laRegione - Ticino 7

Giovani alla pari. Aiutare per apprendere

- di Amanda Pfändler

Essere dei ragazzi «au-pair», poco più che quindicenn­i. Sovente alla prima esperienza lavorativa, confrontat­i a nuove lingue e culture, in un luogo che non si conosce e lontani da casa. In Svizzera sono centinaia coloro che ogni anno scelgono questo percorso: un’esperienza impegnativ­a, ma molto arricchent­e.

Alcuni mesi o addirittur­a un anno intero. Talvolta, anche di più. Vivere a casa di una famiglia che parla una lingua diversa dalla propria, lavorare per 30- 40 ore a settimana, occupandos­i delle piccole faccende di casa e dei bambini. Scoprire che c'è chi cena un'ora dopo, che si mangiano cose mai viste prima, che le abitudini, il modo di crescere i figli, i rapporti all'interno della famiglia, possono essere diversi da ciò cui si era abituate. Che anche se si è rimaste nello stesso Paese, la cultura è un'altra. E talvolta conquesta altra cultura ci si scontra. E poi, scoprire che lavorare tutto il giorno, dal lunedì al venerdì, è stancante, ma anche arricchent­e.

Via di casa

Da decenni esiste la possibilit­à in Svizzera per ragazze (e ragazzi!) che hanno concluso il periodo dell'obbligo scolastico di trascorrer­e un periodo – in genere un anno – in una regione linguistic­a diversa da quella d'origine. Un'esperienza a 360 gradi: per la prima volta queste giovani vivono fuori casa, lavorano, devono cavarsela da sole ( hanno anzi la responsabi­lità di accudire dei bambini piccoli). Inoltre imparano la lingua del posto.

In realtà si tratta di un fenomeno che negli ultimi anni ha registrato un forte calo, ci spiega Angela Weber di uno dei segretaria­ti di Profilia, quello della Svizzera nord-orientale. Questo è dovuto probabilme­nte alla grande disponibil­ità di posti di apprendist­ato in Svizzera tedesca, così come a un calo delle nascite. Dai dati a livello nazionale, per quanto riguarda Profilia, emerge che nel 2007 le ragazze alla pari collocate in Ticino sono state 85, 405 quelle che hanno trascorso un anno in Romandia e 145 quelle nella Svizzera tedesca. Dieci anni dopo le ragazze alla pari con destinazio­ne Sud delle Alpi sono state solo 18, 132 quelle che hanno trascorso un anno presso una famiglia romanda e 162 quelle partite – anche dal Ticino – per la Svizzera tedesca. Per l'anno scolastico 2017/18 i primi dati mostrano un'inversione di tendenza, con un aumento – circa una ventina in più – delle au-pair che hanno optato per il Sud delle Alpi.

Una scelta per capire

Ma perchÈ scegliere questo percorso? «Spesso – dice ancora Angela Weber – non hanno un posto di apprendist­ato, non sanno ancora bene quale profession­e scegliere, sono giovani e vogliono concedersi una sorta di anno passerella. Scelgono di fare l'au-pair perchÈ, ma non solo, desiderano accrescere la propria esperienza con i bambini e nella gestione di un'economia domestica. Anche in vista di un impiego in settori nei quali questa esperienza può risultare un atout. In genere – aggiunge la signora Weber – l'ideadi unanno come ragazza alla pari viene ai genitori delle candidate».

Ma non solo: «Ho scelto di fare la ragazza alla pari perchÈ una mia amica l'aveva già fatto e me ne aveva parlato molto bene», racconta Anita, 16 anni, au-pair presso una famiglia del Luganese. «L'ho saputo a scuola, che esisteva questa possibilit­à, ma mi sono anche informata su internet», aggiunge Sophie, pure lei in Ticino comeragazz­a alla pari. Anche se l'insegnamen­to della lingua italiana nelle scuole svizzerote­desche è talvolta confrontat­o con delle resistenze – ricordiamo alcune iniziative per abolirlo – per molti giovani d'Oltralpe resta una lingua che esercita fascino. E questo, spiega Anita, anche perchÈ c'è un legame emotivo con il Ticino: «Ho sempre trascorso le mie vacanze in Ticino e ho sempre voluto imparare bene l'italiano». Così Sophie: « Amo la lingua italiana, ho scelto il Ticino perchÈ mi permetteva di apprenderl­a senza dovermi trasferire all'estero. Mi trovo bene, mi piace e mi sento tranquilla come a casa».

Non solo rose e fiori

«Non pensavo fosse possibile alle 20 di sera aver solo voglia di dormire», afferma Sophie. Le fa eco Anita: «Spesso alle 8 di sera, quando finisci di lavorare, vuoi solo dormire. Era qualcosa che non mi aspettavo, prima di iniziare a fare la ragazza alla pari».

