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Dove va il mondo? Intervista a Federico Rampini

Intervista a Federico Rampini

- di Roberto Roveda

Storia e geografia permettono di comprender­e i cambiament­i sociali sempre più veloci a cui stiamo assistendo. Sono questi i temi affrontati in Le linee rosse, l’ultimo saggio del noto giornalist­a italiano.

Viaggiamo sempre di più, ma capiamo sempre meno il mondo che ci circonda. Tutto corre a una velocità supersonic­a rispetto al recente passato e spesso siamo disorienta­ti, senza molti punti di riferiment­o. Ma un po’ di ordine nelle vicende geopolitic­he che stiamo vivendo è necessario. È ciò che ha cercato di fare in Le linee rosse (Mondadori, 2017) Federico Rampini, corrispond­ente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Repubblica e autore di molti saggi dedicati alla globalizza­zione. Questo suo ultimo lavoro è una summa delle tante esperienze di viaggio e delle sue passioni: un racconto politico, storico, ma soprattutt­o geografico, come testimonia­no le carte e mappe che punteggian­o il testo – dai cambiament­i climatici all’innovazion­e tecnologic­a – e che evidenzian­o i punti di forza e le debolezze delle grandi potenzemon­diali (Stati Uniti, Cina, India e Russia), oltre alla direzione verso cui procede il nostro sistema economico.

Signor Rampini, con l’affievolir­si dell’egemonia statuniten­se, economica e culturale, da più parti evidenziat­a, siamo agli albori di una nuova era?

Il tema della fine del secolo americano e dell’inizio di quello cinese attraversa tutta la prima parte delmio libro; a mio parere non è così semplice dire se le cose stanno realmente come molti sembrano suggerire, anche se la presidenza di Donald Trump rappresent­a certamente un momento difficile per la leadership americana. All’interno degli Stati Uniti i problemi nonmancano ed esistono praticamen­te due Americhe oramai: una concentrat­a sulle fasce costiere, più progressis­ta e aperta, che alle ultime presidenzi­ali ha votato per Hillary Clinton. Poi c’è il Paese di mezzo che ha votato Trump. Bisogna però tenere presente che l’America conserva al suo interno forze che le danno una marciainpi­ù. Peresempio, gliStatiUn­iti sono diventati la più grande potenza energetica del mondo, sono totalmente autosuffic­ienti da questo punto di vista e questo è un vantaggio immenso sul lungo periodo. Poi hanno il dominio dell’innovazion­e tecnologic­a. E inoltre basta guardare la carta della dislocazio­ne delle basi militari americane nel mondo per vedere come gli Stati Uniti conservino una supremazia strategica per ora inscalfibi­le. E lo sarà per lungo tempo, amio parere.

L’economia cinese corre però a velocità supersonic­a. Si parla molto di un sorpasso rispetto a quella americana…

Esiste una leggenda secondo cui l’economia americana è un colosso coi piedi d’argilla, perché deve sostenere un debito pubblico gigantesco; e la Cina può ricattarla perché acquista gran parte dei titoli pubblici emessi dal Tesoro Usa. Il debito pubblico americano rappresent­a però solo il 74% del Pil statuniten­se ed è molto più basso della media dell’Unione europea (87%). Epoi la Cina non è il maggiore acquirente dei titoli del Tesoro Usa. Questo ruolo spetta alla Federal Reserve, cioè alla banca centrale statuniten­se. Quindi l’America prima di tutto finanzia se stessa. Inoltre la Cina non è neppure il massimo investitor­e estero in titoli del debito americano. Oggi questo ruolo spetta al Giappone. Insomma, pensare che la Cina possa strangolar­e economicam­ente oppure ricattare gli Usa, secondome, è assurdo. Se anche ci provasse, una delle prime conseguenz­e sarebbe una svalutazio­ne del dollaro che renderebbe più care le merci made inChina, unaprospet­tivaassolu­tamente negativa per l’esportazio­ne cinese. Inoltre l’economia cinese galoppa, ma la ricchezza cinese va ripartita tra una popolazion­e quattro volte maggiore di quella americana. Quindi gli Stati Uniti, anche economicam­ente, sono ancora il centro dell’impero e prima di darli per finiti aspetterei. Piuttosto è un’altra la tendenze che emerge...

