Il senso della vita e la leggerezza di un palloncino
«E quando i palloncini scoppieranno?». Stavo cercando di venire a capo della festa di compleanno organizzata insiemeaquelladi unamichetto, quando «l’infinita vanità del tutto» si è concretizzata nella fine inevitabile di ogni palloncino come un problema insormontabile. Cerchi di abbozzare, come le madri che dicono che non bisogna avere paura del buio e facendolo ti senti subito disonesta: i palloncini scoppiano, le persone muoiono. Lo abbiamo sempre saputomada quando èmorta la zia qualchemese fa lo hanno capito anche lebambine. E cinqueanninonsono pochi per sapere che tuttimoriremo. È normale, i bambini pensano spesso alla morte, e spesso con quella naturalezza che ci raggela. «Perché mi guardi?»; «Per ricordarti meglio quando sarai morta, mamma!». Fai le corna, tocchi ferro, scoppi a ridere e ti versi un bicchiere di vino sempre sapendo che hanno ragione. Questo fatto dei palloncini è increscioso e imbarazzante, lei non vorrebbe comprarli per evitare che scoppino. Tu cerchi una soluzione che non censuri la bellezza per paura della fine. «Chiediamo a Filippo», proponi sperando che la presenza di un secondo festeggiato renda meno incombenti certe questioni. Neanche per sogno. Filippo è un maschio, ha già preparato il disegno per invitare i compagni. «E poi cosa faranno i compagni con il mio disegno? Lo butteranno?». Spieghi che faremo delle fotocopie, che il disegno originale lo conserveremo. «Noi, lo sai, non abbiamo mai conservato gli inviti delle feste degli altri». Neanche una fotocopia può andare perduta. Mi domando se il Giovane Werther abbia mai festeggiato un compleanno. Qualche giorno fa cercavo qualcosa in camera sua e nel comodino ho trovato carte di vecchi ovetti Kinder, scontrini, etichette dei calzini nuovi. C’è un angolo in cui conserva tutto ciò che non vuole buttare. Cioè tutto. Ci metteremo i palloncini scoppiati, ho pensato. Forse una famiglia è un luogo in cui fai spazio alle macerie e continui a comprare palloncini.