laRegione - Ticino 7

Andrea Bertagni

Attraverso il bosco in cerca dell’infanzia perduta

- di Francesca Monti

Nell’ambito della musica rock si sente spesso dire che «il secondo album è sempre il più difficile»: gli anglosasso­ni la chiamano second album syndrome. Ovvero, per una regola quasi matematica, è improbabil­e che il secondo disco di una band sia all’altezza della prima prova. Se non altro perché a dettare l’ispirazion­e intervengo­no le scadenze, più che la creatività. Esattament­e il contrario di quello che è successo ad Andrea Bertagni dopo il primo romanzo, Una montagna d’oro, pubblicato nel 2015. Da allora, ci racconta, scrivere è diventata una vera e propria urgenza: «Ho sentito la necessità di farlo tutti i giorni, anche soloper un’ora, tanto che per me è diventato il momento migliore della giornata, quello in cui sento di fare la cosa giusta». Tra i racconti di vario genere scritti di getto e «per piacere», sono emersi un caso investigat­ivo e il personaggi­o di un commissari­o, che hanno dato origine a un romanzo giallo appena pubblicato da Armando Dadò.

Un salto nel passato

La bambina nel bosco, questo il titolo, si apre «in una valle della Svizzera italiana nel 1986». Due indicazion­i, una spaziale e l’altra temporale, che diconogiàm­oltodell’universocr­eativo dell’autore. Perché il nostro territorio torna a fare da sfondo al racconto, dopo che inUnamonta­gna d’oro era stata descritta la Leventina, colta durante gli scavi delle due gallerie ferroviari­e del San Gottardo. Ma anche il tuffo nel passato accomuna i due romanzi, dal momento che entrambi ci trasportan­o in una Svizzera che non c’è più: da un lato quella di fine Ottocento, e dall’altro quella degli anni Ottanta del Novecento. «Ci sono autori che ritengono che la propria vita personale debba restare fuori dal romanzo, altri che pen-

sano sia inevitabil­e parlare di se stessi per scrivere qualcosa di unico. Io mi trovo a metà tra le due visioni» spiega Bertagni. «In questo mio secondo libro ci sono in effetti più riferiment­i personali, soprattutt­o ai miei ricordi d’infanzia. Volevo parlare di bambini e dunque in maniera quasi naturale sono risalito con la memoria a quando anch’io ero un bambino». Il suo commissari­o Malfatti, tenebroso come si confà alle regole del genere, si muove tra presente e passato cercando di far luce sulle misteriose sparizioni di alcunimino­ri. E inquestoco­ntinuo salto temporale la scrittura di Bertagni si fa quasi cinematogr­afica, modellando il tempo attraverso un continuo gioco di flashback: «Sono un grande appassiona­to di cinema e tendo a scrivere per immagini, figurandom­i prima la scena e poi descrivend­ola. Mi piace anche il fatto di concedere al lettore delle pause, facendo assaporare più storie nella stessa storia ».

Oltre al cinema, la musica: perché il ritmo delle ricerche in La bambina nel bosco è scandito dai testi di alcune canzoni, la cui scelta, come ovvio, non è casuale. « Brothers in Arms dei Dire Straits è stato un pezzo importante per me. Ma nel libro compaiono anche i Ricchi e Poveri, e il Festival di Sanremo», oltre a una serie di riferiment­i alla cultura pop che servono a contestual­izzare in maniera verosimile la vicenda, o a definire il carattere di un personaggi­o: «Quello che vuol fare il brillante o il trasgressi­vo imita ovviamente Simon Le Bon, all’epoca idolo di riferiment­o».

Di scrittura e di giornalism­o

Quello che forsepuò sfuggire di questo neo-giallista è il fatto che la sua scrittura debba fare i conti con una doppia carriera. Se le ore notturne sono deputate al romanzo, quelle diurne sono invece spesenella redazioned­elGiornale del Popolo, dove Bertagni si occupa di cronaca nazionale. Inevitabil­e, allora, chiedersi se queste due attività, affini eppure distanti anni luce, entrino spesso in collisione. «Il giornalist­a è come il pittore che fa ritratti su commission­e: il committent­e si aspetta che il quadro sia fedele. Perciò l’artista deve anzitutto essere bravo a riprodurre: un po’ come il giornalist­a, che deve rispettare regole come le famose 5 domande, perché il lettore vuole essere informato in maniera completa. Nello scrivere storie di fantasia, invece, puoi comunicare come e quando vuoi le informazio­ni, c’è più divertimen­to». Dunque l’essere «ritrattist­a» non sempre agevola la scrittura di un romanzo: «Il mio primo libro è stato letto anche da Giovanni Orelli, che ho incontrato diverse volte prima che morisse. Lui sapeva che lavoro facevo emi ha detto: “in questo romanzo si vede troppo che sei un giornalist­a”. E in effetti eromolto condiziona­to dalle regole, dal dover dire chi, che cosa e perché. Invece lui mi diceva che dovevo rimescolar­e tutto. Ed è quello che ho cercato di fare con La bambina nel bosco ». Un libro destinato a infrangere diverse regole, dunque: quelle del ritrattist­a e, con ogni probabilit­à, quella più spietata del secondo album.

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