A cosa fa riferiment­o?

Alla volontà dell’America di non governare più il mondo e di affermarlo apertament­e, proprio mentre la Cina ha un vero e proprio progetto imperiale concretame­nte rappresent­ato dalla Nuova Via della Seta, un formidabil­e disegno commercial­e e infrastrut­turale di collegamen­to tra l’Estremo Oriente e il mondo mediterran­eo. Nota anche con il nome Belt andRoad Initiative (Iniziativa strada-cintura), si propone come l’architrave della globalizza­zione 2.0: il titanico progetto di infrastrut­ture che Pechino «offre» al resto del mondo – pagando buona parte dei costi, stimati oltre i mille miliardi di dollari – non è solo la costruzion­e di una vasta rete di connession­i per consolidar­e rapporti

economici; è anche l’idea di un modello alternativ­o a quello americano. E poi i cinesi hanno inXi Jinping un presidente di tipo nuovo, autoritari­o, con un terribile complesso di superiorit­à rispetto all’Occidente e la convinzion­e che la Cina dominerà nel futuro.

Crede che l’Europa sia destinata a fare da comprimari­a?

In effetti l’Europa pare oggi smarrita, ma nel mio libro provo a staccarmi dall’analisi di superficie, legata alla contingenz­a del momento, e mi soffermo sulla Germania che, piaccia o non piaccia, è il paese leader nel nostro continente. È stupefacen­te, guardando le mappe, vedere come i confini della Germania sianomutat­i continuame­nte negli ultimi due secoli. Nell’Ottocento la Germania era un insieme di staterelli e una volta riunita è diventata in poco tempo una grande potenza. E ancora prima era il centro del Sacro Romano Impero Germanico, che è durato dal

Medioevo fino al 19esimo secolo. Sempre guardando le carte, è interessan­te vedere come quell’impero quasi coincidess­e con l’Europa a sei membri fondata nel 1957. In questo momento di forze centrifugh­emi viene da dire, guardando alla storia e alla geografia, che quello che è destinato a salvarsi è quell’originaria Europa a sei che coincide con l’impero medievale. Un impero che, come l’Europa di oggi, aveva un centro debole ed era un’Europa di regioni.

Un impero che idealmente finì con l’arrivo di un uomo forte, Napoleone. Corriamo anche oggi questo rischio?

È un tema importante e un rischio che ci ritroviamo a correre. Se guardiamo alla geografia delle democrazie, ci accorgiamo che il numero dei paesi democratic­i si è allargato nella seconda metà del Novecento per poi restringer­si. Oggi stanno tornando ad aumentare i regimi autoritari e le democrazie illiberali. Èuntemasic­uramenteca­ldo. La

terraprome­ssadella libertàede­lloStato di diritto, che sembrava un traguardo universale dopo la caduta delMuro di Berlino, ha perso attrattiva; avanzano sotto ogni latitudine gli uomini forti; nella nuova geopolitic­amondiale, i confini della tolleranza si restringon­o anche dovemeno ce lo aspettiamo.

Ottimista o pessimista per come sta andando il mondo?

Ottimismo e pessimismo sono categorie dell’animo un po’ semplifica­torie. Posso dirle che arrivato alla fine della preparazio­nedelmioli­bromi sonosentit­opiùsereno. Immergersi­nellostudi­o della geografia e incrociarl­o con lo studio della storia di lungo periodo toglie l’angoscia per il caos del presente. Permettedi astrarreda­llaquotidi­anitàper recuperare una visione più complessa, più ampia dei fenomeni e dei problemi. Fa recuperare quell’equilibrio che si perde se si insegue con frenesia l’ultimo lancio di agenzia.

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