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«Se non sarà l’amore, sarà la bomba a unirci»
Gli Smiths hanno sempre avuto un’impagabile propensione a sdrammatizzare ogni tipo di cataclisma, nella convinzione che poi l’amore vince su tutto. «Se ci si schianta addosso un bus a due piani, morire al tuo fianco sarà piacere mio», recita la celebre «There Is a Light That Never Goes Out», registrata nel 1986. E sempre in quell’anno esce «Ask», un invito poppeggiante a liberarsi dalle proprie inibizioni. «La timidezza può impedirti di fare tutto nella vita», canta Morrissey. Concludendo che se non sarà l’amore, allora sarà la bomba a unire gli amanti in un abbraccio. Abbraccio che assume subito, a un orecchio mediterraneo, fattezze pompeiane.
Come quelle che dovette immaginare fra le «sue» vittime il fisico Joseph Robert Oppenheimer, quando vide esplodere la prima bomba atomica ad Alamogordo, New Mexico, il 16 luglio del 1945. Ebreo della borghesia newyorchese, origini tedesche, fu «Oppie» a guidare il Progetto Manhattan, incubatore del nucleare americano. Al momento dell’esplosione, ricordò un verso della Bhagavad Gita: «Ora sono diventato la Morte, il distruttore di mondi». Tanto che cercò poi di rimettere il genio nella bottiglia, impegnandosi a sensibilizzare politica e opinione pubblica sui rischi dell’atomo. Questo gli valse gli insulti del presidente Harry Truman – che con la consueta delicatezza lo definì «scienziato piagnone» – e le invadenti attenzioni della FBI di Edgar Hoover, convinto che stesse per passare al servizio di Mosca. Tormentato per Hiroshima e Nagasaki, a tenerlo a galla sarà la natura spettacolare del New Mexico, ma anche una dose da cavallo dei suoi famosi Martini cocktail. Troppo tardi: come documentano parole e foto della biografia American Prometheus
(di Kai Bird e Martin Sherwin, Atlantic, 2009), resterà un’ombra di amarezza a increspare quelle labbra sempre aggrappate a una sigaretta.