Una serata colorata (per non dimenticare)
A ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia, uno spettacolo porta in scena a Lugano melodie e memorie dal campo di Ferramonti di Tarsia.
Ognuno la storia se la ricorda come vuole, o come può. Dopo la Seconda guerra mondiale, con gli Alleati troppo impegnati a mettere i tedeschi di fronte alle loro responsabilità, la Repubblica italiana ha scelto spesso la strategia dell’oblio: scurdammoce o’ passato, nascondendo negli armadi gli scheletri dell’epoca e coltivando il mito fasullo degli italianibrava-gente (a tirar fuori quegli scheletri ci pensarono storici comeRenzoDe Felice, Angelo Del Boca e Carlo Spartaco Capogreco, col risultato di essere spesso tacciati di disfattismo).
Un campo dimenticato
Un preambolo per dire che non dovreste stupirvi se, chiedendo a un italiano anche istruitocosa fosseFerramontidi Tarsia, vi sentiste rispondere «non lo so». E sì che il campo d’internamento di Ferramonti, posto in una zona malarica in provincia di Cosenza, è stato ilprincipaledelledecinedi lager italiani: al momento della liberazione, vi si trovavano rinchiusi oltre 1’600 ebrei e oltre 400 fra antifascisti, slavi, apolidi e altri stranieri. È vero, le condizioni non erano quelle dei campi tedeschi: niente violenze, nessun trasferimento verso campi di sterminio; condizioni di vita disagiate, ma tutto sommato umane. Infermeria, scuola, asilo. Il tutto, però, nelle condizioni di un carcerea cieloaperto, privatidella libertà, col filo spinato a ricordare agli «ospiti» dove si trovavano.
Eredità preziosa
C’era anche un teatro però. E un pianoforte a coda, arrivatoci chissà come. Fragli internati, poi, sicontavaunfolto gruppo di musicisti affermati o destinati a diventarlo nel dopoguerra, quali il compositore e pianista Kurt Sonnenfeld, il trombettista Oscar Klein, il direttore d’orchestra Lav Mirski, il baritono Sigbert Steinfeld, il cantante Paolo Gorin, il compositore Isak Thaler. Organizzavano concerti e spettacoli in cosiddette BunteAbende, serate colorate. Dove la libertà si ripresentava in forme che andavano dal cabaret al jazz, dallamusica classica all’operetta. Una produzione dimenticata fino a quando gli eredi di Sonnenfeld consegnarono al Conservatorio di Milano spartiti, manoscritti e fotografie dell’epoca. È da lì che sono partiti il musicologo Raffaele Deluca e la giornalista Viviana Kasam per ricostruire – con un titanico lavoro di arrangiamento e messa in scena – la Serata Colorata che andrà in scena al LAC di Lugano il 26 aprile, in occasione dell’ottantesimo anniversario della promulgazione del- le leggi razziali in Italia, con il sostegno della Fondazione Federica Spitzer e il patrocinio della Città di Lugano. E chehagiàincontratounottimoriscontro di pubblico in tutta Italia.
Fra Kaddish e ciaccona
Una serata che non intende cedere alla lacrima facile, alternando momenti commoventi e ironici, musica e racconti, klezmer, Kaddish e ciaccone, per rievocare quelle giornate nelle quali le barriere linguistiche e religiose evaporavano in musica, e si poteva perfino suonare quel jazz altrimenti vietato in Italia. A narrare questa storia dimenticata – partendo dai diari dello stesso Sonnenfeld – Peppe Servillo, ex Avion
Travel affermatosi poi come originale interprete jazz-pop. Attorno a lui la guest star Fabrizio Bosso, alla tromba; Vince Abbracciante alla fisarmonica, Giuseppe Bassi al contrabbasso, Seby Burgio al pianoforte; Andrea Campanella al clarinetto, Daniel Hoffman al violino, Eyal Lerner al flauto, che accompagneranno il canto dell’emergente Cristina Zavalloni, supportata anche dal baritono Giuseppe Naviglio e dal coro Tomoquarto. La regia è di Fabiano Marti. I testi sono di Viviana Kasam, la direzione artistica diMichelangelo Busco, quella tecnica di Punto Musica. L’atmosfera del campo sarà riproposta attraverso filmati, testimonianze scritte, diari, spartiti.