Bologna. Non vive di (soli) ricordi
Giorni faun amico, sulla cui intelligenza non ho alcunmotivo di dubitare, sosteneva che la città emiliana fossemorta già alla fine degli anni Settanta. Oggi camperebbe dunque di eredità e di blasone... Che volesse provocarmi?
Coccolata e un po' autoreferenziale. Una città che vive di antichi fasti, come quelle squadre tipo Torino o Genoa, che non raccolgono nulla da decenni ma che «dai, vuoi mettere Torinoe Genoa?».
Io non concordo con il mio amico. Per-chÈ se Bologna ha un tratto che la rende unica è la capacità di trasformarsi, ma senza mai perdere la sua identità. PerchÈ provateci voi ad andare a far la spesa nel Mercato di Mezzo senza sapere il dialetto, e a chiedere frutta e verdura nei negozietti che hanno la merce esposta in strada e il registrato- re di cassa nella buca delle lettere rubataaunpalazzo. Ebbene, proprioquel crocicchio di viuzze già presente nelle mappe della cittàmedievale spiega cosa sia Bologna oggi. La sacralità delle macellerie – ogni famiglia bolognese ha la sua macelleria cui giura fedeltà, perchÈ cambiare macellaio è un trauma dal quale non se ne esce spesso interi, nonostante la merce possa essere più buona –, dei fruttivendoli, delle salumerieedi chivendeogni tipodipasta fresca viene interrotta da una specie di totem dei tempi moderni, l'agghiacciante nemico, che compie un'avanza- ta tipo quella degli Estranei verso la Barriera di Game of Thrones: Eataly.
Oltre al ragù, c’è di più
Sì, in mezzo a tanta magnificenza, a tanti simboli di una cultura che non è solo enogastronomica ma che riflette l'autentico Dna di una città intera, il tanto decantato progresso ha portato ragù in vasetto fatto in chissà quale industria, tartine che paghi un occhio della testa quando un etto dimortadella di quella buona lo paghi al massimo (mamassimo) 2-3 franchi, conserve di ogni tipo quando vai tu da una nonna
bolognese a contestarle la sua mostarda. La trasformazione, si diceva. Ma Bologna non si è piegata mortalmente a questo fenomeno come possono aver fatto Milano o Venezia. Bologna l'ha inglobata. Non puoi sconfiggerla, renditela amica. E quindi ben vengano Eataly, un museo di arte moderna di cui francamente non si capisce il senso, le catene di abbigliamento europee piene di liceali in via Indipendenza, l'invasione del sushi e di altre diavolerie della globalizzazione. Ben vengano, perchÈ in un mondo dove non c'è più attenzione verso ciò che vale veramente, tutto questo ha una funzione fondamentale: attirare l'interesse su quanto magari non ti colpisce al primo impatto, ma chepoi portidentrotutta lavita. Come piazza Maggiore e piazza del Nettuno, due piazze in una, un capolavoro architettonico quasi unico al mondo dove oggi, a pochi metri dalle americanate e dal sedicente progresso, gli anziani si trovano a chiacchierare del tempo e della politica, sfogliando il Resto del Carlino – il quotidiano di Bologna che ogni giorno è sempre più tabloid ma l'unico ritenuto autorevole anche da chi, alle edicole, lo chiede dicendo: «Quante bugie scrive oggi?» –, dove i bambini corrono dietro ai piccioni, dove i turisti simostrano affascinati per quello che magari il bolognese tipo non nota più. O come le Due torri (degli Asinelli e Garisenda), simbolo della città, non sono due torri messe lì a far bella presenza. Sono quello che resta della gara a chi «l'aveva più lungo» in epoca medievale, e ci teneva a farlo presente costruendo torri che erano anche case. Ce n'erano a dozzine, ne sono rimaste poche. O come piazza Santo Stefano, dove di chiese non ce n'èuna, ma sette tutte insieme, figliedi aggiunte in varie epoche storiche.
La mia piccola Parigi
C'erano le botteghe, ma ci sono ancora nonostante la globalizzazione. C'è stata la protesta studentesca del 1977, con lamorte di Francesco Lorusso ucciso dalla polizia di Cossiga, ma ci sono ancora tanti studenti che lottano per avere spazi, per discutere, per vivere la città anche inun'Italia leghista e a cinque stelle. C'erano i partigiani, la battaglia di Porta Lame, ma ci sono ancora i nonni che spiegano ai nipoti perchÈ il pavimento di piazza Maggiore sia stato scavato dai cingolati americani durante e dopo la liberazione. C'è una Bologna che vive, lotta e ama quando vivere, lottare e amare sembrano cose, come dire, dÈmodÈ.
No, non ci siamo amico mio. Bologna non è finita. Bologna ha saputo inglobare ciò che ha distrutto il tessuto di altre città. Per diventare più forte, per rimanere viva, per rimanere «per me provinciale, Parigi in minore. Mercati all'aperto, bistrot, della “rive gauche” l'odore», come cantava il tuo, il nostro, adorato Guccini.