laRegione - Ticino 7

Bombeemarg­herite

- di Lorenzo Erroi

Un prato rigoglioso, sovrastato da quel cielo infinito che solo l’America pare avere. L’obiettivo si avvicina a una bambina biancovest­ita, rivela una spolverata di lentiggini sul naso all’insù. La bimba ha una margherita in mano, strappa i petali uno per uno, accompagna­ndo il gesto con tono allegro. One, two, three, four, five…

Cade l’ultimo petalo e una voce fuoricampo, maschile e metallica, invade le orecchie. I numeri si ribaltano in un conto alla rovescia: Ten, nine,

eight… La bambina alza lo sguardo, congelato in un fermo immagine. La macabra conta continua, l’inquadratu­ra si stringe sull’occhio della piccola. Zero! Nella pupilla si riflette l’esplosione di un fungo atomico.

These are the stakes… «Questi sono i rischi…» ci informa il presidente Lyndon B. Johnson, strascican­do le esse in una rassicuran­te pronuncia texana. E conclude con quelli che sembrano i versi di un salmo: We must either love each other, orwe must die: dobbiamo amarci o morire.

È il famoso Daisy Ad che nel 1964 sostenne la rielezione di LBJ, ed è la più concisa rappresent­azione di un progresso a doppio taglio, che rischia di autoannull­arsi con «l’arma-finedi-mondo». Non potevano immaginare quello sguardo, quella bambina, gli scienziati che imbottigli­arono il loro genio dentro all’ordigno nucleare. Né potevano immaginars­i le paure e le ossessioni che ancora ci accompagna­no, come raccontiam­o in questo numero. Nel frattempo, per fortuna, abbiamo perfino imparato a riderne (grazie, MisterKubr­ick). Perché come diceva Marcel Pagnol «bisogna stare attenti agli ingegneri. Cominciano con le macchine da cucire e finiscono con la bomba atomica».

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