Igor Nastic
Sportivo e insegnante tra resistenza e speranza
Cos’è la resistenza? Quella fisica, psicologica, sociale? È la seconda domanda che ti poni seguendo IgorNastic, mentre corre lungo le scogliere svedesi e poi nuota nelle acque gelidedel Baltico, e poi torna a correre, e poi si rituffa, per 52 volte, coprendo 65 chilometri a piedi e 10 a nuoto in oltre 9 ore ( laprima domanda era: «Ma è pazzo?»).
La corsa si chiama Ötillö, è contrassegnatadallafratellanza– nelloswimrun si compete in coppia, e una volta finita tutti abbracciano tutti – e fa pensare che la resistenza sia la conquista quotidiana di un equilibrio: un’ostinata equidistanza dal risentimento e dalla rassegnazione. Nastic lo prende così, lo sport: «Unpellegrinaggio estremo, una lotta contro i tuoi fantasmi, le tue paure. Può degenerare in puro agonismo, nella schiavitù della competizione, ma al suo meglio è un modo di indagare a fondo sudi sé; unmomento rubato alla frenesia del quotidiano. Avoltemi pare di volare via come un supereroe dei fumetti, anche se solo per poco».
Un anarchico disciplinato
Parla davvero così, Nastic: ogni parola è meditata, sembra forgiata anche quella durante le ore che passa inmezzo alla natura. Come quando spiega che «l’avversario non è una preda, è un interlocutore che ti permette di migliorare. Lo sport è un gioco sottile di relazioni sociali».
Ma è anche un rapporto diretto con la natura, «con la sua ricchezza e la sua ostilità », ricercato attraverso un allenamento «disciplinato, ma anche anarchico, basato più sulle sensazioni che su un programma troppo rigido». Qualcosa da perseguire «con dedizione – mentre ti parlo mi chiedo se poi pedalare, nuotare, andare in palestra o fare una corsa alMonte Verità – e con
la giusta autoironia». Anche per non cadere nell’autoesaltazione «e diventare un caso psichiatrico».
C’è una forma di Fight Club interiore che sembra aver luogo mentre Nastic pensa e vive: una lotta inevitabilmente irrisolta, ma affrontata in buon equilibrio. Dovuta anche al peso di «una società che mi pare sempre più ostile, sempre meno attenta ai gesti di solidarietà, di ascolto, di apertura. Mi ci metto per primo, perché sono questioni importanti che richiedonoun lavoro costante su sé stessi».
Dai sentieri alle aule
Assist perfetto per parlare del suomestiere, che poi è anche quello una passione: insegnante di Cultura generale alle scuole professionali. La domanda è banale: cosa lega lo sport e l’insegnamento? La risposta lo è molto meno: «Si tratta di due mondi vicini, anche se spesso separati. Forse il mondo ellenico e quello americano – con tutti i loro limiti – hanno intuito soluzioni per farli incontrare. Mens sana in corpore sano, hai presente?».
Da qui la sua visione dell’insegnamento, trasversale, diffusa e globale: «Un dialogo che vada a includere, oltre alle scuole, musei, biblioteche, archivi, gallerie, teatri, botteghe e… impianti sportivi. E quel grande laboratorio scientifico così bistrattato che si chiama natura».
Ci si riversa dentro quella stessa relazione con lo sport come romanzo di formazione, quell’insofferenza per le caselline, per una concezione dello sforzo e della crescita personale che si riduca a mera performance. A criteri quantitativi e misurabili. Anzi, «va accettata anche la sconfitta: è un momento importante. Un’occasione per fermarsi e rendersi conto che tutti prima o poi siamo “perdenti”. Per questa ragione il rispetto, nello sport come nella vita, è un valore fondamentale. La sconfitta è indispensabile se vissuta come occasione di crescita».
Fessure di luce
Perché, per tornare all’essenza dell’atto educativo, «la cosa più importante è suscitare la curiosità di uno studente. È una dinamica sottile, che richiede tempo e in alcuni casi si manifesta conunosguardoounsorriso. Formedi consapevolezza che non puoi misurare, che non trovano inchiostro sul registro di classe». Sono «piccole fessure», come le chiama lui (viene in mente Leonard Cohen, quando cantava che «c’è una crepa in ogni cosa / è così che entra la luce»).
E anche se non è facile, anche se le vicissitudini della vita ti portano «dalla pace delle ninfee diMonet ai tagli netti di Fontana o alle violente combustioni di Burri», lui non si ferma. Ascolta, riflette, si «sbatte», ma non molla. Dev’essere questa, la resistenza.