Libere associazioni
Per intere generazioni di ragazzini, ma non solo, Bar Sport di Stefano Benni (Feltrinelli) ha costituito un rito d’iniziazione alla letteratura umoristica. Una vera epica dei bar, scritta dal punto d’osservazione della Bologna degli anni Settanta, ma valida anche oggi alle nostre latitudini. Chi, d’altronde, non ha mai conosciuto un nonno da bar, col toscano eterno e la cravatta «dura come l’acciaio per le macchie di sugo»? Oppure il playboy cacciaballe, quello che «Ragazzi, adesso vi racconto cosa mi è successo ieri sera al Flamengo»?
E chi non ha scorto, dietro la vetrinetta polverosa di una bettola, la mitica Luisona, la «decana delle paste», talmente vecchia che gli habitués la chiamano per nome? Perfino i lettori di Bar Sport diventano presto una tribù benniana: li si riconosce perché citano «Pozzi e Girardoux», «Bovinelli-tuttofare» e «il cinno» non appena ne riconoscono l’archetipo, spesso riscuotendo sguardi perplessi e impietositi dai non iniziati.
Ma i bar si possono anche raccontare con le immagini. E l’esercizio riesce splendidamente se la fauna è quella dei Branntweiner, le osteriacce delle periferie viennesi raccontate in Golden Days
Before They End (foto di Klaus Pichler e testi di Clemens Marschall, ed. Patrick Frey). Il titolo fa riferimento al fatto che stanno tutte per chiudere, e anche la gente che ci s’incontra è piuttosto male in arnese. Un universo parallelo che col tempo è diventato anche una comunità di mutuo soccorso. Un pulviscolo di microcosmi, per dirla con Claudio Magris, ritratti in immagini e testi talmente reali da apparire surreali: «Una volta il vecchio gerente ha inseguito un tizio e gli ha frantumato le rotule con un martello», racconta una vecchia cameriera.
«Poi però permetteva alla gente di dormire qua, in caso di bisogno».