Dove va il mondo? Intervista a Federico Rampini
Intervista a Federico Rampini
Storia e geografia permettono di comprendere i cambiamenti sociali sempre più veloci a cui stiamo assistendo. Sono questi i temi affrontati in Le linee rosse, l’ultimo saggio del noto giornalista italiano.
Viaggiamo sempre di più, ma capiamo sempre meno il mondo che ci circonda. Tutto corre a una velocità supersonica rispetto al recente passato e spesso siamo disorientati, senza molti punti di riferimento. Ma un po’ di ordine nelle vicende geopolitiche che stiamo vivendo è necessario. È ciò che ha cercato di fare in Le linee rosse (Mondadori, 2017) Federico Rampini, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Repubblica e autore di molti saggi dedicati alla globalizzazione. Questo suo ultimo lavoro è una summa delle tante esperienze di viaggio e delle sue passioni: un racconto politico, storico, ma soprattutto geografico, come testimoniano le carte e mappe che punteggiano il testo – dai cambiamenti climatici all’innovazione tecnologica – e che evidenziano i punti di forza e le debolezze delle grandi potenzemondiali (Stati Uniti, Cina, India e Russia), oltre alla direzione verso cui procede il nostro sistema economico.
Signor Rampini, con l’affievolirsi dell’egemonia statunitense, economica e culturale, da più parti evidenziata, siamo agli albori di una nuova era?
Il tema della fine del secolo americano e dell’inizio di quello cinese attraversa tutta la prima parte delmio libro; a mio parere non è così semplice dire se le cose stanno realmente come molti sembrano suggerire, anche se la presidenza di Donald Trump rappresenta certamente un momento difficile per la leadership americana. All’interno degli Stati Uniti i problemi nonmancano ed esistono praticamente due Americhe oramai: una concentrata sulle fasce costiere, più progressista e aperta, che alle ultime presidenziali ha votato per Hillary Clinton. Poi c’è il Paese di mezzo che ha votato Trump. Bisogna però tenere presente che l’America conserva al suo interno forze che le danno una marciainpiù. Peresempio, gliStatiUniti sono diventati la più grande potenza energetica del mondo, sono totalmente autosufficienti da questo punto di vista e questo è un vantaggio immenso sul lungo periodo. Poi hanno il dominio dell’innovazione tecnologica. E inoltre basta guardare la carta della dislocazione delle basi militari americane nel mondo per vedere come gli Stati Uniti conservino una supremazia strategica per ora inscalfibile. E lo sarà per lungo tempo, amio parere.
L’economia cinese corre però a velocità supersonica. Si parla molto di un sorpasso rispetto a quella americana…
Esiste una leggenda secondo cui l’economia americana è un colosso coi piedi d’argilla, perché deve sostenere un debito pubblico gigantesco; e la Cina può ricattarla perché acquista gran parte dei titoli pubblici emessi dal Tesoro Usa. Il debito pubblico americano rappresenta però solo il 74% del Pil statunitense ed è molto più basso della media dell’Unione europea (87%). Epoi la Cina non è il maggiore acquirente dei titoli del Tesoro Usa. Questo ruolo spetta alla Federal Reserve, cioè alla banca centrale statunitense. Quindi l’America prima di tutto finanzia se stessa. Inoltre la Cina non è neppure il massimo investitore estero in titoli del debito americano. Oggi questo ruolo spetta al Giappone. Insomma, pensare che la Cina possa strangolare economicamente oppure ricattare gli Usa, secondome, è assurdo. Se anche ci provasse, una delle prime conseguenze sarebbe una svalutazione del dollaro che renderebbe più care le merci made inChina, unaprospettivaassolutamente negativa per l’esportazione cinese. Inoltre l’economia cinese galoppa, ma la ricchezza cinese va ripartita tra una popolazione quattro volte maggiore di quella americana. Quindi gli Stati Uniti, anche economicamente, sono ancora il centro dell’impero e prima di darli per finiti aspetterei. Piuttosto è un’altra la tendenze che emerge...
A cosa fa riferimento?
Alla volontà dell’America di non governare più il mondo e di affermarlo apertamente, proprio mentre la Cina ha un vero e proprio progetto imperiale concretamente rappresentato dalla Nuova Via della Seta, un formidabile disegno commerciale e infrastrutturale di collegamento tra l’Estremo Oriente e il mondo mediterraneo. Nota anche con il nome Belt andRoad Initiative (Iniziativa strada-cintura), si propone come l’architrave della globalizzazione 2.0: il titanico progetto di infrastrutture che Pechino «offre» al resto del mondo – pagando buona parte dei costi, stimati oltre i mille miliardi di dollari – non è solo la costruzione di una vasta rete di connessioni per consolidare rapporti
economici; è anche l’idea di un modello alternativo a quello americano. E poi i cinesi hanno inXi Jinping un presidente di tipo nuovo, autoritario, con un terribile complesso di superiorità rispetto all’Occidente e la convinzione che la Cina dominerà nel futuro.
Crede che l’Europa sia destinata a fare da comprimaria?
In effetti l’Europa pare oggi smarrita, ma nel mio libro provo a staccarmi dall’analisi di superficie, legata alla contingenza del momento, e mi soffermo sulla Germania che, piaccia o non piaccia, è il paese leader nel nostro continente. È stupefacente, guardando le mappe, vedere come i confini della Germania sianomutati continuamente negli ultimi due secoli. Nell’Ottocento la Germania era un insieme di staterelli e una volta riunita è diventata in poco tempo una grande potenza. E ancora prima era il centro del Sacro Romano Impero Germanico, che è durato dal
Medioevo fino al 19esimo secolo. Sempre guardando le carte, è interessante vedere come quell’impero quasi coincidesse con l’Europa a sei membri fondata nel 1957. In questo momento di forze centrifughemi viene da dire, guardando alla storia e alla geografia, che quello che è destinato a salvarsi è quell’originaria Europa a sei che coincide con l’impero medievale. Un impero che, come l’Europa di oggi, aveva un centro debole ed era un’Europa di regioni.
Un impero che idealmente finì con l’arrivo di un uomo forte, Napoleone. Corriamo anche oggi questo rischio?
È un tema importante e un rischio che ci ritroviamo a correre. Se guardiamo alla geografia delle democrazie, ci accorgiamo che il numero dei paesi democratici si è allargato nella seconda metà del Novecento per poi restringersi. Oggi stanno tornando ad aumentare i regimi autoritari e le democrazie illiberali. Èuntemasicuramentecaldo. La
terrapromessadella libertàedelloStato di diritto, che sembrava un traguardo universale dopo la caduta delMuro di Berlino, ha perso attrattiva; avanzano sotto ogni latitudine gli uomini forti; nella nuova geopoliticamondiale, i confini della tolleranza si restringono anche dovemeno ce lo aspettiamo.
Ottimista o pessimista per come sta andando il mondo?
Ottimismo e pessimismo sono categorie dell’animo un po’ semplificatorie. Posso dirle che arrivato alla fine della preparazionedelmiolibromi sonosentitopiùsereno. Immergersinellostudio della geografia e incrociarlo con lo studio della storia di lungo periodo toglie l’angoscia per il caos del presente. Permettedi astrarredallaquotidianitàper recuperare una visione più complessa, più ampia dei fenomeni e dei problemi. Fa recuperare quell’equilibrio che si perde se si insegue con frenesia l’ultimo lancio di agenzia.