle urne anche nel canton Uri, dove l'unico consigliere di Stato socialista, Dimitri Moretti, è stato rimandato a casa. Clamoroso, si è detto. Ma nemmeno poi tanto, se si pensa che nel vicino canton Svitto la sinistra è stata estromessa dal governo già nel 2012 e non è più riuscita a rientrarvi, che a Zugo l'esecutivo è interamente borghese e che a Obvaldo non c'è mai stato un consigliere di Stato socialista o verde. La
Svizzera centrale non è terreno fertile per la sinistra.
Lo è invece la città di Friburgo, ai tempi roccaforte del cattolicesimo, oggi laboratorio del progressismo. Dopo essere stata la prima città a introdurre il congedo mestruale, in gennaio, ora Friburgo ha fatto un altro salto solitario in avanti (o nel vuoto?) approvando un congedo paternità di 40 giorni, che non si chiama congedo paternità bensì «congedo dell'altro genitore» per non offendere le coppie che del padre usano solo il seme. «Non ci fermiamo qui, andremo avanti», ha esultato la verde Monica Mendez, apparentemente ignorando i nuovi fossati creati da queste misure che si vogliono progressiste. Perché a usufruire del maxi-congedo saranno solo i dipendenti della città, ciò che finirà per acuire le disparità tra una categoria di iperprivilegiati e i comuni mortali che devono accontentarsi dei 10 giorni concessi dal popolo svizzero nel 2020.
Essere genitori
Il congedo paternità, in ogni caso, non sta rilanciando la natalità, crollata l'anno scorso ai minimi storici. Era illusorio pensare che 2, 3 o anche 8 settimane di ferie pagate potessero invertire la tendenza. Essere genitori è un compito gravoso, come sta realizzando Thomas Aeschi, finora conosciuto per la sua iperattività. In febbraio il capogruppo UDC è diventato padre della piccola Julia e da allora pare che il ritmo dei suoi interventi a Berna sia parecchio diminuito e con esso la durata delle sedute commissionali. Se Aeschi continuerà a passare notti insonni cambiando pannolini - ipotizza la NZZ - forse non sarà nemmeno più necessario organizzare sessioni straordinarie. È proprio vero che la paternità può cambiare la vita, anche quella del Parlamento.
Thomas Aeschi.