Giovanni Galli
Aiuto i bambini nati portieri dove tutti sono centrocampisti
Se sei un genitore o un allievo, preferiresti non incontrare Giovanni Galli. Non per via della sua persona, che ti accoglie con parole premurose anche dopo una lunga giornata di lavoro, quando il suo ciuffo di capelli grigi pare impazzire in cerca d’aria fresca. Semmai, per via del suo lavoro: è psicologo e psicopedagogista e se lo incontri, il più delle volte è perchè hai qualche problema che ti conviene risolvere subito. Problemi di comportamento, di apprendimento: dislessia, disturbi dell’attenzione, altri disagi che inceppano l’inserimento nel sistema scolastico. Anche se poi parlarci può essere una consolazione: ti fa capire che «il problema è che hai una marcia differente, non una marcia inmeno».
Alto potenziale
Niente di più vero per quei ragazzini sui quali Galli ha acquisito una competenzaunica intutto il Ticino, «studiando e scrivendo a specialisti a destra e a manca, perchè qui 15 anni fa non se ne sapeva nulla»: quelli ad alto potenziale cognitivo (APC), definiti anche plusdotati. Che è anche una cosa bella: si tratta di profili con capacità intellettive nettamente sopra allamedia.
Ma essere APC non è solo esseremolto intelligenti, come spiegato in un articoloqualchemese fa («La forzadelcervello», Ticino7 n. 9 del 2 marzo). «La questione dell’intelligenza è un problema sociale», ci spiega conunparadosso. «Vi si possono associare difficoltà, perchè il non trovare nei propri coetanei rispecchiamenti e interessi comuni penalizza le relazioni. E poi ci sono le difficoltà emotive», perchè in un sistema studiato per l’alunno medio – qualunque cosa esso sia – «alcune persone possono essere frustrate, perdere interesse». Ma i problemi veri emergono quando l’elevato quoziente intellettivo risulta
sbilanciato: «una discrepanza cognitiva fra capacità di ragionamento e capacità di esecuzione», e quindi, tra l’altro, fra intelligenza e risultati ( presente in circa l’80% dei casi). « Abbiamo molti strumenti per riconoscere questi profili. Si tratta di persone conunquoziente intellettivo superiore a 130, ma dove a essere sviluppata è l’intelligenza fluida, il problem solving, mentre la persona mostra deficit di concentrazione, di pianificazione, di attenzione a quanto richiestodalmaestrooda altri. » come avere fra le mani una Ferrari, ma non saperla guidare». Il tutto per un misto «di genetica e fattori ambientali». Per dare la patente a una mente del genere, Galli mette in campo insieme ai genitori e agli insegnanti alcune strategie specifiche: metodi di approfondimento basati su esercizi difficili anzichè ripetitivi («non gli chiedo di farmi cento calcoli come 42 – 24, ma di farmi una volta 8’724 – 3’412») e sulla creatività («giochi logici, linguistici, con soluzioni aperte»). Poi si tratta di spiegare ai genitori «come nutrire una mente costantemente affamata, non solo di libri, e come migliorarne l’organizzazione».
Figli di papà?
Come è facile intuire, quello degli allievi APC è un problema aggravato dall’estrazione sociale: è più probabile che sia individuato e meglio seguito chi gode di una famiglia più attrezzata dal punto di vista socioculturale. Detta senzaparoloni: «nonè vero che gli APC sono figli di papà. Ma è vero che spesso i casi sono sottovalutati negli ambienti più svantaggiati, dove spesso i genitori si scoraggiano di fronte alle difficoltà dei figli».
Il problema, quindi, è anche politico: «è un fatto di giustizia. Impone alla scuola di garantirgli uguali opportunità», distinguendoli dal semplice studente svogliato o indisciplinato, per esempio, e capendo perchè a volte fra riuscita e intelligenza si apre un abisso « Alla fine è anche una questione di come si concepisce l’uguaglianza». Come dire: dare a tutti le stesse opportunità richiede anzitutto saper integrare le diversità. Cosa non facile, a scuola, «dove i docenti sono sempre più oberati». Per questo, oltre alla sensibilizzazione, è fondamentale che lo psicopedagogista «fornisca strumenti concreti. Devo consigliare compiti, attività, strategie di socializzazione specifiche». Perchè un bambino del genere «è come il portieredi unasquadradi calcio. Devepartecipare al giocodi tutta la squadra, ma non lo si può allenare come un centrocampista. Non ci si può aspettare che faccia le stesse cose nello stessomodo». Il rischioèunasocietàchelascia laporta sguarnita, e non è poco.