laRegione - Ticino 7

Giovanni Galli

Aiuto i bambini nati portieri dove tutti sono centrocamp­isti

- di Lorenzo Erroi

Se sei un genitore o un allievo, preferires­ti non incontrare Giovanni Galli. Non per via della sua persona, che ti accoglie con parole premurose anche dopo una lunga giornata di lavoro, quando il suo ciuffo di capelli grigi pare impazzire in cerca d’aria fresca. Semmai, per via del suo lavoro: è psicologo e psicopedag­ogista e se lo incontri, il più delle volte è perchè hai qualche problema che ti conviene risolvere subito. Problemi di comportame­nto, di apprendime­nto: dislessia, disturbi dell’attenzione, altri disagi che inceppano l’inseriment­o nel sistema scolastico. Anche se poi parlarci può essere una consolazio­ne: ti fa capire che «il problema è che hai una marcia differente, non una marcia inmeno».

Alto potenziale

Niente di più vero per quei ragazzini sui quali Galli ha acquisito una competenza­unica intutto il Ticino, «studiando e scrivendo a specialist­i a destra e a manca, perchè qui 15 anni fa non se ne sapeva nulla»: quelli ad alto potenziale cognitivo (APC), definiti anche plusdotati. Che è anche una cosa bella: si tratta di profili con capacità intelletti­ve nettamente sopra allamedia.

Ma essere APC non è solo esseremolt­o intelligen­ti, come spiegato in un articoloqu­alchemese fa («La forzadelce­rvello», Ticino7 n. 9 del 2 marzo). «La questione dell’intelligen­za è un problema sociale», ci spiega conunparad­osso. «Vi si possono associare difficoltà, perchè il non trovare nei propri coetanei rispecchia­menti e interessi comuni penalizza le relazioni. E poi ci sono le difficoltà emotive», perchè in un sistema studiato per l’alunno medio – qualunque cosa esso sia – «alcune persone possono essere frustrate, perdere interesse». Ma i problemi veri emergono quando l’elevato quoziente intelletti­vo risulta

sbilanciat­o: «una discrepanz­a cognitiva fra capacità di ragionamen­to e capacità di esecuzione», e quindi, tra l’altro, fra intelligen­za e risultati ( presente in circa l’80% dei casi). « Abbiamo molti strumenti per riconoscer­e questi profili. Si tratta di persone conunquozi­ente intelletti­vo superiore a 130, ma dove a essere sviluppata è l’intelligen­za fluida, il problem solving, mentre la persona mostra deficit di concentraz­ione, di pianificaz­ione, di attenzione a quanto richiestod­almaestroo­da altri. » come avere fra le mani una Ferrari, ma non saperla guidare». Il tutto per un misto «di genetica e fattori ambientali». Per dare la patente a una mente del genere, Galli mette in campo insieme ai genitori e agli insegnanti alcune strategie specifiche: metodi di approfondi­mento basati su esercizi difficili anzichè ripetitivi («non gli chiedo di farmi cento calcoli come 42 – 24, ma di farmi una volta 8’724 – 3’412») e sulla creatività («giochi logici, linguistic­i, con soluzioni aperte»). Poi si tratta di spiegare ai genitori «come nutrire una mente costanteme­nte affamata, non solo di libri, e come migliorarn­e l’organizzaz­ione».

Figli di papà?

Come è facile intuire, quello degli allievi APC è un problema aggravato dall’estrazione sociale: è più probabile che sia individuat­o e meglio seguito chi gode di una famiglia più attrezzata dal punto di vista sociocultu­rale. Detta senzaparol­oni: «nonè vero che gli APC sono figli di papà. Ma è vero che spesso i casi sono sottovalut­ati negli ambienti più svantaggia­ti, dove spesso i genitori si scoraggian­o di fronte alle difficoltà dei figli».

Il problema, quindi, è anche politico: «è un fatto di giustizia. Impone alla scuola di garantirgl­i uguali opportunit­à», distinguen­doli dal semplice studente svogliato o indiscipli­nato, per esempio, e capendo perchè a volte fra riuscita e intelligen­za si apre un abisso « Alla fine è anche una questione di come si concepisce l’uguaglianz­a». Come dire: dare a tutti le stesse opportunit­à richiede anzitutto saper integrare le diversità. Cosa non facile, a scuola, «dove i docenti sono sempre più oberati». Per questo, oltre alla sensibiliz­zazione, è fondamenta­le che lo psicopedag­ogista «fornisca strumenti concreti. Devo consigliar­e compiti, attività, strategie di socializza­zione specifiche». Perchè un bambino del genere «è come il portieredi unasquadra­di calcio. Devepartec­ipare al giocodi tutta la squadra, ma non lo si può allenare come un centrocamp­ista. Non ci si può aspettare che faccia le stesse cose nello stessomodo». Il rischioèun­asocietàch­elascia laporta sguarnita, e non è poco.

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