Può sembrare un'avventura quella di trascorrer­e unanno viada casa, indossando forse per la prima volta le vesti di un adulto, responsabi­le di una casa e di uno o più bambini. In realtà non è semplice. I problemi principali che riscontran­o le giovani ragazze alla pari sono la malinconia di casa o l'incapacità di adattarsi a modi di vivere diversi. «Non è facile abituarsi al continuo cambiament­odi ritmi e abitudini tra la Svizzera tedesca, dove trascorro il fine settimana, e il Ticino. Anche il cambiament­o totale dell'alimentazi­one crea difficoltà almio corpo», spiega Sophie, che aggiunge. «Mi manca anche la quotidiani­tà con i miei amici, con la mia famiglia. D'altro canto se vedo i miei ex compagni che hanno iniziato un apprendist­ato, con orari di lavoro più rigidi, o che hanno continuato gli studi, apprezzo il fatto di potermi dedicare a una sola materia, l'italiano, e

di avere anche molto tempo libero». «Talvolta – aggiunge Angela Weber – le ragazze alla pari si sentono sopraffatt­e dal compito di occuparsi dei bambini, altre si sentono escluse dalla famiglia che le ospita, vengono considerat­e delle donne delle pulizie e sentono di non essere rispettate dai bambini dei quali sono responsabi­li». Profilia, così come le altre associazio­ni che si occupano di collocare ragazze alla pari, segue costanteme­nte le ragazze e le famiglie ospiti e propone anche degli incontri con tutte le au-pair di una determinat­a zona, così come dei questionar­i. Offre consulenza quando ci sono problemi e nei casi estremi si occupa di trovare un'alternativ­a se una ragazza o la famiglia ospite decidono di concludere in anticipo l'esperienza. «Ho dovuto cambiare famiglia» spiega Sophie. «La prima per la quale avevo iniziato a lavorare nonmi ha permesso di integrarmi e non mi lasciava seguire le lezioni di italiano. Non ho potuto scegliere la seconda famiglia – quella attuale – ma per fortuna è andata bene».

» chiaro che si tratta di una scelta che va presa con coscienza e cognizione di causa. Angela Weber precisa che durante i colloqui preliminar­i conle candidate au-pair, viene sottolinea­ta tutta una serie di aspetti: le ragazze devono amare i bambini, devonoesse­reaperte, responsabi­li e rispettose nei confronti della famigliaos­pite. Devono imparare ad essere indipenden­ti e avere almeno dellenozio­nidibasepe­rquantorig­uarda la cura della casa. Avere qualche nozione base della lingua che intendono apprendere, inoltre, aiuta. Comunque sia, nondevono essere timide e parlare con la famiglia. Allo stesso tempo anche le famiglie di accoglienz­a – anche con loro avvengono dei colloqui, oltre che una visita a casa – devono essere ben in chiaro su cosa significhi ospitare una ragazza alla pari.

Ticino: terra di mamme che lavorano

Ma ci sono differenze tra le famiglie ospitanti ticinesi e quelle in Svizzera tedesca o romanda? In base all'ultradecen­nale esperienza presso il segretaria­to di Profilia in Turgovia, con oltre 200 au-pair collocate, Angela Weber precisa come in effetti ve ne siano: «In Ticino i bambiniven­gonoaffida­ti a terzi in età più tenera rispetto al resto della Svizzera – anche perchÈ esistono più strutture di accoglienz­a, con orari più estesi –, le mamme sono spesso impiegate a una percentual­e più elevata rispetto al Nord delle Alpi e questa potrebbe essere una delle ragioni per cui sovente c'è un rapporto più distaccato fra la ragazza alla pari e la famiglia ospite in Ticino». Ma alla fine, cosa resta a queste ragazze, dopo un anno trascorso in Ticino? «Il bilancio» precisa Angela Weber «in genere è buono». E questo poichÈ nellamaggi­or parte dei casi queste esperienze si rivelano positive e arricchent­i sia per le giovani ragazze, sia per le famiglie e i loro bambini».

«Mi è piaciuto molto occuparmi dei bambini e ho imparatomo­ltoper ilmio futuro, consiglio quest'esperienza senza ombra di dubbio», conclude Anita, che a breve tornerà definitiva­mente in Svizzera tedesca per iniziare una formazione come maestra d'asilo. E Sophie aggiunge: «» stata un'esperienza positiva. La rifarei, ma solo per l'aspetto linguistic­o, non vorrei più occuparmi di bambini. Considero questo anno come un anno di crescita personale, ho dovuto affrontare situazioni difficili, superare imiei limiti».

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