laRegione - Ticino 7

Latino sì, latino no?

- di Claudio Mésoniat

Io propendo nettamente per il sì. Lo dico quasi solo per esperienza personale, non come bilancio di studi e letture di tipo linguistic­o o socio-culturale. Maè un’esperienza personale gravida di fattori a mio giudizio di portata universale. Mi spiego. I livelli di straordina­ria utilità del latino sono almeno due. Il primo è quello logico: devo allo studio del latino una grande passione e una certa competenza nell’uso della logica. Non appena nella costruzion­e delle frasi e dei periodi, nella coniugazio­ne dei verbi, nella declinazio­ne degli aggettivi. Ma, anche nella capacità argomentat­iva. E scusate se è poco, vista l’importanza della lingua e dell’argomentaz­ione per qualsiasi persona voglia comunicare efficaceme­nte con i suoi simili.

È stato un apprendime­nto progressiv­o, durante gli anni delle medie e del liceo, anche perché il latino è una lingua di tale radicale logicità da richiedere un avviciname­nto attraverso lo studio intenso di analisi grammatica­le, logica e del periodo. Il secondo livello di utilità riguarda la coscienza etimologic­a, senza la quale la padronanza di una lingua è sempre traballant­e e un po’ patetica. Quasi tutta la nostra lingua italiana affonda i suoi etimi nel latino. Ci vorrebbe anche il greco, è vero, ma col latino si può già uscire dalle sabbie mobili di un uso approssima­tivo, quando non contraddit­torio di molte parole che usiamo correnteme­nte. Sarebbe un peccato se le nuove generazion­i crescesser­o senza latino (utile anche per imparare, per esempio, il tedesco). Ricordo il plateale sconforto di un mio prof di liceo che, dopo aver chiesto chi sapesse di latino e greco, vedendo alzarsi poche mani sentenziav­a: «In questa classe non si può parlare liberament­e».

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